Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

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10. Domande e risposte su Chi è Gesù?


di Dario Culot



18. Ma se siamo veramente monoteisti, com’è che salta fuori che in Dio c’è anche un Figlio, il Verbo preesistente che è persona al pari dello Spirito santo? Non siamo davanti a una struttura politeista?

Effettivamente questo è ciò che ci contestano i musulmani. Ora, il fatto che Gesù̀ sia stato crocifisso e risorto per opera del Padre, come insegna il magistero, mostra senza ombra di dubbio che siamo davanti a due entità distinte. Ma Gesù è divino? Lo Spirito santo poi, essendo lo spirito di Dio, è ovviamente divino, ma è una persona distinta? Non è facile rispondere a queste domande, ma è legittimo porsele. Comunque parlare dello Spirito santo ci porterebbe troppo fuori tema, per cui mi limiterò a rispondere alla domanda sul Verbo.

La spiegazione per identificare il Gesù terreno col Verbo divino, in linea con gl’insegnamenti della Chiesa, è sostanzialmente questa:

a) Dio nessuno l’ha mai visto. Ma poi il vangelo aggiunge: «il Figlio Unigenito, che è Dio, ed è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Dunque, da un lato si dice che nessuno ha mai visto Dio, ma dall’altro c’è Qualcuno che ci ha fatto conoscere Dio, sicché, anche se non lo abbiamo visto, l’abbiamo in qualche modo conosciuto.

b) E questo Qualcuno che ce lo ha fatto conoscere è il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre. Ora, il Padre ha generato come unico Figlio il Verbo[1]. Quindi Verbo e Figlio sono la stessa cosa. Visto che Giovanni parla di generazione del Verbo, al Verbo implicitamente riconosce di essere anche Figlio, per cui vi è perfetta identificazione fra Verbo e Figlio, che sono un solo soggetto. Il Verbo, generato (non creato[2]) dal Padre, è quindi il Figlio; perciò Figlio o Verbo increati sono Dio.

Ma com’è che Dio ha generato? Dio è puro Spirito, e il suo primo atto è il pensiero. Ma a differenza del pensiero imperfetto e finito degli uomini, in Dio – la cui attività è infinita e perfetta – lo spirito genera d’un sol tratto un pensiero uguale a Lui stesso, che lo rappresenta tutto perfettamente e interamente, senza bisogno di un secondo pensiero. Questo pensiero unico e assoluto resta eternamente in sua presenza come una rappresentazione esatta e perfetta di Dio stesso, ed è il suo Verbo interiore, la sua Parola interiore, come anche il nostro pensiero è la nostra parola e il nostro verbo (però imperfetti). E come nell’uomo il pensiero è distinto dallo spirito senza esserne separato, così in Dio il pensiero è distinto senza essere separato dallo Spirito che lo genera, per cui diciamo che il Verbo è consustanziale al Padre, perché il pensiero di Dio s’identifica con Dio[3]. Come noi ci vediamo riflessi in uno specchio, il pensiero di Dio riflette completamente Dio[4].

c) Questo Verbo-Figlio, a un certo punto, si è fatto carne, cioè si è fatto presente nella nostra storia, ed è Gesù. Quindi Gesù, con pregressa natura divina e a un certo punto anche umana,[5] è il Verbo/Figlio, per cui è anche Dio. Pertanto non solo si può, ma si deve dire che Gesù va identificato col Verbo di Dio, per cui Gesù è Dio, la seconda persona della Trinità (art. 69 e 81 Catechismo Pio X; nn. 241, 423, 454 Catechismo), come del resto conferma anche il § 10 della Dominus Iesus del 6.8.2000 della Congregazione per la Dottrina della Fede: “Deve essere fermamente creduta la dottrina di fede che proclama che Gesù di Nazareth, figlio di Maria, e solamente lui, è il Figlio e il Verbo del Padre”. Ripeto quanto detto nella relazione: il Verbo è entrato in Maria solo come divino (essendo persona divina e avendo natura divina). A quel punto, in Maria, ha aggiunto la natura umana (che era propria di Maria), ed è uscito da Maria come uomo, senza perdere la sua divinità, ma anche senza diventare persona umana. Ma qui non siamo più d’accordo.

La prima domanda è: ma com’è venuto in mente a Giovanni di dire che nel seno del Padre c’è un Figlio? Che il Padre ha generato un Figlio (Logos o Verbo)? Come sempre, chi scrive sale sulle spalle di chi ha scritto prima di lui. Così è anche per Giovanni.

Gli ebrei, a contatto con il mondo greco – che aveva concepito la metafisica e presentato l’immagine di un Dio totalmente trascendente, eterno, immutabile (il famoso motore immobile aristotelico, che – a ben guardare,- nulla ha a che vedere col Padre dinamico di Gesù: infatti il Dio d’Israele conduce la storia, mentre il motore immobile di Aristotele si disinteressa della storia dell’uomo[6]) – si erano resi conto, a un certo punto, che l’immagine del loro Dio era troppo antropomorfa[7] (cioè affine all’uomo), dal momento che il loro Dio aveva occhi per vedere, orecchi per sentire, sentimenti umani quali l’ira,[8] eccetera. Gli ebrei non avevano mai pensato di dare una definizione ontologica del loro Yhwh, non avevano cioè mai pensato di definirne l’essenza[9]. La Bibbia, come già detto più volte, ci racconta i fatti della vita, per cui usa un pensiero storico che si serve del verbo “accadere,” non del verbo “essere”. Ci dice cosa succede quando Dio si fa presente in mezzo agli uomini.

A un certo punto, però, sotto l’influsso pressante della filosofia greca (vedete bene quanto conta la cultura che cambia nel tempo, il che dovrebbe valere anche oggi non essendo possibile dire che un’idea è giusta solo perché viene da una lunga tradizione[10]), anche gli ebrei si sentirono costretti ad aggiustare il tiro e resero Yhwh più trascendente, e quindi più lontano[11]. Aggiustare il tiro non significa cancellare tutto il precedente, ma ripensarlo e trasformarlo per renderlo accettabile oggi.

