Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org

OMNIA PROBATE


(Vagliate tutto / Ritenete il buono)







Rubrica quindicinale a cura di Guido Dotti, monaco di Bose


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PARTORIRE UN SENSO


Paolo De Benedetti






di Guido Dotti

Paolo De Benedetti, fotografia di pubblico dominio

Per me, che non devo mai dimenticare di essere ricercatore di una parte del tutto, e che il tutto è dato dalla comunità nella storia, per me aprire un senso appartiene alla mia vocazione esistenziale? Posso pensare che Dio mi ha fatto nascere, come dice Levinas, perché nella Scrittura c’era un senso per me, perché Dio voleva partorire un senso?

Paolo De Benedetti, Ciò che tarda avverrà, Qiqajon, Magnano 1992, p. 20.

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“Chiedo l’assurdo: che la vita abbia un senso. Mi batto per l’impossibile: che la mia vita ottenga un senso. Non oso credere, non saprei come poter credere di non essere solo”. Così scriveva Dag Hammarskjöld alla fine del 1952, poco prima che l’inattesa nomina a segretario generale dell’ONU desse una svolta alla sua vita. La sapienza ebraica, distillata dalla rilettura di Paolo De Benedetti, non solo fornisce una risposta, ma proietta i nostri interrogativi sul senso della vita in una dimensione rivelativa: la vita di ciascun essere umano non solo ha un senso, ma è, conferisce un senso inedito alla Scrittura stessa, cioè al disegno di Dio sulla vicenda umana. Ciascuno è persona in ricerca, ma la sua ricerca può solo avere come oggetto “una parte del tutto”, perché l’interezza è data dalla “comunità nella storia”. Non la comunità dei credenti, bensì la comunità degli esseri viventi – nei quali De Benedetti amava includere gli animali, cioè tutti gli esseri abitati da un’anima, nel senso di soffio vitale – che ha attraversato i secoli e i millenni. Allora anche la solitudine di ciascuno di noi diviene senso offerto allo “sta scritto” perché diventa pausa, respiro, soffio trattenuto dell’unico dialogo tra creazione e Creatore.

De Benedetti – che, da autentico maestro di Israele, cita a sua volta un maestro che l’ha preceduto – arriva a dire non solo che la Scrittura ha un senso per lui e quindi per ciascuno, ma che Dio ha dato vita a un essere umano per “partorire” un senso alla Scrittura, un significato e una direzione che giacevano come addormentati e inespressi fino a quando quel singolo essere umano non ha assunto su di sé la responsabilità di cercare la “parte del tutto” di sua competenza. Il senso della vita – e della Scrittura che la anima e la indirizza verso la Vita piena, lo shalom – allora sta nell’abitare la storia senza esenzioni, nel farsi carico del proprio compito, piccolo o grande che sia. “Non sta a te compiere l'opera, ma non sei libero di sottrartene” (Pirqè Avot II,21) ammonivano i padri maestri di Israele di cui Paolo De Benedetti era discepolo attento: e l’opera di ciascuno è proprio conferire alla Scrittura il settantunesimo senso, quel senso mancante cui l’umanità intera anelava.

Paolo De Benedetti (Asti, 23 dicembre 1927 – Asti, 11 dicembre 2016), teologo e biblista. Dalle sue profonde e vitali radici ebraiche ha saputo trarre “cose nuove e cose antiche”, divenendo esponente di spicco della cultura ebraica in Italia e protagonista del dialogo ebraico-cristiano. È stato docente di Giudaismo presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano e di Antico Testamento agli Istituti di Scienze religiose delle università di Urbino e Trento, nonché curatore di prestigiose collane editoriali, in particolare presso Garzanti e Morcelliana.


Chiesa monastica di Bose - foto tratta da commons.wikimedia.org