The Rabbi is in


La bella la va al fosso


di Miriam Camerini

C’è un anello che ha comprato mia madre molti anni fa in un negozio di gioielli non proprio antichi ma un po’ vecchi vicino a casa “nostra”, cioè casa dei miei a Milano. Sono pochissimi i gioielli che mi piacciono, solitamente, ma quell’anello l’ho amato da subito, e gliel’ho detto. Non ricordo quand’era che lo ha comprato, ma so che a un certo punto, nella sua generosità, ha deciso di regalarlo a me, che glielo complimentavo e guardavo ogni volta che lo indossava: è venuta una sera in cui non ha più resistito. Ero da loro, di nuovo guardavo l’anello. Lei se lo è tolto e mi ha detto: “E’ così raro che ti piaccia tanto un gioiello: mettilo tu, io mi cerco qualcos’altro”. E così ha fatto: di lì a poco si è comprata nello stesso negozio un anello diverso da quello ormai “mio”, ma con gli stessi colori. Insolito che io non riesca a collocare nella mia maniacale memoria un evento di tale emotiva portata, eppure tant’è. Così a occhio direi che poteva essere una decina di anni fa, ma forse anche un po’ meno. Ho un ricordo suffragato da foto, forse la prima in cui compare: il bellissimo matrimonio veneziano di due amici, la cerimonia in una delle “cinque Scole”, ossia sinagoghe, del ghetto e poi il ricevimento all’isola del manicomio, che in questo momento mi cela il nome. Metà di luglio 2014: mia nonna materna era morta da quattro mesi e appena ci stavamo tutti in casa riprendendo un po’, io avevo un uomo di cui ero innamorata come mai prima ero stata nella vita e a quel matrimonio lo avevo portato fra mille inquietudini: era la prima volta in cui comparivo con un compagno non ebreo in un contesto tanto ebraico e osservante. Avevo chiamato al telefono il mio rabbino per avvertirlo: sapevo che la notizia non l’avrebbe rallegrato, ma avevo preferito dirglielo qualche giorno prima che lasciarglielo scoprire durante il matrimonio, al quale sapevo avrebbe presenziato e celebrato. P. e io, a quel banchetto nuziale, eravamo di una bellezza che non mi vergogno a celebrare: la foto non mente. Felici e innamorati, divertiti e sorpresi che ci si potesse innamorare tanto e divertire così. Io avevo un vestito lungo con la schiena nuda, ovviamente blu, una borsa di cuoio degli anni ’70 di mia zia e indossavo l’anello con la pietra rossa scura: una bellissima foto scattata quel pomeriggio da un’amica me lo ricorda. Da quel giorno in avanti l’anello è stato proprio ovunque nei miei viaggi per il mondo, nelle feste e agli spettacoli più importanti e anche in giorni qualunque, poiché ha il grande pregio di non essere prezioso per altri che per me.

Qualche settimana fa, a Weimar in Germania per Yiddish Summer, festival di musica klezmer e quest’anno greco-turca, sono andata in piscina un pomeriggio in pausa-pranzo con Manuel, arrivato da poco per seguire i corsi di musica strumentale e accaldato quanto me. Stesi gli asciugamani ho meccanicamente tolto l’anello assieme all’orologio e a tutto il resto, ho lanciato tutto un po’ alla rinfusa sul prato e mi sono buttata in acqua. All’uscita frettolosa non ho fatto caso a ciò che accadeva dei miei possedimenti, ho indossato tutto distrattamente, inforcata la bici e via di nuovo verso nuovi corsi, suoni, emozioni. Giunta all’accademia di musica per le lezioni del dopo-pranzo, la percussionista Nora mi ha messo in mano un tamburello e detto: “Suona!” e così ho fatto. Io solitamente tolgo in automatico gli anelli per battere il tamburo, come mi ha insegnato il sornione musicista curdo Ashti la scorsa estate, prestandomi il suo prezioso daf, ma questa volta non ho ricordo di ciò che ho fatto: avevo un anello? Non l’avevo già più? Chissà.

Trascorre il pomeriggio.

Suono e canto, poi esco a mangiare torta e bere caffè con due amiche, una riunione zoom per decidere alcune cose che farò in Sud Africa fra poco più di una settimana: la ragazza con cui parlo lì è vestita da pieno inverno, il che mi terrorizza tanto che appena finisco la chiamata compro finalmente il volo per la Grecia cui sto pensando da giorni: qualche giorno di estate fra la Germania e l’inverno dell’altro emisfero. Felice torno in ostello, mi lavo e mi vesto per la jam session serale, finalmente ho deciso quando partire, il sole e il mare greco già mi sorridono, l’umore è buono come non era da settimane; cerco l’anello per indossarlo stasera.

Non c’è.

Lo cerco ovunque, in camera e in bagno, in ogni borsa e tasca e piega. Torno in bici alla piscina, che è ormai chiusa, ma conosco benissimo il pertugio da cui saltare dentro: l’ho già fatto un sacco di volte, da un muretto che richiede solo un po’ di coraggio e un salto sui due metri. Mi butto, vado dritta al prato del pomeriggio senza neppure alzare la testa, finché sento indistinte voci e risate, alzo lo sguardo e trovo una dozzina di bagnini a riposo e mezzi sbronzi: hanno finito la giornata e ora bevono birre al baretto della piscina e non si capacitano della nonchalance con la quale spiego loro nel mio stentato tedesco che sto cercando il mio anello, motivo per cui sono lì fuori orario, anzi se per favore mi danno anche loro una mano magari finiamo prima. Molti ridono, uno mi prende sul serio e setaccia un po’ il prato con me. Niente anello. Il capo-bagnino mi domanda ridacchiando sotto i baffi da dove ho in mente di uscire; ops... A questo non avevo pensato: il salto di due metri all’insù ancora non l’ho mai provato. Magnanimo, scrollando il capo, mi apre il cancello, ringrazio ed esco, torno alla bici, cerco alla scuola di musica, invano.