Perciò, una volta rappresentato Dio come figura lontana e inaccessibile nella sua trascendenza, per mantenere il contatto fra il mondo terreno e questo Yhwh ormai in parte ellenizzato, fu necessario collocare un ente intermedio emanante da Lui. Quando cioè Dio viene concepito in maniera più trascendente, non lo si vede più apparire in prima persona sulla terra come in passato, ma qui viene sostituito da questo ente intermedio, ad esempio da un suo angelo. Leggiamo Es 3, 2: a Mosè appare l’angelo del Signore; ma poi non si parla più di quest’angelo, bensì solo di Dio, sicché con l’introduzione della figura dell’angelo siamo chiaramente davanti a un’interpolazione aggiuntiva perché, appunto, Dio è ormai diventato trascendente, e da lassù non si abbassa più ad entrare direttamente in contatto con gli uomini; sono i suoi angeli a scendere per lui, e solo con essi si può entrare in relazione. Col cristianesimo avverrà un passo indietro, perché Dio si degnerà di nuovo di abbassarsi al livello umano (con l’incarnazione).

Teniamo presente che anche il serpente diabolico che tenta Eva è un ente intermedio, inserito per giustificare il male[12]. Quindi non era difficile, in quella cultura, far accettare degli esseri intermedi[13].

Lo stesso accade nel vangelo: c’è l’angelo del Signore[14] che annuncia la nascita del bambino ai pastori, ma essi riconoscono nell’angelo Dio in persona, come ben evidenzia Alberto Maggi: infatti si legge in Lc 2, 15: “Andiamo fino a Betlemme a vedere quello che il Signore (non l'angelo) ci ha fatto sapere”.

Alla fine, per gli ebrei ellenizzati, l’ente intermedio per antonomasia è stata la Sapienza, la quale si occupava di Israele, come prima si era già occupata della creazione, perché questa Sapienza già esisteva prima della creazione (Pr 8, 22): era cioè preesistente. La Sapienza era anche sinonimo di Legge, quella ricevuta da Mosè sul Sinai, luce per gli uomini[15] in quanto permetteva ad Israele di conoscere la volontà di Dio: per rispettare Dio bisognava obbedire alla sua Legge. Nel periodo ellenistico, la Sapienza venne personificata,[16] venne cioè descritta come persona acquisendo autonomia (i teologi, usando termini più difficili, dicono che fu concepita come un’entità ipostatizzata), e finì per diventare un mitico essere celeste preesistente (Prv 8, 12-31), per così dire “la figlia favorita di Dio”, inaccessibile agli uomini, tranne a coloro cui Dio la riveli (Gb 28, 12-28). La Sapienza, per gli ebrei, era accanto a Dio già prima della creazione e per mezzo di lei tutto venne creato (Pr 8, 22). Ed è sempre la Sapienza che “siede alla destra di Dio” per cui vede il mondo nella sua stessa prospettiva[17]. Non c’è separazione fra Sapienza e Dio[18]. A parte il fatto che si parla di Figlia anziché di Figlio, questa storia vi ricorda niente? Già sentito un discorso del genere?[19] La Sapienza dunque era percepita dagli ebrei come una figura divina che permetteva di camminare in o con Dio. Conoscere la Sapienza era conoscere Dio, e in tal modo l’Inconoscibile, uscito dai cieli, era più vicino agli uomini. La Sapienza era dunque un’altra immagine di Dio, come la Legge donata sul Sinai. La legge era un corpo esterno di dati che potevano essere studiati; la Sapienza era una presenza divina pervasiva da interiorizzare. Nella Legge la volontà di Dio era proclamata; nella Sapienza la vita di Dio veniva vissuta. Ecco dunque che la Sapienza viene a un certo punto personificata e diventa l’incarnazione di Dio in terra.

Avendo assorbito questa cultura, Giovanni scrive il suo vangelo.

In greco questo ente intermedio di collegamento prese il nome di Logos, in latino il nome di Verbum,[20] in italiano di Verbo o Parola[21]. Infatti, con Filone d’Alessandria (filosofo ebreo e probabilmente sacerdote del primo secolo d.C.) il termine greco Logos venne connesso al tema biblico della “Parola di Dio”, acquisendo la fisionomia di un agente quasi personale, cosciente, della volontà creatrice e provvidente di Dio.

Presto anche i cristiani più dotti hanno finito per identificare la Sapienza con il Lògos che già era “in principio” e che venne tra la sua gente per rivelare il volto del Padre. Il Logos (o Parola) era quindi sinonimo di Sapienza, e ancora oggi nella nostra liturgia della prima domenica di gennaio la lettura di Sir 24,1-4.12ss. che parla della Sapienza viene abbinata al prologo di Giovanni che parla del Logos. Si ripete cioè pari pari il discorso fatto per la Sapienza, ma se dapprima si è solo davanti a un cambio di nome (da Sapienza a Logos), poi il posto della Sapienza viene preso da Gesù, un uomo in carne ed ossa che viene identificato col Logos. Gesù viene visto nel primo cristianesimo come incarnazione della Sapienza, del Logos. Nel cristianesimo, cioè, il Logos diventa persona fisica: Gesù Cristo. Il Logos (o Figlio) si è fatto carne in Gesù, Figlio di Dio (Gv 1,14.18), venendo a vivere e muoversi concretamente in mezzo agli uomini, per tornare a Dio al termine della sua missione. Chiaro allora anche il passo ulteriore: se si identifica il Verbo con Gesù, si finisce col dire che tutte le cose sono state create non per mezzo del Verbo, ma per mezzo di Gesù, che Gesù era preesistente ed è tornato a Dio al termine della sua missione sedendo alla destra del Padre. Inoltre, mentre nell’ebraismo Sapienza-Logos non s’incarnano mai in un uomo soltanto, essendo presente ovunque si trovano uomini che imparano e seguono la Torah, nel cristianesimo l’incarnazione ha finito per esprimere la presenza reale di Dio in un uomo solo: Gesù[22]. Quindi ancora più facile è stato identificare il Verbo solo con Gesù.

Ripeto qui quanto detto nella relazione: anche se è vero che tutte le cose sono state create per mezzo del Verbo (Logos), Gesù-uomo dovrebbe poter entrare in campo solo attraverso la comunicazione degli idiomi. Invece la gente ha finito per credere che essendo Gesù il Logos, Gesù è preesistente, ha creato tutte le cose, e al termine della sua missione torna in cielo e siede alla destra del Padre. Questo almeno pensa una grande fetta di credenti quando recita il Credo.

