Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org

OMNIA PROBATE


(Ritenete il buono)

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Dorothy Day


Liberaci dal male


di Guido Dotti

Dorothy Day in visita all’Abbazia di Subiaco nel 1952 su invito di p. Michael Lensing per parlare del Movimento Operaio Cattolico, fonte https://countrymonks.org/news/dorothy-day, foto tratta da commons.wikimedia.org

Quando cercano di difendere la loro fede con le armi, con la forza e con la violenza, i cristiani sono come coloro che hanno detto al Signore Gesù: “Scendi dalla croce, se sei il Figlio di Dio, e salva te stesso!” […] Le parole sono forti e potenti come bombe. Il governo si è servito di parole per creare la paura del nemico. Nei Salmi leggiamo: “Liberaci, Signore, dal timore del nemico”. Non chiediamo a Dio di liberarci dai nemici, ma dal timore nei loro confronti. L’amore scaccia la paura e dobbiamo superarla per avvicinarci abbastanza da amarli.

Dorothy Day, The Catholic Worker, Novembre 1936.

The Duty of Delight: The Diaries of Dorothy Day, Marquette University Press, Milwaukee 2008.



Non so se il fragore criminale dei bombardamenti in Ucraina, il vociare confuso ma diffuso della propaganda bellica, l’affanno mercantile della corsa agli armamenti e l’incubo riemergente della deriva nucleare rendano ancora possibile prestare l’orecchio, la mente e il cuore alle parole di Dorothy Day, echi del Vangelo evocate le prime in piena ascesa del nazismo e le seconde al cuore della guerra fredda e del conflitto in Vietnam. Eppure di questo si tratta: lasciare che la voce tenue ma risoluta del Vangelo risuoni là dove prevale la logica irrazionale delle armi. Una voce che non si impone, che non si serve di mistificazioni e stravolgimenti della realtà, che si presenta disarmata, inerme eppure coraggiosa, animata dall’unica forza capace di difendere non solo la fede dei credenti ma anche la dignità di ogni essere umano, capace di difendere la vita contro la violenza soverchiante della guerra: l’amore più forte della morte.

Per i cristiani, seguaci del Signore della pace, ricorrere alla violenza omicida delle armi significa accettare la sconfitta prima ancora di aver affrontato l’avversario, significa sconfessare Colui che ha predicato e vissuto l’amore per i nemici, significa stravolgere la preghiera del Padre nostro “liberaci dal male”, facendo del male stesso lo strumento per liberarci di chi compie il male. Certo – e la paladina statunitense della giustizia sociale e della pace sulla terra ne era ben consapevole – per rifiutare la logica della violenza che chiama violenza, per spezzare la catena interminabile della guerra e della vendetta è necessario essere liberati dalla paura del nemico, serve molto coraggio per non cedere alla sua logica perversa, servono forza e resilienza, inventiva e solidarietà: tutti strumenti – non armi – che non si improvvisano né si reperiscono sul mercato, legale o illegale che sia, strumenti che bisogna aver imparato a maneggiare nelle circostanze più diverse, arnesi che richiedono non arsenali ma apprendistato ed empatia.

Lo sanno bene quanti – come i medici e gli infermieri nei teatri di guerra – si battono anche a rischio della propria vita per alleviare le sofferenze, non per infliggerne altre. Se fossimo onesti con noi stessi lo sapremmo bene anche noi, ma preferiamo servirci delle parole – sia pronunciate che ascoltate – per alimentare la paura del nemico anziché per far emergere dal profondo del nemico quell’immagine e somiglianza con Dio che ci accomuna.

Dorothy Day (New York 1897 – 1980), giornalista e attivista sociale statunitense, convertita al cattolicesimo nel 1927. Co-fondatrice del Catholic Worker Movement e dell’omonimo periodico, seppe coniugare pacifismo e nonviolenza con la lotta in difesa dei poveri e l’ospitalità per i diseredati.


Chiesa monastica di Bose - foto tratta da commons.wikimedia.org