Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Ateismo ed eresia


di Dario Culot


La ruota come immagine di Dio - (cfr. spiegazione di Doroteo alla fine dell’articolo)


È facile distinguere fra un credente e un ateo, oppure fra un credente e un eretico? Voi credete di sì? Io non sarei così sicuro. Cercherò di chiarire il mio pensiero, ma mi rendo conto che ci stiamo inoltrando in un terreno estremamente infido e scivoloso, anche perché le idee sono tante e discordanti, e le inquietudini religiose toccano sia coloro che si professano atei, sia coloro che si professano credenti ma vogliono anche capire. C’è poi anche chi si professa credente tutto d’un pezzo, mai sfiorato dal minimo dubbio, ma temo che – anche se costui in apparenza può sembrare il cristiano perfetto -  in realtà fa molto spesso parte dell’ampia categoria dei non credenti che solo credono di credere.

Il filosofo Platone[1] vedeva l’ateismo sotto più sfaccettature per cui descriveva almeno tre forme di ateismo:

(1) Le divinità sono invenzioni dell’uomo, in particolare del legislatore che deve tenere il popolo in riga con la paura;[2] ma in realtà tutto il creato viene dalla natura, dal caso o dall’arte umana; quindi, nessun dio esiste veramente.

(2) gli dèi esistono veramente ma sono completamente indifferenti al mondo degli uomini:[3] non intervenendo in questo mondo restano lontani, vivono una vita loro, separata, e quindi l’incomunicabilità li rende incorruttibili da parte dell’uomo. L’atto puro di Aristotele è un dio trascendente che non si occupa di noi, non ha relazione con noi; e a noi, detto sinceramente, un simile dio neanche interessa.

(3) gli dèi esistono, e attraverso offerte, sacrifici, preghiere l’uomo può cercare di ottenere la loro benevolenza: qui il rischio è che essi siano aperti alla corruzione, esattamente come l’uomo è disposto a farsi corrompere col denaro, con favori sessuali o altro.

Siccome anche nella nostra Chiesa c’è ancora chi raccomanda sacrifici (lo stesso rito della messa è un sacrificio[4]), offerte e preghiere probabilmente per Platone anche i cristiani rientrerebbero in quest’ultima categoria di atei.

Ma sentite un po’ questa: Dio, stufo di essere onorato a parole, a un certo punto sbotta: «Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero? …Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me (NB: non la sessualità, le bestemmie o altro peccato); sabati, assemblee sacre, non posso sopportare insieme delitto e solennità... le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli». Pensate! il Padreterno che non sopporta le celebrazioni religiose, il culto, le offerte. È il Padreterno che parla: le vostre celebrazioni mi hanno proprio stufato! «Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene» (Is 1,11-17). È questa la religione che Dio chiede! Sembra che stia parlando un ateo comunista mangiapreti, o un eretico miscredente, e invece è Parola di Dio! Ma quante volte avete sentito leggere questi passi biblici in chiesa?

E la legge di Mosè? La legge divina cui tutti siamo chiamati a obbedire? “Voi scribi (cioè voi teologi ufficiali dell’istituzione religiosa) vi riempite la bocca della legge di Dio, ma quale legge? Quella menzognera della vostra penna bugiarda?” Cioè, siete stati voi ad aver falsificato la legge di Dio per i vostri interessi (Ger 8, 8). E poi il Signore ordina al profeta di andare davanti al Tempio (sarebbe come dire oggi, all’ingresso di San Pietro) e dire a tutti i fedeli che entrano: “Non vi fidate delle parole menzognere che suonano nel Tempio del Signore. Se voi migliorerete la vostra condotta e il vostro operato, se agirete secondo giustizia tra l’uomo e il suo compagno; se non opprimerete lo straniero (Ahi! ahi! ahi! se solo pensiamo a certi politici che impugnano il rosario), l'orfano e la vedova, se non verserete sangue innocente in questo luogo e se non seguirete altri dèi, allora soltanto io abiterò con voi in questo luogo, nella terra che io ho dato ai vostri padri da tempi assai lontani e per sempre. Ecco voi vi fidate di parole menzognere che a nulla gioveranno; voi rubate, uccidete, siete adulteri, giurate il falso, offrite incenso e seguite altri idoli che non conoscete, e poi venite e state in preghiera davanti a me in questa casa su cui ho proclamato il mio nome e dite di essere salvi! per poi compiere tutti questi abomini.  È forse diventata una spelonca di ladri agli occhi vostri la casa su cui fu proclamato il mio nome?” (Ger 7, 4-11). Gesù non dirà dunque nulla di nuovo a proposito del Tempio, cioè della Chiesa di allora: un covo di ladroni (Lc 19, 45ss.).