Ma non dovrebbe stupire tutti il fatto che nel Credo sembra esserci un doppio autore della creazione? Forse che Dio-Padre non era sufficiente per creare? All’inizio si dice che Dio è creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili e invisibili; e allora come mai subito dopo si aggiunge che tutte le cose sono state create per mezzo del Figlio? Come mai quasi nessuno si pone queste domande? È vero che ci hanno spiegato che le tre Persone hanno una intelligenza sola ed una sola volontà, per cui ciò che pensa, vuole e fa una Persona, lo pensano, lo vogliono e lo fanno anche le altre due. Dunque se Dio Padre pensa e crea il mondo, lo stesso devono aver pensato e fatto anche il Verbo e anche lo Spirito santo, perché tutto è in comune fra i tre. Ma neanche questo trova conferma nel Credo che parla solo delle prime due Persone. Di più: nel momento in cui Gesù rivela la sua relazione intima col Padre (Lc 10, 21s.) rende di nuovo lode solo al Padre e afferma che nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre. Ma se le Persone sono tre, in strettissima comunione ed uguaglianza, non avrebbe dovuto coinvolgere nella sua preghiera anche lo Spirito Santo? Evidente che in origine vi era solo una tendenza binaria,[23] e non trinitaria.

Quindi la spiegazione della duplice creazione non trae origine dal concetto cristiano di Trinità, ma da qualcosa di molto più antico. Per la produzione di un essere qualsiasi devono concorrere vari principi: la causa propriamente detta, la materia e lo strumento. Se qualcuno domandasse cosa occorre per la costruzione di una casa, si direbbe: un operaio, delle pietre e degli strumenti. Quando poi si passa da queste costruzioni minori alla grande casa che è il mondo, si troverà che la causa è Dio che l’ha fatto, la materia sono i quattro elementi pensati dalla filosofia antica (il mondo si riteneva allora composto da acqua, aria, terra, fuoco), lo strumento è la Sapienza, o Logos divino mediante il quale è stato costruito. Questo ente intermediario (che ha una matrice biblica) è stato specificamente introdotto nel cristianesimo col solo Vangelo di Giovanni,[24] il più filosofico dei quattro vangeli. L’operaio-divino-Dio ha usato lo strumento Logos-Verbo per realizzare la terra e il cosmo. Quindi il Logos (o Verbo, o Figlio) è considerato lo strumento col quale Dio ha fatto tutte le cose. Solo così si può dire che “per mezzo del Figlio” le cose sono state create. Però qui, come si vede, non c’è spazio per lo Spirito santo.

In sintesi, ecco spiegato come mai, nel Credo, la gente ha finito col sostituire Gesù alla Sapienza-Logos con i suoi attributi:[25] tutto ciò che esiste è espressione del Verbo (Parola) di Dio, proprio come è avvenuto con la Sapienza. E come non c’è separazione fra Sapienza - la figlia prediletta di Dio, - e Dio, così il Verbo-Logos è il Figlio unigenito: non c’è separazione fra Logos e Dio[26]. Ma essendo poi Gesù stato identificato con il Dio-Logos, non c’è neanche separazione fra Gesù e Dio.

Questo schema di pensiero (l’utilizzo di un ente intermedio personificato), come si vede ben antecedente al cristianesimo, che serve a garantire l’autorità divina di un essere celeste, è stato applicato dai cristiani a una persona storica come Gesù. E una volta identificato Gesù col Verbo, ecco che lui è preesistente alla sua nascita terrena, e alla fine si colloca alla destra di Dio. Ma siamo chiaramente davanti a una costruzione filosofica umana, non davanti a una Rivelazione, perché Gesù non ha mai detto nulla al riguardo.

Forse, in termini più moderni e appropriati, si potrebbe definire il Verbo-Figlio semplicemente come il canale comunicativo di Dio,[27] senza doverlo anche personificare.

Tanto più che questa stretta cooperazione fra Padre e Figlio nel Vangelo di Giovanni ben può esprimere solo un’unità operativa, un’unità d’azione, non un’unità metafisica,[28] perché – ripeto anche questo, - i vangeli, in seguito interpretati alla luce della metafisica, non usavano la metafisica (neanche il vangelo di Giovanni lo fa): parlavano dell’accadere, non dell’essere. Ciò significa, come già detto in altre occasioni, che nella vita terrena di Gesù si erano manifestati accadimenti che si prestavano all’applicazione di questo modello interpretativo precostituito, perché chi seguiva Gesù aveva vissuto le esperienze proprie e le caratteristiche della vicinanza del divino o, se si preferisce, l’esperienza di qualcosa che trascende l’umano, il che rende credibile la sua funzione di salvezza decisiva (salvezza in Gesù da parte di Dio[29]). Ciò che però alla fine ci salva non è la dottrina ricevuta, ma la vita, il modo di vivere di Cristo. Le cose che Gesù ha detto e fatto sono il risultato di chi è lui,[30] e sicuramente aiutano a capire meglio chi è stato Gesù, ma non permettono di definirne l’essenza, al di là di ogni dubbio.

Mi sembra anche opportuno ricordare che Gesù ha zittito colui che nella sinagoga (cioè in un luogo sacro) aveva avuto la pretesa di aver capito qual era l’essenza di Gesù: “Io so chi tu sei!” (Mc 1, 24s.). No. Neanche nel luogo sacro nessuno ha capito nulla. Nessuno ha capito qual è l’essenza vera di Gesù. Non l’ha capito neanche la Chiesa, che poi ha voluto imporci la sua opinione. Gesù resta un mistero. Per questo, dopo duemila anni, siamo ancora qui a discuterne, mentre nessuno discute su qual era la vera natura di Giulio Cesare o di Napoleone.

Comunque a questa costruzione teologica trinitaria piuttosto artificiale e astrusa è stato giustamente obiettato: siccome il Verbo (il Figlio), già creava prima dell’incarnazione, cioè aveva creato le cose prima che nascesse Gesù ed era quindi preesistente a Gesù, perché il Verbo non potrebbe continuare a creare anche dopo l'incarnazione senza la carne dell’uomo Gesù? Perché non potrebbe aver proceduto con un’azione salvifica anche prima dell’incarnazione e anche dopo Gesù? Il Padre non stava forse salvando Israele già prima dell’incarnazione del Figlio?[31] Se così fosse, il Verbo meriterebbe il titolo di Salvatore ben più di Gesù.

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19. Se ho ben capito, Lei dice che Dio si manifesta in Gesù, senza che Gesù sia Dio, e che Gesù non ha mai detto di essere Dio. Ma come è venuta allora fuori, fra i cristiani, l’idea della divinità di Gesù?

Come sappiamo, gli scritti di Paolo (intorno agli anni 50) sono gli scritti cristiani più antichi che abbiamo[32]. Paolo neanche accenna a una nascita verginale miracolosa: Gesù è nato da donna (Gal 4, 4) come noi tutti, ed è stato generato dal seme di Davide come uomo (Rm 1, 3). Nessun miracolo, dunque, nessun intervento soprannaturale: è nato da un normale rapporto umano. Ciò significa che Giuseppe è il padre biologico[33]. Teologicamente, però, il padre cui Gesù assomiglia è Dio, non Giuseppe, perché Gesù comportandosi come si comporta Dio-Padre, e non il suo padre biologico, somiglia a Dio. Perciò sarà detto figlio di Dio.

