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Lo Shabbat di tutti a Sondrio



di Simone Evangelisti



Il venerdì 20 gennaio 2023, dopo il tramonto, Miriam Camerini ha proposto a Sondrio il suo Shabbat di tutti, con i musicisti Rocco Rosignoli e Rouben Vitali, grazie al Centro Evangelico di Cultura, che ha organizzato la serata, e alla disponibilità della Parrocchia del Sacro Cuore.

È stata così allestita e imbandita una mensa, come spazio necessario per dare corso al sacro; grazie al cibo messo in comune e alle parole che lo accompagnano si apre una nuova dimensione, diventando un convivio “dantesco” (nella condivisone del sapere e dei sapori). Le pietanze preparate da Manuel Kanah, secondo i dettami della kasherut, sono in realtà una sintesi delle reciproche influenze che il mondo variopinto dell’ebraismo ha incontrato lungo le sue molteplici strade, nello spazio e nel tempo. Assaggiamo preparazioni che sanno di Est Europa (con simulacri di pesci riempiti di pesce, probabile invenzione delle donne per rispettare i precetti) ma al contempo di Sud e poi veleggiamo verso Israele e ancora più a oriente con la halva che mette d’accordo, nel nome della sua pastosa dolcezza, tra tutte le culture mediorientali. Rispettare la kasherut, grazie alla guida lieve (nel senso calviniano del termine) di Camerini diventa un piacere condiviso tra tutti, non sentito come divieto ma come forma di riflessione sul senso religioso e festoso di ogni cibo. Il godimento che ricaviamo dal bere e del mangiare è finalmente libero dal senso di colpa perché nella festa legittimato e richiesto come atto di fede. Nell’uso ebraico è abitudine riservare al Sabato le prelibatezze non come momento privato ma come necessaria condivisione. L’abbondanza serve a non lasciare vuoti di scontento o di mancanza.

Il sacro di questa festa chiede un ascolto di nuovi riti che accoglie, nel proprio spazio-identitario, le altre fedi senza mettere un filtro. Così entriamo nella liturgia di questo Shabbat con la musica che divide e sottolinea i vari passaggi, interrompendo e talvolta sovrapponendosi al fluire delle preghiere e delle parti commentate. La musica delimita anch’essa lo spazio sacro, creando una bolla sonora, un focolare nella freddissima notte alpina. Le note aiutano a superare gli imbarazzi dei nuovi incontri e suscita ricordi di chi ritrova, da laico, le parole della preghiera cantata da bambino o da ragazzo. Per più di una persona questa sera, ebrei solitari in questa valle, il canto del rito è ritorno alla famiglia che esiste ormai solo nel ricordo o che è dolorosamente lontana; così è almeno per un giovane nigeriano che lavora, come operaio, in una fabbrica qui vicina e che accoglie questo dono prezioso e inaspettato in un’area dove non vi sono altrimenti possibilità di condivisione della propria fede.  La sera si chiude nella musica e nel testo che sembra non voler fluire fuori dal luogo dove si è provvisoriamente esplicitato nella luce tenue delle candele (per rispettare il precetto di non accendere fuochi). Nessuno osa, per un po’, uscire dalla mensa, da questo spazio separato, temenos, reso sacro non da immagini, statue o altari ma solo dal cibo di festa e dalle parole. Tutti privi della tecnologia dei cellulari che ci legano a mondi e alle nostre trame private, siamo costretti all’hinc et nunc. Siamo ancora abituati a questo?  

Miriam Camerini a Sondrio ha ricreato un momento di pace, ha istituto legami tra presente e passato, e almeno per me, ha svolto una sorta di “riparazione”. Nel 1943 ad Aprica, piccolo paese dove c’era uno dei più grandi campi di internamento per ebrei stranieri d’Italia, fu aperta, per la prima volta in provincia di Sondrio una sinagoga e furono accese, nei rifugi provvisori, le luci dello Shabbat. Si tratta di una piccola storia che racconta una fuga verso la Svizzera e quindi la salvezza, ma non per tutti, che avrò, spero, modo di raccontare. Ora, in prossimità del Giorno della Memoria, per mia espressa volontà e grazie alla spiritualità festosa di Miriam Camerini, la dimensione del sacro, fuori dal tempo, riannoda i fili, tagliati dall’oblio dei molti, e colma un vuoto dopo quell’autunno tragico del 1943.