Già in passato, mentre il buon Pietro non aveva nessun conto in banca, il Sommo sacerdote lo aveva, eccome. Non vi suonano allora ancora attuali queste parole di fronte a un Marcinkus che, dirigendo lo Ior, affermava che “la Chiesa non si amministra mica con le Ave Maria”?[5] Non vi suonano attuali queste parole quando si vede gente che, con la confessione, cerca la pace della sua coscienza per aver peccato, ma poi continua come prima ad adorare il dio mammona?

Allora è vero che, forse, noi cristiani siamo per lo più ancora atei.

Ecco perché, quando si comincia a discutere di teologia dobbiamo essere innanzitutto chiari e d’accordo sul significato che diamo ai singoli termini.

Secondo il comune modo di sentire, ateo è colui che esclude il divino non solo dalla sua vita, ma anche da quella degli altri. Per l’ateo, questa storiella rende bene l’idea:

Un aereo in volo perde il funzionamento dei motori, e i piloti cercano invano di farli ripartire. Il comandante, credente, ad un certo punto avvisa i passeggeri dicendo: “fratelli, siamo nelle mani di Dio”. Uno straniero, che non ha capito, chiede al vicino di fila, che è ateo: “cosa afere detto comandante?” L’ateo risponde: “Ha detto che stiamo precipitando”.

Per la Chiesa cattolica, invece, è credente colui che dà adesione o accoglie Dio nella propria vita, ed ateo colui che lo rifiuta[6]. Ma dovremmo immediatamente domandarci: quale Dio rifiuta? Ovviamente qui il Dio in cui si deve credere è quello descritto dalla stessa Chiesa. Solo la Chiesa, sicura di aver compreso bene la Rivelazione, è certa di possedere ormai la Verità; chi non la segue merita l’etichetta di ateo quando rifiuta drasticamente l’immagine di Dio da lei proposta. Ma allora la religione continua a descrivere quel Dio che ha pensato in un lontano passato, mentre l’ateismo semplicemente nega quella stessa immagine che la religione non propone, ma pretende d’imporre a tutti.

Negli articoli del mese scorso ho già sollevato varie obiezioni all’immagine di Dio proposta dalla nostra Chiesa. In realtà mi sembra sbagliata questa contrapposizione fra credente come colui che dà adesione all’insegnamento del magistero e ateo come colui che lo rifiuta, giacché questi verbi hanno a loro volta bisogno di ben altre precisazioni, potendo essere intesi in maniera assai diversa. Anche un credente può benissimo rifiutare l’immagine di Dio cui sta pensando l’ateo, e quindi essere perfettamente d’accordo con lui che quel dio non esiste. San Paolo, nella sua vita, ha sempre creduto in Dio, per cui è sempre stato credente sotto questo aspetto; eppure dapprima ha avuto la passione per Dio inteso come Legge e per compiacere questo Dio si era dato anche un gran da fare per ammazzare più cristiani che poteva; poi è subentrata la passione per un Dio inteso come Amore[7]. Non basta, allora, essere appassionati di Dio per essere credenti. Le due immagini di Dio cui Paolo ha creduto nel corso della sua vita erano fra di loro inconciliabili: se credeva alla prima era ateo rispetto alla seconda, e viceversa.

