Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org

OMNIA PROBATE


(Vagliate tutto / Ritenete il buono)







Rubrica quindicinale a cura di Guido Dotti, monaco di Bose


n° 36 

FIGLIO DI RE NEL GHETTO

Kalonymus Shapira



di Guido Dotti

 

Kalonymus Shapiro - immagine tratta dalla rete

Le dure angustie, oltre al fatto che sono un male in se stesse, lo sono anche per il fatto che l’uomo, a causa loro, si abbatte e non percepisce più la sua condizione elevata. Al contrario, noi dobbiamo farci forza anche nelle angustie per essere come un figlio di re preso prigioniero: perfino quando è torturato, egli è comunque un figlio di re torturato! Così Dio avrà compassione di noi e ci salverà immediatamente, subito!


Kalonymus Shapira, Nuovi responsi di Torà dagli anni dell’ira, Giuntina, Firenze 2023, p. 306




La vita degli ebrei rinchiusi nel ghetto di Varsavia ha mantenuto fin quando è stato possibile – cioè fino a poco prima dell’annichilimento dell’insurrezione e la conseguente distruzione del ghetto con deportazione dei sopravvissuti – gli elementi essenziali che costituiscono e nutrono una comunità ebraica, a cominciare dalle funzioni sinagogali e i relativi sermoni del rabbino. Anche rav Shapira, nel prodigare ai discepoli le sue cure spirituali non ha mai fatto mancare loro il proprio insegnamento, commentando i brani biblici previsti per i sabati e le feste. Pronunciati in yiddish, i testi venivano poi subito trascritti in ebraico dal rabbino stesso il quale, quando si profilò la tragica fine di quella comunità, provvide a metterli in salvo nascondendoli in una cisterna per il latte.

È grazie a questo accorgimento che noi oggi possiamo gustare insegnamenti sulla Torà che, senza mai fare espliciti riferimenti a eventi o persone precise, si calano con estrema concretezza nella quotidiana tragedia che gli ebrei di Varsavia stavano vivendo. Ed è da lì, da quel luogo di “dure angustie” e da quei “tempi dell’ira” che risuona per noi il richiamo a mai dimenticare la dignità di ogni essere umano di cui nessun tiranno potrà mai privarci. È la consapevolezza di essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio, di essere quindi, sempre e comunque “figli di Re”. Incoraggiarsi a vicenda a non abbattersi, riscoprire la propria dignità e a essere consapevoli della propria vocazione regale è il tesoro prezioso che ci è dato di discernere e di trasmettere, in qualsiasi circostanza.

La tragica fine degli abitanti del ghetto e di milioni di ebrei nella shoah sembra contraddire brutalmente l’esclamazione di rabbi Shapira: “Dio avrà compassione di noi e ci salverà immediatamente, subito!”. O forse proprio la perdurante consapevolezza di essere “figli di Re”– pur prigionieri, torturati e messi a morte – è già parte della compassione di Dio e della sua salvezza, in attesa del Messia?




Kalonymus Shapira (1889-1943), nato in Polonia in una famiglia di antica tradizione chassidica, già a vent’anni divenne rabbi di Pieseczno, un sobborgo di Varsavia. Quando venne istituito il ghetto di Varsavia, Shapira rimase con i suoi discepoli, continuando a guidarli con le sue omelie e a sostenerli materialmente e spiritualmente. Deportato nel campo di lavoro di Trawniki nella primavera del 1943, il 3 novembre di quello stesso anno venne fucilato dalle SS insieme a numerosi compagni di prigionia.


Chiesa monastica di Bose - foto tratta da commons.wikimedia.org