Gesù, poi, durante la sua missione, non ha mai detto di essere Dio. Ha mai detto di essere uomo? Sì, basta leggere Gv 8, 40: «voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità…». Tuttavia, se leggete le vecchie edizioni dei vangeli (probabilmente anche quelle che avete ancora in casa) la parola “uomo” (ándropon) – presente nel testo originale greco,- di solito non si trova nei testi italiani[34]. La parola si trova di nuovo nell’ultima edizione della CEI del 2008: meglio tardi che mai. Anche la parola ‘uomo’ (anér), che Giovanni Battista pronuncia espressamente riferendosi a Gesù (Gv 1, 30), è stata di solito cancellata in quasi tutte le vecchie edizioni italiane, e – come diceva Andreotti,- a pensar male forse si fa peccato, ma normalmente si azzecca. Dover spiegare come mai Gesù non si fosse mai definito Dio, ma solo uomo, non aiutava a far accettare il dogma.

Il filone giudeo-cristiano, cioè il gruppo di cristiani di origine giudaica che si richiamavano a Giacomo, il fratello del Signore, capo della Chiesa di Gerusalemme, confessava la messianicità di Gesù, ma non certo la sua divinità, né il superamento del valore della legge mosaica[35]. Si è potuto arrivare al dogma di Nicea solo quando i giudeo-cristiani[36] sono stati sostanzialmente eliminati, perché chi proveniva dal giudaismo restava fermo sull’unicità di Dio (come del resto lo sono oggi ebrei e musulmani). Ma in tal modo, persa l’influenza prettamente giudaica, e salita a dismisura l’influenza culturale greca, alla Chiesa è fuggita l’umanità di Gesù a scapito della sua divinità.

Quando Pietro parla ai pagani sottintende per ben tre volte che Gesù, per lui, è un uomo, e non è Dio; ed essendo questo avvenuto ben dopo la pesca miracolosa (Lc 5, 8), viene smentito papa Benedetto,[37] il quale afferma che al momento della pesca Pietro avrebbe riconosciuto che Gesù era Dio:

- Gesù passò beneficando e risanando tutti...perché Dio era con lui (At 10,38), e non perché lui era Dio.

- gli uomini (NB: non Dio) lo hanno ucciso, ma Dio lo ha resuscitato (At 10, 39-40), e non lui è resuscitato perché era Dio.

- Gesù è giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio (At 10, 42), e non perché lui stesso è Dio.

Idem nella prima lettera di Pietro (1Pt 1, 21: Dio lo ha risuscitato dai morti). Gesù, cioè, è agente passivo della risurrezione. L’agente attivo è sempre e solo Dio.

Lo stesso ancora nella prima lettera ai Tessalonicesi di Paolo (1Ts 1, 10): attendere dai cieli il suo Figlio, che egli (cioè Dio) ha risuscitato dai morti.

Anche gli accusatori di Gesù vogliono lapidarlo perché “tu, che sei uomo, ti fai Dio” (Gv 10,33). Evidente la convinzione del magistero di trovarsi davanti a un normale uomo. Quindi sono consapevoli di uccidere un uomo, non Dio.

Quando l’apostolo Filippo, alla fine della missione di Gesù, gli dice: “Mostraci il Padre, e ci basta” (Gv 14, 8), nessuno dei compagni interviene contraddicendolo e facendogli notare che Dio sta già davanti a loro; vuol dire che nessuno degli apostoli pensava che Gesù fosse Dio, uguale al Padre, perché in quel momento Filippo chiede a Gesù dove e come si può incontrare Dio. Non pensa cioè minimamente che quell’uomo, davanti a lui in carne e ossa, sia Dio. E anche dopo morto i discepoli continuavano a pensare che Gesù fosse stato semplicemente un grande profeta[38] (vedi, ad es., i discepoli di Emmaus: Lc 24, 19).

- Avrete forse anche sentito parlare della fonte Q. Semplifico al massimo. Questa teoria è nata dalla teologia tedesca nel 1800: raffrontati i vangeli di Matteo e di Luca, i teologi hanno visto che questi due vangeli hanno saccheggiato in lungo e in largo il vangelo di Marco (di più Matteo, meno Luca, comunque fra il 90 e il 50%). Ma tolto il materiale marciano, i teologi hanno notato con stupore che c’è ancora una notevole quantità di materiale in comune fra i due, che non era di Marco[39]. Dunque si è pensato all’esistenza di un testo più antico, presumibilmente sempre della metà del I secolo, andato perduto, ma che sia Matteo sia Luca avevano potuto consultare. La cosa interessante è che neanche in questo materiale ci sono storie miracolose, sì che anche questo suggerisce che l’armatura soprannaturale e divina che in seguito è stata posta su Gesù non esisteva in origine[40].

Come si fa allora a passare sopra tutte queste molteplici e chiare indicazioni come se non esistessero? Pertanto non è solo possibile, ma mi sembra doveroso andare aldilà del muro difensivo dietro il quale il magistero si è asserragliato, e che sia onere suo chiarire tutti questi dubbi prima di imporre la sua dottrina.

Ma allora, da dove salta fuori questa divinità dell’uomo Gesù?

Se guardiamo a quello che ci raccontano i vangeli, è chiaro che quella gente si rendeva conto di stare davanti a un uomo. Però, al tempo stesso, quando meno se lo aspettava, si rendeva anche conto di stare davanti a qualcuno che dava l’impressione di essere molto di più di un uomo: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?» (Mt 8,27; Mc 4, 41; Lc 8, 25). L’esperienza vissuta dai testimoni di quei fatti, cioè, era a volte l’esperienza tipica del divino, perché la caratteristica della manifestazione divina è appunto quella di affascinare e creare contemporaneamente paura. Ecco lo stupore misto a paura che produce il misterioso, l’enigmatico, ciò che non ha spiegazione meramente umana. Ecco il frutto di una presenza più grande di quello che possiamo capire. I discepoli hanno capito che Gesù ha spiegato in modo nuovo chi è Dio, e ovviamente la loro fede non si è fermata a Gesù, autonomamente da Dio; non c’è stata cioè una fede in Dio e un’altra in Gesù. Però questa sovrapposizione ha aiutato a identificare l’uno con l’altro. Il che significa, in definitiva, che i testimoni oculari immediatamente hanno avvertito che in quell’uomo si manifestava qualcosa che stava al di sopra del comune mortale, visto che Gesù parlava e agiva dimostrando un’intimità col mistero originario (che chiamiamo Dio) così intensa rispetto al livello medio degli esseri umani, da risultare diverso dai comuni mortali. Sotto questo aspetto ha ragione il papa emerito a dire che i discepoli riconoscevano che Gesù non rientrava nelle categorie consuete[41]. Ma neanche di fronte a questo – come si è visto con la richiesta di Filippo,- gli apostoli lo hanno riconosciuto come Dio.