Il filosofo tedesco Feuerbach[8] ha sostenuto che il vero ateo non è in realtà l’uomo che nega Dio, ma l’uomo per cui gli attributi della divinità, dell’amore, della saggezza, della giustizia non significano nulla. E come dimenticare quanto scritto da quel pittore geniale ma un po’ fuori di testa: «Per me, quel Dio degli uomini di chiesa è morto e sepolto. Ma sono forse ateo per questo? Gli uomini di chiesa mi considerano tale, ma io amo, e non potrei provare amore se non vivessi e se altri non vivessero? E nella vita c’è qualcosa di misterioso. Che venga chiamato Dio, o natura umana, o altro, è cosa che non riesco a definire chiaramente, anche se mi rendo conto che è viva e reale, e che è Dio o un suo equivalente»[9].

Ateismo non è allora vivere senza Dio. È semplicemente vivere senza credere a quell’immagine di Dio  proclamata dalla Chiesa; un Dio che, da un mondo parallelo, interviene a suo piacimento in questo nostro mondo. Significa vivere senza l’idea di un mondo eteronomo[10] che influisce sul nostro, è riconoscere l’autonomia del nostro mondo senza più questo dualismo.

Ma se accettiamo queste definizioni, immediatamente non c’è più una inconciliabile divisione fra ateo e credente. Si può infatti notare che fra un fondamentalista credente e un ateo non c’è grande differenza. Per il fondamentalista, che cucina il nome di Dio in tutte le salse, basta dire Dio e tutto è risolto. Per l’ateo tutto è risolto eliminando la parola Dio (ma ogni volta occorre dire che non bisogna più dirlo)[11]. È facile poi incontrare persone, religiose fino al fanatismo, che sono però contemporaneamente egoiste e prive di solidarietà nella vita quotidiana,[12] né più, né meno del peggior ateo che pensa solo a sé stesso.

Inoltre, con riferimento agli ordini religiosi, è stato con cruda efficacia sottolineato che la distinzione fra ateo e credente non è una distinzione di linguaggio, ma di essenza. E allora l’uomo avido di potere, anche se religioso, anche se sacerdote, anche se papa, è ateo, perché desidera qualcosa che è fuori dell’onda di Dio, perché è fuori dall’onda di amore servizievole. L’uomo desideroso di successo, di affermazione di sé stesso, di ricchezza, o che cerca di strutturare il suo Ordine religioso come una potenza terrena, che cerca di rendere la Chiesa una potenza che ha la dialettica e la potenza propria degli altri Stati, quest’uomo – anche se religioso, anche se papa -  non è credente, perché cerca il potere e chi cerca il potere, proprio strutturalmente, ontologicamente, è ateo. Invece chi cerca di servire, chi impegna le sue qualità (carisma, 1Cor 12, 4-11) per dare all’uomo la possibilità di crescere nella verità, nella conoscenza e nella libertà, costui, anche se dice di essere ateo, ontologicamente è credente[13].

E visto poi che la maggior parte dei battezzati si comporta normalmente da ateo praticante, nel senso che non nega Dio con le parole – come l’ateo teorico – ma proprio col suo comportamento, ciò significa che il vero credente non è colui che non ha più dubbi ed accetta ogni verità insegnata dal magistero ritenendola garantita da Dio in persona, come sembra sostenere il Catechismo (artt.2087 ss.), ma è un povero dubbioso che ogni mattina si sforza di cominciare a credere, perché sta cercando di accettare come vero qualcosa che non è poi così evidente. Insomma, credente è colui che dice: “Signore, io credo, aiuta la mia incredulità” (Mc 9, 24). Probabilmente non è invece credente chi dice: “Io so chi è Dio, e adesso te lo spiego”. Ma se così stanno le cose, la Chiesa è piena di non credenti che si credono credenti, mentre fuori di essa ci sono tanti credenti che si credono non credenti.

Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium del 24.11.2013, §§ 129, 41 e 133 papa Francesco ha messo il dito nella piaga: “Non si deve trasmettere l’annuncio evangelico sempre con determinate formule stabilite, o con parole precise che esprimano un contenuto assolutamente invariabile”. A volte un linguaggio perfettamente ortodosso “non corrisponde al vero Vangelo di Gesù”. Con la santa intenzione di comunicare la verità su Dio si resta fedeli alla formula ma non si trasmette la sostanza, per cui si dà l’immagine di “un falso dio,” mentre si deve rimanere in “dialogo con il mondo della cultura e della scienza”.

Né atei, né credenti possono dimostrare che Dio esiste o non esiste[14]. Men che meno la Chiesa può dimostrare che Dio è esattamente come ce l’ha spiegato. Però è forse possibile trovare un punto d’incontro fra atei e credenti dicendo che credere non vuol dire riconoscere che esiste un Essere Supremo lassù nel suo mondo parallelo, ma vivere in questo mondo, in maniera tale che tutto abbia valore, che tutti abbiamo consolazione, misericordia, giustizia.[15]. Per l’ateismo la salvezza può venire solo dal desiderio di umanizzazione che è già attivo in noi, non da un mondo parallelo che non esiste. Per il credente questo desiderio, questa spinta evolutiva è l’Amore originario, la Realtà ultima originaria (e possiamo accettare l’idea che il racconto del sangue e del sacrificio umano di Gesù sia pura mitologia). Ma, a ben guardare, i due modi, pur diversi, di vedere l’umanizzazione dell’uomo come vera via di salvezza, abbandonando sempre di più la tendenza egoistica animalesca che è in noi, coincidono nel fine. Ma se sono convergenti nello scopo non c’è motivo che si combattano frontalmente. Si può in tal modo aprire un settore condivisibile di speranza e spiritualità fra credenti e atei, mentre è troppo divisivo mantenere una netta separazione. Ci sono da sempre molti linguaggi che uniscono tutti gli uomini: pensiamo alla musica, all’arte. Perché la religione dovrebbe continuare a dividerci?[16]

 

E passiamo all’eresia. La parola eresia deriva dal greco hairesis, e significa ‘scelta’[17]: all’origine, dunque, richiamava non tanto l’errore totale, l’abbandono della verità rivelata dal magistero, come s’intende comunemente oggi, quanto piuttosto la selezione di un elemento della verità a scapito ed esclusione delle altre parti. Secondo la Chiesa eresia è per l’appunto l’ostinata negazione di una verità cui bisogna credere perché da lei insegnata (n. 2089 Catechismo), ed il contrario di eretico è ovviamente buon cattolico che, per contrapposizione, richiama il concetto di verità intera[18]. Per san Tommaso d’Aquino è eretico chi segue una propria interpretazione, scelta arbitrariamente, al posto di seguire quello che è stato insegnato da Cristo,[19] il che lascia spazio a ulteriori dubbi dovendosi chiarire cosa ha veramente insegnato Cristo e cosa ha invece insegnato la Chiesa. Va cioè sottolineato che il richiamo all’insegnamento di Cristo e non già a quello della Chiesa che non è Cristo, è già significativo. Lo so che gli zelanti ortodossi, con quest’ultima affermazione, già sentono odor di eresia. Ma dovrebbero spiegarmi prima questo: se la Chiesa è Cristo, visto che per loro Cristo è Dio, come fa la Chiesa a non essere anche Dio? Perché se a=b, e b=c, anche a=c[20].

Se uno non è d’accordo con quello che dice il magistero, secondo la Chiesa è eretico. Mi dispiace, ma non posso accettare questa definizione.

Forse sarebbe il caso di affermare con decisione che la parola eresia, intesa oggi come non concordare con l’insegnamento del magistero,[21] e quindi non obbedire all’insegnamento autoritario del magistero, deve essere cambiata. Forse è il momento di affermare che eretico non è chi mette in dubbio una specifica dottrina tradizionale, bensì chi non vive in armonia con l’essenziale ed unico comandamento che ci ha dato Gesù Cristo: amatevi e vivete di conseguenza. Eretico, allora, dovrebbe essere in primo luogo chi usa la violenza, ancor di più se usata in nome di Dio.

