Buen camino


di Paola Franchina

Sul molo della Madonnina, il porto di Viareggio accoglierà per tutta l’estate tre meravigliose sculture di Bruno Catalano; l’artista è noto per la sua capacità di plasmare con il bronzo immagini di viaggiatori che sembrano rarefarsi man mano che incedono: le sagome non hanno i contorni definiti e si confondono con il paesaggio. Tra le mani i viandanti hanno l’inconfondibile valigia, segno iconico dell’homo viator: ciascuno porta con sé ricordi segnati dal tempo, incontri durati un’istante di eternità, volti conosciuti e lasciati lungo la strada.

Partire significa rinunciare alle proprie sicurezze, in direzione di un ignoto da scoprire: nonostante l’incertezza, il viaggio da sempre chiama l’uomo ad affrontare ciò che non conosce. Neppure la paura di precipitare dal bordo della Terra poteva intimorire gli antichi marinai: essi salpavano privi di garanzia alcuna fuorché la posizione del sole e delle stelle nel sereno e l’osservazione dell’orientamento delle onde oceaniche con il coperto. Poi arrivò la bussola, con un ago sensibile al campo magnetico terrestre, la quale consentì di riconoscere con maggior sicurezza i punti cardinali. Sia pur mutando gli strumenti di viaggio, i viaggiatori da sempre condividono il medesimo anelito che li rende mendicanti di senso. In particolare, L. M. García in Il cammino di Santiago. Una visione storica da Burgos alla meta, ci narra la forza attrattiva di un fenomeno che incanta pellegrini da tutto il mondo, Il cammino di Santiago. Esso ebbe, così, inizio:

nell’anno del Signore 830, nel giorno in cui il vescovo di Iria Flavia, Teodomiro, avvisato dall’eremita Pelagio e accompagnato da numerosi fedeli, riconobbe in un monumento funerario antico, scoperto in una località della Galizia, la tomba che custodiva i resti dell’apostolo Giacomo. Il suo vescovo non perse tempo e avvisò immediatamente il re delle Asturie, Alfonso II, che a sua volta ordinò la costruzione di una cappella idonea a ospitare il sepolcro e a offrire rifugio ai primi devoti che vi si recavano in preghiera. In quel preciso istante sorgeva la città di Santiago de Compostela e aveva inizio il fenomeno[1].

Nell’arco di un secolo, la notizia che la tomba di San Giacomo si trovasse in Galizia si diffuse per tutta Europa, sollecitando l’iniziativa di migliaia di pellegrini da ogni dove.

Come ci suggerisce il suggestivo Monumento Ai pellegrini del Monte Do Gozo, i primi pellegrini sentirono la necessità di dotarsi di simboli di identificazione, partendo dal vestiario. Essi si abbigliavano in modo molto semplice e portavano con loro bastone, la bisaccia, una mantellina, la zucca (o borraccia), un cappello a tesa larga e la nota conchiglia.

I viaggiatori non camminavano soli, una delle precauzioni fondamentali era quella di organizzarsi in gruppo: la comitiva poteva essere formata da alcuni membri della comunità di origine, oppure, nel peggiore dei casi, essa veniva costituita non appena si iniziava il cammino. Diverse fonti mettono in evidenza che, durante il tragitto, era abitudine dei pellegrini cantare per rendere più leggero il viaggio; suggestivo, a tal proposito, lo spettacolo descritto dal Codex Calixtinus di coloro che, giunti a Santiago, si preparavano a vegliare tutta la notte cantando e suonando. Ancora, oggi, la magia del cammino si rinnova con vigore: la strada diviene un luogo catartico che riabilita l’uomo nella sua globalità, quale sinolo di corpo e spirito; essa rappresenta una palestra di vita, «un antidoto efficace contro la vita urbana e sedentaria, lo stress, l’individualismo, il localismo che emargina e altre miserie del mondo contemporaneo»[2]. E, così, sulle tracce delle note frecce gialle, i pellegrini rendono fiorente una pratica vitale: armati di zaino, sacco a pelo, materassino, gavetta e un pizzico di follia prendono il volo in direzione della Cattedrale di San Giacomo.



[1] L. M. García L. M., Il cammino di Santiago. Una visione storica da Burgos alla meta, Messaggero di Sant’Antonio Editrice, Padova 2009, 10.

[2] Ivi., 172.