Il grande biblista cattolico americano Raymond Brown afferma che l’identificazione di Gesù con Dio è stata solo graduale[42] e non è emersa con immediatezza nei primi scritti. In altre parole, la definizione della natura divina di Gesù non compare mai durante la sua vita e neanche nei primissimi decenni dopo la sua morte, né è presente nella prima Chiesa, quella di Gerusalemme, retta inizialmente da Pietro, Giovanni e Giacomo (apostoli), e poi solo dall’altro Giacomo (fratello del Signore). L’autore pertanto suggerisce che l’attribuzione del titolo di Dio a Gesù abbia una doppia origine:

(1) A un certo punto, i due termini Signore e Dio vennero resi equivalenti perché si utilizzava per entrambi l’unica parola greca Kyrios[43] (cfr. anche n. 202 Catechismo). Mescolandosi, le due immagini cominciano a sovrapporsi e confondersi. Così la parola Kyrios si è caricata di più significati, e il Signore Gesù è presto diventato colui che regna sul mondo (oltre che ovviamente sulla Chiesa), colui che ha il primato su tutto in comunione con Dio. Da qui l’identificazione fra i due. Ma all’inizio, ancora Paolo, nella lettera ai Filippesi (Fil 1, 2), che pur è stata utilizzata per affermare la divinità di Gesù, tiene ancora nettamente distinto Dio da Gesù: “Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo”. Siamo davanti a due soggetti ben separati e non sovrapposti.

(2) Ma il motivo principale sta nell’uso liturgico e nella preghiera delle comunità cristiane, come si evidenzia dal fatto che, ad esempio, i passi in Tt 2,13, Gv 5, 20, 2Pt 1,1 sono chiaramente delle dossologie (cioè quelle orazioni di lode, di glorificazione di Dio - cfr. anche Ap 1, 5-6; Rm 16, 25-27). In altri termini, la maggior parte delle identificazioni di Gesù con Dio contenute negli scritti neo-testamentari sono copiate pari pari dalle preghiere in voga presso le comunità. Anche l’inizio del Vangelo di Giovanni era inizialmente un inno (confrontate infatti i versetti di Gv 1, 6-8 che sono in prosa, il che significa che c’è stata un’inserzione aggiuntiva nel testo che aveva una metrica precisa), e perfino la formula dell’apostolo Tommaso «Signore mio e mio Dio» (Gv 20, 28), che sembra un fatto storico, non fa eccezione perché ben può essere una formula battesimale o liturgica (analoga a «Gesù è il Signore») usata già ai tempi della Chiesa degli evangelisti.

È vero che Matteo parla di un battesimo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28, 19). Però la Bibbia di Gerusalemme annota con prudenza: “È possibile che questa formula risenta, nella sua precisione, dell’uso liturgico stabilitosi più tardi nella comunità primitiva. Soprattutto perché, invece, gli Atti parlano di battezzare “in nome di Gesù” (At. 2, 38; 10, 48), e lo stesso Paolo non battezza con formula trinitaria, ma solo nel nome del Signore Gesù (At 19, 1-7).

Non basta ancora: assai probabilmente siamo davanti a una consapevole e voluta scelta per contrapporsi al fatto che Domiziano, imperatore dall’81 al 96, esigeva che ci si rivolgesse a lui col titolo “Signore e Dio” (Svetonio, Vita dei dodici cesari, Libro ottavo, Domiziano, 13). I cristiani con quella formula rimarcavano invece che non era l’imperatore il vero Signore e Dio, ma piuttosto Gesù[44].

Se Ercole, se gl’imperatori romani potevano essere annoverati tra gli dei, perché un cristiano nato nel paganesimo non avrebbe potuto venerare come dio la figura salvifica di Gesù di Nazareth? Sicuramente egli meritava questo titolo mille volte di più di tutti gli dei e semidei di cui la cultura pagana era ricca[45]. Dunque, sembra ben ragionevole la supposizione che “dio” sia stato usato inizialmente nel senso ellenistico solo come un titolo di onore[46]. Non potrebbe allora essere che la formula “Gesù è Dio” sia stato solo un modo di dire, culturalmente condizionato, che aveva la funzione di descrivere la straordinaria importanza di Gesù nel farci conoscere meglio il volto di Dio, rispetto a quanto ci aveva già rivelato l’Antico Testamento?

Chiamare Gesù Dio era, per i primi cristiani, semplicemente espressione della loro venerazione e della loro totale devozione a lui, ma non un’affermazione teologica, senza rendersi conto che si stavano acriticamente e pericolosamente mischiando due immagini (ebraica ed ellenistica) e due linguaggi diversi[47].

L’obiezione che la devozione per Gesù è stata talmente forte nel cristianesimo da doverla necessariamente collegare solo a un essere divino non regge: infatti, per la vita devozionale, Maria ha superato di molto lo Spirito Santo,[48] che sicuramente è divino, mentre Maria non lo è.

All’inizio, lo si ripete, si credeva in Dio e si credeva in Gesù senza porsi particolari problemi. Basta appunto leggere cosa scrive Paolo (Fil 1, 2): “Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo”. Lo stesso nella prima lettera ai Tessalonicesi (5,23) ove si usano i vocaboli theòs e kyrios (Dio e Signore): «Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo». O pensiamo ancora alla netta distanza fra Cristo e Dio in 1Cor 3, 23: “Voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio”. Anche qui, nessuna possibile identificazione, ma subordinazione di Cristo a Dio, e degli uomini a Cristo. Invece, nel giro di qualche decennio, il linguaggio poetico dei canti si trasfuse nel linguaggio teologico, e una pratica di preghiera finì col trasformarsi in una regola del credere. Come scrive il gesuita Lenaers Roger (op. cit., 142s.) l’uso della preghiera, lex orandi, diventa regola di fede, lex credendi.