Per essere credenti, non basta credere in Dio, se per credere intendiamo una adesione mentale all'immagine di Dio, alla verità insegnata dalla Chiesa. Nel Vangelo la verità non è mai una verità da contemplare; è una verità da fare, e normalmente noi non facciamo quello che diciamo. E allora, quanti inflessibili cercatori di Dio nei dogmi rientrerebbero nella categoria degli eretici? E, al contrario, quanti di coloro che oggi sono inquadrati fra i non credenti, rientrerebbero nella categoria dei cristiani credenti?  Dunque fede e religione sono due cose diverse, non sovrapponibili.

E guardate bene che non sto dicendo nulla di nuovo. Anche ai tempi di Gesù, “alcuni dicevano: «è buono», altri dicevano «no, inganna la folla»” (Gv 7, 12). Come si spiegano due atteggiamenti così diversi nei confronti della stessa persona? Come si spiegano interpretazioni così diverse davanti allo stesso identico comportamento? Semplice. Quelli che guardavano a quello che Gesù faceva, dicevano che ‘è buono’; quelli che giudicavano in base alla dottrina ortodossa dicevano che ‘inganna’. Sono indicazioni preziose e sempre attuali che l’evangelista sta dando alla comunità cristiana. Quelli che giudicano in base alle opere riconoscono la bontà di Gesù, quelli che si rifanno alla dottrina invece dicono che Gesù è un falso Messia. Per quanti lo giudicano in base ai parametri dell’ortodossia religiosa Gesù è un pericoloso imbroglione. C’è scritto nel libro del Deuteronomio che il profeta che avrà avuto la presunzione di dire in nome di Dio una cosa che Lui non gli ha comandato di dire dovrà essere messo a morte (Dt 18,19): ecco perché le persone pie e ortodosse vogliono la morte di Gesù. Il fatto che alcuni dicano che Gesù inganna la folla, significa che per loro Gesù sta presentando un dio talmente diverso dal Dio in cui loro credono, che merita la morte. In effetti Gesù è venuto ad effettuare un nuovo Esodo. Il nuovo Esodo di Gesù non è stato però lo spostamento da una terra all’altra, ma da una relazione con Dio a un’altra; da una relazione con Dio che possiamo definire religiosa, a una relazione con il Padre che definiamo di fede. L’annuncio di questa Buona Novella è stato la causa della morte di Gesù[22]. E visto che Dio non è apparso mai a nessuno e da nessuna parte, è solo grazie alla fede di Gesù che possiamo ancora credere[23].

Se, a questo punto, accettiamo questa idea di fede, cambia necessariamente anche l’idea di eresia. L’eresia, infatti, dipende da cosa s’intende per fede. Se per fede intendiamo adesione a una particolare dottrina riconosciuta vera per l’autorità di chi la propone, e non per il suo contenuto, tutto ciò che confligge con quanto afferma questa autorità diventa automaticamente eresia. Se però per fede intendiamo un comportamento che imita quello di Cristo, una risposta all’offerta d’amore del Dio-Padre di Gesù (e una proposta d’amore è per sua natura dinamica e flessibile), evidente che il concetto di eresia sparisce o comunque diventa molto più vago, perché eretico è solo colui che non vive seguendo l’unico comandamento che conta: il nuovo comandamento dell’amore (Gv 13, 34).

