Le Kassandre
La voce di Cassandra. Tra mito, trauma e riscatto
Chi è Cassandra? È una figura della mitologia greca, presente in opere di Omero e Virgilio, figlia di Priamo, re di Troia, e di Ecuba, sorella minore di Ettore e gemella di Eleno. La sua storia, sebbene secondaria nel canone epico, ha assunto nei secoli un significato profondo, trasformandola nel simbolo della voce femminile inascoltata, della profezia ignorata, della verità negata.
Secondo il mito, Cassandra ricevette da Apollo il dono della profezia in cambio della promessa del suo amore. Ma quando la giovane si rifiutò di concedersi al dio, questi, offeso, le sputò sulle labbra, condannandola a non essere mai creduta, pur dicendo sempre il vero. È in questo gesto mitologico che si radica la sua condanna: Cassandra diventa così la profetessa che nessuno ascolta, nemmeno quando avverte i suoi concittadini del pericolo nascosto nel cavallo di legno lasciato dai Greci. Nessuno le presta attenzione, e Troia cade. Anche dopo la guerra, prigioniera di Agamennone, predice la sua morte al ritorno in patria. Ancora una volta, invano.
La voce di Cassandra è allora il grido di una donna che reclama libertà, che respinge i ricatti di un dio e sceglie con coraggio di pronunciare il proprio “no”. È la voce di chi sa di essere ignorata, ma non per questo tace. Una voce che, pur nella solitudine, continua a parlare.
Da questa immagine potente nasce, nel 2004 a Napoli, l’associazione Le Kassandre, fondata da un gruppo di donne accomunate dal desiderio di unire impegno professionale e tematiche sociali, con particolare attenzione alla questione di genere, alle pari opportunità e all’educazione delle nuove generazioni. L’associazione opera su due livelli: da un lato offre interventi diretti, come sportelli di consulenza psicologica e legale; dall’altro promuove attività di sensibilizzazione e cultura, attraverso cineforum, seminari, incontri e laboratori.
L’obiettivo è quello di creare uno spazio di incontro e progettualità, dove le donne possano riconoscersi, crescere e valorizzarsi. Non solo in termini di competenze, ma anche come portatrici di storie, culture e identità specifiche. In questo spazio condiviso, la parola femminile può finalmente avere un peso pubblico e trasformarsi in strumento di consapevolezza e cambiamento.
Chi ha subito violenza si trova spesso a vivere ciò che il teorico Bohleber definisce “trauma sociale” (human-made disaster), una ferita causata non da eventi naturali ma da esseri umani. Tuttavia, la studiosa Clara Mucci propone un termine ancora più preciso: “man-made disaster”, per sottolineare non solo l’origine umana del trauma, ma anche il fatto che esso sia specificamente provocato da uomini. La sua scelta linguistica rifiuta la neutralità implicita nel termine human e denuncia la responsabilità concreta e strutturale del genere maschile nella dinamica della violenza. Non si tratta quindi di una violenza generica, ma di una violenza sessuata, che affonda le radici nelle diseguaglianze di potere tra i generi.
Questi traumi, infatti, non si limitano a produrre ferite individuali, ma compromettono in profondità la dimensione relazionale e simbolica dell’esistenza. Il soggetto perde fiducia nell’altro, si bloccano i processi psichici rappresentativi e viene meno la possibilità di dare senso all’esperienza.
In questo contesto, Le Kassandre si propone come uno spazio di ricostruzione: un luogo dove sia possibile tornare a fidarsi, a parlare, a essere ascoltate. Un luogo dove l’altro non soffoca, non giudica, non annulla la voce dell’individuo, ma la accoglie, riconoscendone il valore. Una voce che, come quella di Cassandra, può tornare a essere profetica se trova chi sa ascoltarla.
Secondo Judith Herman, è necessario distinguere tra disturbo post-traumatico da stress e disturbo post-traumatico complesso, quest’ultimo derivante da traumi ripetuti e relazionali. In questi casi, il lavoro clinico non può limitarsi a un trattamento sintomatico: occorre invece ristabilire la fiducia nella relazione, riconoscere la violenza subita, validare le emozioni della persona, senza giudizio. Solo così si può cominciare a sanare la frattura del legame e aiutare la donna a reinserirsi in un mondo simbolicamente condiviso.
Una componente emotiva centrale in questi vissuti è la vergogna, spesso accompagnata da un senso paralizzante di colpa. L’impossibilità di esprimere e condividere questo sentimento può condurre alla sua interiorizzazione: laddove ci si attribuisce una colpa, si crea l’illusione di poter controllare l’altro controllando se stessi. Ma la violenza è, per natura, incontrollabile dall’interno. Questo porta molte donne a vivere uno stato di terrore e impotenza davanti al pericolo, bloccate in una paralisi psichica.
Per questo motivo, la questione di Cassandra non può essere ridotta a una mera “questione femminile”. La sua parola – parziale, negata, ma vera – custodisce un valore universale. È una parola che riguarda tutti, perché porta con sé un sapere scomodo, ma salvifico. Occorre dunque riconoscere alle donne uno spazio pubblico di parola, uno spazio dove la voce – non solo come suono, ma come atto di esistenza – possa essere ascoltata, accolta, e finalmente creduta.
Solo così, la voce di Cassandra potrà diventare la voce di una società più giusta, più consapevole, e più umana.