Progressivamente, il ricordo di Gesù si è trasformato sempre più nella direzione del culto di Gesù-Dio e, da Figlio dell’Uomo,[49] Gesù passò sempre più frequentemente a Figlio di Dio, e poi direttamente Dio[50] (titolo, si ripete, che Gesù mai si è auto-attribuito nei vangeli).

Dal momento in cui Gesù cominciò ad essere pensato in modo da essere situato dai cristiani nell’ambito soprannaturale del divino, inevitabilmente l’immagine di Gesù il Nazareno si confuse. Perché a quel punto ci si è cominciato a chiedere: continua ad essere un uomo? ha smesso di essere uomo per convertirsi in Dio? Ma, allora se effettivamente era stato costituito «Figlio di Dio» e «Signore», in cosa restava l’uomo che era stato? O all’inverso: è mai stato un uomo come gli altri, o forse solo sembrava un uomo, mentre era semplicemente una specie di travestimento di Dio camuffato da uomo? Tanti dubbi, di cui abbiamo già parlato durante la relazione, che si cercò di risolvere con i dogmi conciliari di Nicea (Gesù è vero Dio) e Calcedonia (Gesù è anche vero uomo),[51] senza però riuscire a dare una risposta convincente e definitiva.

Vede bene, dunque, che la cosa è un po’ più complicata di quanto ci hanno fatto credere.

NOTE


[1] Secondo i musulmani, invece (Il Corano - CXII – La sura del culto sincero o della fede pura) Dio non ha generato, né è stato generato, e questo verso è indirizzato contro il Credo dei cristiani, che dice all’opposto che il Verbo è stato generato, non creato. Pronunciando questo verso, ogni musulmano pensa oggi ai cristiani (Samir Khalil Samir, Cento domande sull’Islam, ed. Marietti 1820, Genova, 2002, 19).

[2] Ricordo quanto già detto in precedenza: si crea dal nulla; si genera dalla stessa sostanza.

[3] Olgiati F., Il sillabario del cristianesimo,Vita e Pensiero, Milano, 1956, 141s.).

[4] Fin qui posso anche in qualche modo seguire; però nel cristianesimo questo Figlio generato, chiamato anche Verbo (o Logos), o Pensiero è una persona, Cristo, per cui si afferma la divinità di Gesù (Ravasi F., Il “Logos” che era in principio, “Famiglia Cristiana”, n.36/2014, 106). Ma come può il pensiero diventare persona? V’immaginate se i nostri pensieri diventassero persone? Comunque in nessun vangelo, neanche in quello di Giovanni e neanche nell'Apocalisse giovannea, Gesù afferma espressamente che in Dio vi sono tre persone. Men che meno Gesù si è mai sognato di dire che lui era la seconda persona della Trinità divina, vivente in forma umana, e che il Consolatore che sarebbe venuto dopo di lui era la terza persona della Trinità divina.

[5] Come già detto, la “natura” è ciò che fa sì che una cosa sia quella e non un’altra. Nel caso dell’uomo, la natura umana è ciò che fa sì che quell’uomo sia un uomo e non un minerale, una pianta, un puro spirito (come Dio). Se Gesù non avesse natura umana non potrebbe essere un uomo, e la natura umana viene separata e moltiplicata in ogni singola persona. Vedi anche note 28-29 alla domanda sub 11.

[6] “Il nostro Dio non ha niente a che fare con l’atto-puro di Aristotele, il nostro è un Dio appassionato; è lo stesso 'essere per l’uomo'; un Dio che alla fine si farà uomo: venuto a salvare ciò che si era perduto. E si era perduto appunto l’uomo” (David Maria Turoldo, Anche Dio è infelice, Piemme, Casale Monferrato. 199).

[7] Ma giustamente si chiede il teologo Bultmann R., Gesù, ed. Queriniana. Brescia, 1975, 267: pensare a Dio come persona non è già ingenuo antropomorfismo?

Anche nel Corano ci sono immagini antropomorfe di Dio: assiso sul trono (Sura 20, 5; 57, 4), ha mani (Sura 42, 10; 51, 47), ha occhi (Sura 11, 37; 52, 48; 54, 14).

[8]Alla voce orghé il «Grande Lessico del Nuovo Testamento», VIII, 1113 dice: «termini indicanti l'ira sono usati circa 375 volte per la collera divina».

[9] G. von Rad, Teologia dell’Antico Testamento, Paideia, Brescia, 1972, 212. Cfr. anche nota 38 alla domanda sub 12.

[10] È stato giustamente già obiettato che la tradizione significa solo che una proposizione è antica, ma non dimostra affatto che sia vera. Tante tradizioni sono durate anche decine di secoli prima di cadere davanti all’evidenza scientifica o all’evoluzione teologica. Per fare un esempio calzante: da noi, per più di mille anni, ha retto la famosa dottrina della “soddisfazione” (vedi l’articolo Teoria della soddisfazione al n. 529 de Il giornale di rodafà, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa500/numero-529---2-novembre-2019/teoria-della-soddisfazione, oggi definitivamente abbandonata. Oppure pensiamo alla cosmologia tolemaica, sostituita solo pochi secoli fa da quella galileiana.

[11] Si può allora ben immaginare lo sconquasso che portò Gesù in una società dove non si osava neanche pronunciare il nome di Dio, e arriva un giovane (neanche sacerdote) che comincia a rivolgersi a Dio chiamandolo Abba (Papà).

[12] Sacchi A., Peccato, morte e salvezza secondo Eb 2. 14-15, in Scrittura Sacra cum legentibus crescit, a cura di Marcuto M., Il Messaggero, Padova, 2012, 18

[13] Nell’antichità, il sole, la luna, tutte le stelle erano considerate delle divinità viventi, e non semplicemente degli astri inanimati; nell’antichità si credeva anche che alla nascita di ogni persona nascesse una stella, la quale scompariva alla sua morte: la nascita di un personaggio importante era messa in relazione con la comparsa di una stella particolarmente luminosa (Da Spinetoli O., Il vangelo di Natale, ed. Borla, Roma, 1996, 130, con vari richiami agli autori antichi e ai personaggi famosi.), tant’è che ancora oggi si usa dire di qualcuno che è nato sotto una buona stella.

Si legge nel Deuteronomio (Dt 4,19): “perché alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto l’esercito del cielo, tu non sia trascinato a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle, perché Yhwh tuo El è lui il tuo Dio”. Ridicolo adorare gli astri pensando che possono avere influenza su di noi? Mica tanto, se ancora oggi molti di noi credono all’astrologia, all’oroscopo.

