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Presbiteri di rito ghe'ez (di Eritrea ed Etiopia) - foto di pubblico dominio

L’incoronazione

di Stefano Sodaro

Ordinazione episcopale del nuovo Vescovo di Trieste mons. Enrico Trevisi nella Cattedrale di Cremona sabato 25 marzo 2023 - foto per gentile concessione della Diocesi di Cremona

Immagini di riti cristiani eritrei/etiopici e messicani, di pubblico dominio

Miriam Camerini a Trieste il 20 ottobre 2022 per lo spettacolo Le belle bandiere - Foto di Gianni Passante

Il rito romano prevede che si proclamino proprio questa domenica, V di Pasqua dell’anno liturgico A, le seguenti parole tratte dalla Prima Lettera di Pietro, al capitolo 2, verso 9: «Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale.». Sacerdozio regale, già.

“Ufficio dell’Incoronazione” si chiama, nella liturgia di tutte le Chiese d’Oriente, la celebrazione del matrimonio, del quale – la sorpresa farà saltare sulla sedia qualcuno/a – ministro è il presbitero e non invece ognuno degli sposi come nella Chiesa Latina. Il presbitero incorona gli sposi e tale gesto partecipa della valenza sacramentale dell’evento celebrato.

Altro versante, altra riflessione. L’ordinamento canonico dispiega – ovviamente – la sua efficacia solo nei confronti dei/delle battezzati/e. Chi non è cristiano/a non è soggetto/a ad alcuna prescrizione canonica (salva la vigenza universale del cosiddetto “diritto naturale”). Con un correlato piuttosto singolare: benché un “soggetto passivo non-cristiano” non sia possibile all’interno dell’assetto normativo positivo della Chiesa Cattolica, quest’ultima ritiene di poter invece pronunciarsi su ogni aspetto, anche di natura giuridica, della vita degli uomini, di qualunque fede siano ed anche se di nessuna fede. Quel “diritto naturale” appunto, di cui si continua – sempre meno convintamente e sempre più debolmente – ad invocare l’incidenza prescrittiva.

Immaginiamo dunque che una rabbina si rivesta di piviale, mitria e bastone pastorale, rigorosamente senza alcun segno che rinvii alla fede cristiana, né croci, né “Jesus Hominum Salvator” abbreviati in “JHS”, né Madonne o Santi. Semplici abiti, semplice (insomma…) copricapo, semplice – benché stilizzato, vabbè - “vincastro” di biblica memoria. In buona sostanza gli stessi abiti, ma deconfessionalizzati, di Justin Welby ieri a Londra. Il quale, come osservava molti anni fa Hans Küng, non dovrebbe essere altro che un “pio laico” per la stretta dottrina cattolica, così come tutti i preti e vescovi anglicani.

Immaginiamo pure, come in una specie di idea di romanzo, che la rabbina, così ammantata, imponga le mani a qualcuno. Che succederebbe? Certo, proprio il canone 1012 del Codice di diritto canonico dispone: “Ministro della sacra ordinazione è il Vescovo consacrato.”. Ma non dice “solo” il Vescovo consacrato. E, come si accennava, la norma canonica non può obbligare chi non è battezzato/a. Dunque?

Ancora. Numero 783 del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Gesù Cristo è colui che il Padre ha unto con lo Spirito Santo e ha costituito «Sacerdote, Profeta e Re». L’intero popolo di Dio partecipa a queste tre funzioni di Cristo e porta le responsabilità di missione e di servizio che ne derivano.”.

Leggiamo le parole di consacrazione del Crisma.

“Ora ti preghiamo, o Padre: santifica con la tua benedizione quest’olio, dono della tua provvidenza; impregnalo della forza del tuo Spirito e della potenza che emana dal Cristo dal cui santo nome è chiamato crisma l’olio che consacra i sacerdoti, i re, i profeti e i martiri.”

E dal Prefazio sempre della “Messa Crismale”: “Egli comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti, e con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che mediante l’imposizione delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza.”.

Veniamo all’attualità più viva. La versione del Messale Romano adattata alla cultura india, di cui ci siamo occupati sul numero 711 della scorsa domenica,  è stata approvata all’unanimità in questi giorni dalla Conferenza Episcopale Messicana. Ora dovrà pronunciarsi Roma. E tuttavia non è possibile sottrarsi alla chiara impressione che ci sia qualcosa di profondamente sacerdotale, profetico e regale nell’attualizzare liturgicamente «el servicio de guía de la oración del ‘principal’, el oficio de incensar principalmente de las mujeres, y las danzas de acción de gracias como forma de oración», come spiega il mons. Rodrigo Aguilar, Vescovo di San Cristóbal de las Casas, nell’articolo cui rinviamo.

Ieri, nell’Abbazia di Westminster, durante l’incoronazione del Re Carlo III – inserita all’interno della celebrazione eucaristica anglicana – l’Arcivescovo di Canterbury ha detto nel suo sermone: “Gesù Cristo ha annunciato un Regno in cui i poveri e gli oppressi sono liberati dalle catene dell’ingiustizia. I ciechi vedono. Chi è ferito e ha il cuore spezzato viene guarito.” Strano modo di vedere la regalità. Strano Regno.

E però, insegna la dottrina, il Regno di Dio è molto ma molto più vasto dei confini della Chiesa. Anzi, in quel Regno, confini non ci sono più.

A quando, allora, Vescove e Vescovi del Regno di Dio, di qualunque credo? Corone, mitrie, veli e tiare, a libera scelta, beninteso, rispettando - questo sì - un gusto estetico sempre impregnato di profondo senso etico.

Buona domenica.