Alla jam session mi presento in ritardo e triste, ma ballo e suono il tamburello, rido e canto e bevo e fumo e chiacchiero come posso.

A fine jam propongo con Manuel la classica spaghettata di mezzanotte all’ostello: “Tutti dagli italiani che improvvisano una pasta pomodorini e salmone eccezionale!”. La serata è bella.

Vado a letto, spero ancora nella luce del mattino, ma quando apro gli occhi l’indomani il pensiero dell’anello perduto mi trafigge con una fitta di dolore: è un momento molto difficile per me, questo; sono così tante in questa estate le cose che mi affaticano, non me ne serviva un’altra ora. Mi alzo, inizio la giornata, in qualche modo. Continuo a pensare all’anello perduto, lo immagino solo e triste, lasciato in disparte, lo chiamo, gli dico: “So che da qualche parte sei: non puoi essere scomparso, parlami, chiamami, dimmi dove trovarti e ti verrò a cercare!”. Passano le ore, faccio altre cose: è il mio ultimo giorno a Weimar per questa estate, le persone da salutare sono tantissime, le ultime commissioni, ancora un po’ di musica, domani sera se tutto va bene sarò in Grecia. Il pensiero però mi torna sempre all’anello, non mi do pace, so che in qualche luogo è e il pensiero di partire e lasciarlo qui solo mi fa disperare.

Manuel guarda ancora in piscina, io chiedo a tutti, cassieri e bagnine, uomini delle pulizie, bagnanti e passanti: invano. Sono triste ora, l’idea che domani mattina io partirò e l’anello resterà qui da solo, che nessuno più lo cercherà (certo, qualcuno magari lo troverà, forse persino indosserà, ma no: il pensiero non mi consola) e che verrà dimenticato, coperto magari in un tombino dalle foglie che fra poco diventeranno gialle e cadranno, la pioggia lo bagnerà, la neve lo seppellirà e continuerà ad esistere ignorato, sconosciuto, non più portatore di gioia, ricordo di generosità materna, simbolo dell’amore più forte e disinteressato che conosca... Non può essere.

Mi alzo, vado da Koriat, la pasticceria del giorno prima: non c’è ragione che sia lì, ma tant’è. Chiedo alla proprietaria, che assieme a me sposta divani e tavolini, infine mi porta del succo di mela, ma siamo in Germania: non me lo offre nemmeno per consolazione, dice solo: Es tut mir leid

Mi siedo su una panchina e piango al sole. Penso a mia mamma, a Paolo, a quel giorno, a tutti gli anni, gli spettacoli e i viaggi e so che non dovrei essere così triste per un oggetto, ma io sono in uno dei periodi più difficili che la mia vita - in fondo facile e felice, grazie a Dio - abbia conosciuto e questa perdita mi pare come un accanimento del destino, un messaggio oscuro dei cieli avversi.

Oramai sento che l’anello è perduto per sempre e lì sulla panchina fuori dal caffè inizio a dipingerlo per me nella mente, a descrivermelo per ricordarlo, non perderne traccia almeno nella memoria. Lo piango, lo lascio andare...

All’improvviso ho un lampo e lo vedo: è caduto per terra nel cortile dell’Oma, the other music accademy (la sede del festival, una grande casa dotata anche di lavatrice, che avevo usato la mattina) ieri mentre andavo con la bici a ritirare il mio bucato verso sera. Ne sono certa. Entrata dal cancello, ora ricordo, la bici ha sbandato un momento, probabilmente scivolando su un sasso per terra: non sono caduta, ma c’è mancato poco e l’inclinazione è stata forte... Ora la sento proprio nel corpo, quella quasi caduta, qui seduta al sole da Koriat e non ho dubbio: l’anello era in borsa, la borsa era nel cestino dietro la bici, la bici è scivolata e l’anello è caduto dalla borsa. La dinamica è chiara davanti ai miei occhi. Mi alzo e vado, la bici mi porta diretta al punto esatto del cortile dell’Oma (che in tedesco è anche vezzeggiativo per nonna), si ferma - pare animata - lì proprio dove è quasi caduta la sera prima. Guardo per terra.

L’anello è lì.

La bella la va al fosso, ravanel remulaz, barbabietole e spinaz, tre palanche al maz, la bella la va al fosso al fosso a resentare al fosso a resentàr

E intant che la resenta ravanel remulaz barbabietole e spinaz tre palanche al maz, intant che la resènta al gh’è cascà l’anel, al gh’è cascà l’anel…

La canzone d’altronde è quella, se ci avessi pensato avrei capito subito dove avevo perso l’anello: al fosso a resentàr.

La canzone l’ho sentita per la prima volta da mia madre, anno 1995, quando in prima media dovevo preparare un piccolo lavoro su un tema a scelta e lei mi propose la canzone popolare italiana, sedendomi poi al tavolo di cucina per svariate e deliziose ore a registrare canzoni - voce e chitarra - su una cassetta che ancora ascolto e sempre mi prometto di copiare in digitale.

Morale della favola: se sbassi gli occhi all’onda e non vedi il pescator, l’anello tu intanto ripescatelo da sola, e poi si vede.

Foto, qui, di Stefano Sodaro durante il Concerto Caffè Odessa tenutosi a Matera il 19 maggio 2022 e durante la rappresentazione Le Belle Bandiere, tenutasi al Castello di Casalgrande (RE) il 7 luglio 2022.

Foto di Paola Cazzaniga

Numero 677 - 4 settembre 2022