[14] È stato fatto giustamente notare che ogni puro monoteismo (quindi anche il cristianesimo e l’islam) ha bisogno di mediazioni concrete e personali (Lorizio P., La protezione degli angeli in tempo di coronavirus, “Famiglia Cristiana”, n. 22/2020, 96). Ecco che in Giovanni si legge che nessuno può arrivare a Dio se non per mezzo di Gesù (Gv 14, 6).

[15] Invece nel vangelo di Giovanni, l’evangelista scrive che In lui (Verbo) era la vita e la vita era la luce degli uomini (Gv 1, 4). Non c’è una luce esterna (come la legge) che deve guidare gli uomini, ma la vita di Gesù è la luce degli uomini, quella che illumina ogni uomo (Gv 1, 9). Ecco perché gli si possono attribuire – per comunicazione degli idiomi,- attributi divini.

Cfr. anche nota 7 dell’Introduzione.

[16] Schillebeeckx E., Gesù, La storia di un vivente, Queriniana, Brescia, 1976, 577s.

[17] Amodeo A., direttore Caritas Trieste, in “Vita Nuova”, n. 4977/2019, 14.

[18] Spong J.S., Il quarto Vangelo, ed. Massari, Bolsena, 2013, 85s.

[19] Non sarà dunque un caso se nel Credo questo ente intermedio verrà descritto come persona autonoma, sarà preesistente (prima di tutti i secoli), sarà il Figlio favorito di Dio (unigenito Figlio di Dio), si sarà occupato della creazione (per mezzo di lui tutte le cose sono state create), si siederà alla destra di Dio (del Padre): tale e quale la Sapienza.

[20] Schillebeeckx E., op. cit., 451s.

[21] Il senso di Logos in greco e di Verbum in latino è molto esteso: non si riferisce solo a quella parte del discorso che indica l'azione, il divenire o anche lo stato, opponendosi al nome, ma anche parola in generale, e cioè sia la singola parola, sia l’atto di parola, nel senso che la parola fa accadere. Cosa vuol dire che la parola fa accadere? La parola, per noi, è normalmente descrittiva: vedo in lontananza un mio amico e dico: “Guarda il mio amico”. Ma pensiamo alla parola detta dal giudice all’imputato: “Lei è stato assolto, e quindi torna libero.” In questo caso si attualizza qualcosa che prima non esisteva. Ecco che la parola fa accadere, come il pronunciamento del giudice crea la libertà che prima non c’era (Kampen D., Introduzione alla spiritualità luterana, ed. Claudiana, Torino, 2013, 52). E in Isaia 55, 10 è Dio in persona ad affermare che la sua parola è come la neve e la pioggia che scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare.

[22] Theissen G., La religione dei primi cristiani, Claudiana, Torino, 2004, 84 mette in rilievo questa importante ulteriore distinzione.

[23] Tillich P., Teologia sistematica, III, ed. Claudiana, Torino, 2003, 310.

[24] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, Massari, Bolsena, 2998, 137.

[25] Hurtado L.W., Come Gesù divenne Dio, Paideia, Brescia, 2010, 32: si verifica un’estensione della tendenza a riconoscere diverse figure presentate come agenti principali di Dio.

[26] “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio” (Mt 11, 27).

[27] Secondo i musulmani, l’unione di Gesù con Dio, descritta come la più sublime e realizzabile da parte di una creatura, non è un’unione (ipostatica) di Persone. Essa è ottenuta mediante un’adesione sempre più perfetta e fervente dell’intelligenza e della volontà ai comandamenti di Dio da parte dell’uomo Gesù. Il risultato di questa completa adesione alla volontà di Dio è la discesa nell’anima di Gesù dello Spirito Divino che rende ciascuno degli atti di quest’uomo veramente atti divini (Basetti Sani G., Husayn Ibn Mansur Al-Hallaj, ed. Gabrielli editori, S. Pietro in Cariano (VR), 2005, 73s.). Per i musulmani Gesù resta un uomo, un grande profeta. Sicuri che si sbagliano?

[28]Küng H., Cristianesimo, ed. RCS Libri, Milano, 1997, 100. Cfr. anche l’intervista al teologo Hans Küng del 17.12.2012 (in www.dongiorgio.itdel 12.1.2013), ove alla domanda: “La differenza teologica tra lei e Ratzinger?” «Per me Gesù è uomo figlio di Dio, per lui è Dio».

[29] Schillebeeckx E., op. cit., 579 e 705: è Dio che ci salva in Gesù Cristo; 2Cor 5, 19.

[30] Rosini F., “Famiglia cristiana”, n.1/2020, 89.

[31] Dupuis J., Perché non sono eretico, ed. EMI, Bologna, 2014,80-90.

[32] Probabilmente nell’anno 52 san Paolo ha scritto la prima delle sue lettere, la prima Lettera ai Tessalonicesi (www.vatican.va/ Sommi pontefici (Benedetto XVI/ Udienza generale 12.11.2008).

[33] Per chi resta scandalizzato da questa affermazione, ricordo di nuovo quanto aveva scritto il cardinal Ratzinger prima ancora di diventare papa: «La dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano, essendo la figliolanza divina non un fatto biologico, ma ontologico» (Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 265).

[34] Ad es.: “ora cercate di uccidermi, perché vi ho detto la verità” (Il Nuovo Testamento, The Gideons International, Ginevra,1996); idem per la Bibbia Interconfessionale, Elledici, Torino-Roma, 2007; “ora invece cercate di uccidere me, che vi detto la verità” (La Bibbia-Nuovo testamento, Piemme, Casale Monferrato, 1988).

[35] Cfr. Gianotto C., Il movimento di Gesù tra la Pasqua e la missione di Paolo, in "Le origini del cristianesimo. Una guida" a cura di Penna R. e al., ed. Carocci, Roma, 2004, 95-127.

[36] Le prime comunità cristiane, con radici ebraiche, fecero fatica ad aprirsi ai pagani: basta ad esempio ricordare il versetto finale del cap. 2 della lettera ai Galati in cui Paolo polemizza con i giudeo-cristiani i quali asserivano che per un cristiano di origine non israelita non era sufficiente il solo credere in Cristo, dovendo ricevere anche la figliolanza di Abramo attraverso la circoncisione e l’impegno a osservare le norme della Legge, comprese quella di purità che impedivano a un ebreo la comunione di mensa con dei non ebrei. Quando il cristianesimo si diffuse fra i gentili ellenisti si consolidò una religione diversa, e i rapporti si invertirono: furono gli ebrei ad essere a questo punto pian piano emarginati e perseguitati (mentre all’inizio era l’opposto: pensiamo all’uccisione di Stefano, greco-cristiano, ad opera dei giudeo-cristiani). I cristiani giudaizzanti furono a quel punto posti nell’elenco degli eretici, con una completa inversione di posizioni, poiché adesso i cristiani gentili qualificavano come eretici coloro che erano stati all’inizio i loro giudici (Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano, 1969, 161).