Doroteo di Gaza, vissuto nel lontano VI secolo, ci aveva offerto un’immagine assai efficace[24] di come amando Dio ci si avvicina agli altri, e di come amando gli altri ci si avvicina a Dio. Immaginiamo una ruota con al centro Dio. Ogni raggio è diverso dall’altro, ma tutti i raggi della ruota portano verso il centro, anche se il centro resta per noi vuoto,[25]o forse sarebbe meglio dire misterioso. Quel centro resta un mistero talmente insondabile che non potremo mai definirlo, anche se è il mistero che dà significato alla ruota, perché la ruota senza centro non sarebbe utilizzabile[26]. Potremmo descrivere più o meno compiutamente i raggi, ma nessuno sarà mai in grado di descrivere definitivamente e compiutamente il centro. Ecco, il post-teismo ci fa capire che la nostra fede risiede in quel centro, e quindi in quel ‘vuoto’ che non sappiamo decifrare, e il termine ‘Dio’ è semplicemente il nome che gli uomini hanno dato alla propria ignoranza sull’origine della Realtà.

I raggi della ruota, poi, sono il modo di vivere degli uomini, perché le strade che portano a Dio sono tante quanti sono gli uomini[27]. Il santo, nel suo percorso terreno avanza verso il centro; quanto più avanza, tanto più si avvicina a Dio, ma anche agli altri che stanno sugli altri raggi della stessa ruota; allo stesso modo, quanto più uno che non è per niente santo si avvicina agli altri, tanto più si avvicina a Dio.[28] Ne consegue che anche colui che nega l’esistenza di Dio e si crede ateo, nel momento in cui è ‘aperto’ agli altri e si avvicina agli altri nelle sue relazioni umane, in realtà si sta avvicinando a Dio molto di più di colui che in astratto dice di credere in Dio, ma non muove un passo verso il centro e resta fermo sulla circonferenza. Il problema vero c’è solo per coloro che, sperando di salire verso il cielo (verso il centro della ruota), non pensano ad altro e perdono completamente di vista i propri simili, che invece restano sempre ben visibili qui sulla terra.

 

 


NOTE

[1] Nel Libro X delle Leggi.

[2] Polibio, Storie, VI n.56; Sallustio, La guerra di Giugurta, Cap. XLI.

[3] Così, ad es., pensava il filosolo greco Epicuro, il quale non negava l’esistenza di dèi, ma era convinto della loro indifferenza rispetto al genere umano.

[4] Ad es., quante volte abbiamo sentito dire che le anime tenute in purgatorio possono essere aiutate dai suffragi dei fedeli e “in modo particolarissimo col santo sacrificio della messa...” (Concilio di Trento, Sessione XXV, 3-4.12.1563, Decreto sul Purgatorio, in www.totustuustools.net/Concili).

[5] Di Giacomo F., Cronache celesti, “Il venerdì di Repubblica”, n. 1318/2013, 43.

[6] Mondin B., La Trinità: mistero d’amore, ed. ESD, Bologna, 1993, 35).

Di conseguenza tutti i comunisti erano atei e automaticamente scomunicati. Non molti ricorderanno il tentativo di monsignor Luigi Bettazzi di aprire invece un dialogo con i comunisti. Al suo scritto aveva risposto Berlinguer (“Rinascita”, n.40 del 14.10.1977) sostenendo che il partito comunista (PCI) non era ateo, ma laico, ed era pronto a collaborare a fianco di vescovi come Bettazzi, a favore degli ultimi. Dunque, la distinzione che appare netta fra atei e credenti già si riduce o quasi si azzera se stiamo dove dobbiamo stare: con i poveri.

[7] Ricca P., Paolo afferrato da Cristo, in Ricordati dell’amore, ed. Paoline, Milano, 2007, 87 ss.

[8] Riportato in Robinson J.A.T., Dio non è così, ed. Vallecchi, Firenze, 1965, 74.

[9] Lettera di Vincente van Gogh, del 21.12.1881, reperibile in vari siti; ad es. nel sito comunità di base di Verona in Mancuso V., Dio e il suo destino, Garzanti, Milano, 2015, 5.

[10] Cioè un mondo, il nostro, totalmente dipendente da un altro mondo parallelo al nostro.

[11] Hadjadj F., Come parlare di Dio oggi?, Messaggero, Padova, 2013, 34.

[12] Castillo J.M., Simboli di libertà, Cittadella, Assisi, 1983, 39.

[13] Vannucci G., Esercizi spirituali, Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 147s.

[14] Opinione dell’astronoma Margherita Hack, che si dichiarava atea, richiamata in Di Piazza P., Compagni di strada, Laterza, Roma - Bari, 2014, 8.

[15] Villamayor S., Nasce ed esce, in Oltre Dio, a cura di Fanti C. e Vigil J.M., Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 136.

[16] Kerney R., Ana-teismo. Tornare a Dio dopo Dio, Campo dei Fiori-Fazi, Roma, 2012, 196: c’è comunanza nel concetto di misericordia in una grande varietà di religioni:

-Zoroastrismo: Non fare agli altri ciò che è dannoso per te (Sahyast-na-Shayast 13, 29),

-Buddhismo: Non offendere gli altri con quello che offende anche voi (Udᾱnavarga 5, 18),

-Giainismo: Dovremmo trattare tutte le creature del mondo come noi vorremmo essere trattati (Mahavira, Sutrakrtanga),

-Sikkismo: Non sono straniero per nessuno, e nessuno è per me straniero (Guru Granth, Sᾱhib, 1299),

- Confucianesimo: non fare agil altri quello che non vorresti venisse fatto a te (Confucio, Dialoghi, 15, 23)

- Induismo: Non fare agli altri ciò che ti causerebbe dolore se fatto a te (Mahᾱbhᾱrata 5, 1517)

[17] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae,  II-II, q.11, a.1. Dizionario storico del papato, diretto da Levillan P., ed. Bompiani-RCS, Milano, 1996, vol. I, voce eresia.

[18] Binns J, Le Chiese ortodosse, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 2005, 75s. Ai tempi del Concilio di Trento, che non diede una definizione né di eresia, né di sacramento, diversi teologi ritenevano che fosse eretico tutto ciò che si opponeva ai riti ecclesiastici; altri qualificano eretico chi la pensava in maniera diversa da come pensava la Chiesa romana; altri ancora ritenevano eretica qualunque dottrina che fosse stata formalmente respinta dai più prestigiosi autori cristiani dell’antichità. Sostanzialmente oggi è eretico solo chi nega o mette in dubbio una verità di fede divina e cattolica; all’epoca poteva essere considerato eretico anche chi si opponeva a determinate usanze o tradizioni della Chiesa romana (Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 415 ss.).

[19] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.11, a.1, in www.documentacatholicaomnia.eu.

[20] Che la Chiesa abbia avuto questa tentazione, lo si riscontra nella divinizzazione del potere papale, ricevuto direttamente da Dio.

[21] Nell’islam, non essendoci un’autorità che decide cosa è eretico e cosa è ortodosso, l’eresia è l’esasperazione dei concetti, mentre l’ortodossia è ciò su cui concorda la comunità che segue la Summa (l’insieme di conoscenze - detti e comportamenti di Maometto – inseriti in una Raccolta accreditata).

[22] Bianchi A., Le religioni: ostacolo alla fede o vie di salvezza? in E se Dio rifiuta la religione?, Cittadella, Assisi, 2005, 229 s.

[23] Melloni J. e Cobo J., Dios sin Dios. Una confrontción, Fragmenta, Barcellona, 2015, 47.

[24] Riportata in Martini C.M. e Sporschill C., Conversazioni notturne a Gerusalemme, Mondadori, Milano, 2008, 102 s.; v. anche Bartolomei M.C., Cerco un centro, “Jesus” n.10/2013, 98.

[25] Vannucci G., Il richiamo dell’infinito, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2006, 50.

[26] Ibidem.

[27] Ratzinger J., Dio e il Mondo, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, 253.

[28] Naturalmente, anche questo concetto è imperfetto, perché non possiamo concepire la vicinanza di Dio come una presenza spaziale. Potremmo forse rendercela presente come un costante flusso di energia e di forza orientatrice (Houtepen A.W.J., Dio, una domanda aperta, ed. Queriniana, Brescia, 2001, 297).