[37] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2007, 348.

[38] Dio non si fa presente attraverso le istituzioni che hanno una loro funzione, stabilita dalla religione, ma non sono affatto tramiti della manifestazione di Dio. Solo la profezia lo manifesta. Dio si manifesta attraverso singoli uomini (Dt 18, 18), e il profeta è colui che parla in nome di Dio e ti mette in discussione.

[39] Ad es., a differenza della tradizione Q, per Marco, nel periodo (per lui ugualmente breve) fra morte e parusia non c'è una presenza operosa del Gesù celeste vivente presso Dio. Per la tradizione Q già dopo morto Gesù (celeste) esercitava la sua sovranità alla destra di Dio, mentre la cristologia di Marco è basata unicamente sul ricordo dei giorni terreni di Gesù e sull’attesa speranzosa della sua parusia (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia, 1976, 438). Dunque, la tradizione marciana lasciava completamente in ombra il Gesù risorto e guardava solo al Gesù storico attendendo con speranza la sua prossima venuta nella gloria (parusia).

[40] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, Massari, Bolsena, (VT), 2010, 142.

[41] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2008, 351.

[42]Anche Hurtado L.W., Come Gesù divenne Dio, Paideia, Brescia, 2010, 26ss. riconosce che molti studiosi parlano di gradualità.

[43] In Fil 2. 9-11 Gesù è detto Kyrios,Signore, e nella Bibbia dei Settanta, cioè quella in greco, e Kyrios-Signore sta anche al posto di Yhwh. C’è chi deduce che quindi in Gesù è visibile ed udibile lo stesso Dio (Lohfink G., Gesù di Nazaret. ed. Queriniana, Brescia, 2014, 417). A me, invece, sembra che arrivare a dire che Gesù è Dio sia un passo ulteriore, e direi azzardato.

[44] Brown R., Does the New Testament call Jesus God?, in http://cdn.theologicalstudies.net/26/26.4/26.4.1.pdf,569.

[45] Theissen G., La religione dei primi cristiani, Claudiana, Torino, 2004, 68ss. fa notare l’enorme dissonanza fra il carisma di Gesù e il tragico fallimento sulla croce. L’umiliazione più grande poteva essere compensata solo da una vittoria divina, per cui l’elevazione a statuto divino supererà la dissonanza. Paolo, in particolare, avrà sempre timore di attribuire a Gesù un’aura divina, perché da buon fariseo vedeva sempre una grande distanza fra l’uomo e Dio. Il fallimento della croce sarà superato dimostrando che tutta la grandezza di Gesù è opera di Dio. La sconfitta diventa così vittoria.

Anche Plinio il giovane, quando nella famosa lettera X, 96 (in www.parados.it/testimonianze_extracristiane3) chiede all’imperatore Traiano come comportarsi con questi strani cristiani, di cui non sa quasi nulla, fa presente che essi sono “soliti riunirsi prima dell’alba e intonare un inno a Cristo come se fosse un dio” (quasi deo). Plinio non dice che i cristiani si rivolgono a Cristo ritenendolo l’unico Dio. Quindi, agli inizi del II secolo, i cristiani che erano finiti sotto la lente indagatoria di Plinio ancora non sostenevano che Gesù era Dio; non almeno nei territori governati da Plinio.

Hurtado L.W., Come Gesù divenne Dio, Paideia, Brescia, 2010,30: i gentili appena convertiti mostravano scarsa sensibilità per i principi giudaici dell’unicità di Dio della tradizione biblica.

[46] Nello stesso senso: Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 105ss. La Chiesa usa il titolo di Signore per dire che Gesù è Dio. Invece dire che Cristo è il Signore vuol dire usare un linguaggio celebrativo, e non vuol dire altro che è risorto, che è entrato in una dimensione sovrana che gli avversari non possono più raggiungere. Quando Pietro parla a Gerusalemme cerca di recuperare il prestigio di Gesù facendo appello alla sua attuale situazione, e ricorda che Dio l'ha trasferito nel regno della gloria costituendo Signore questo Gesù che essi avevano crocifisso (At 2, 36). Di nuovo dunque, Gesù non è Signore dalla nascita, ma è diventato tale.

Nello stesso senso Küng H., Dio esiste? Mondadori, Milano, 1979,760: il titolo Figlio di Dio è un’investitura con la resurrezione.

[47] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT), 2009, 143.

[48] Tillich P., Teologia sistematica, III, ed. Claudiana, Torino, 2003, 311.

[49] Il Gesù terreno amava definirsi Figlio dell’uomo ma, all’epoca di Gesù, Figlio dell’uomo non esisteva come titolo (Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 374). L'uso messianico del nome Figlio dell'uomo (ma anche quella di Figlio di Dio) non comportava comunque l’origine divina della persona di Gesù. Siamo davanti a un’espressione che tanti studiosi moderni non sono ancora riusciti a stabilire cosa significhi (Moingt J., Dio che viene all'uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, ed. Queriniana, Brescia, 2005, 327). Va comunque sottolineato che questo titolo di “Figlio dell'uomo” non è arrivato neanche a far parte di una confessione di fede: è semplicemente sparito presto (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 48) o venne presto dimenticato.

Enzo Bianchi – in una trasmissione radiofonica ‘Uomini e Profeti’ intitolata I diversi nomi del Cristo, ha detto che mentre il titolo Figlio di Dio poteva avere valenza umana ma anche divina (cioè era attributo dei re ma anche degli angeli), il titolo Figlio dell’Uomo aveva solo natura divina, quindi era qualcosa di più rispetto a Figlio di Dio. Il teologo però non richiama alcuna fonte per questa sua interpretazione e sinceramente, se il titolo è presto passato fuori uso mi sembra assai più logico pensare che la comunità l’abbia ritenuto inadeguato. Del resto ben adam (figlio dell’uomo) non sembra avere valenza divina né nel Libro di Giobbe (Gb 16, 21), né nei Salmi (Sal 8, 5), né in Isaia (Is 51, 12: il figlio dell’uomo cui è riservata la sorte dell’erba non può proprio essere divino).

[50] Strano, invece, che non si sia insistito sul fatto che, con questo titolo, Gesù non è più – come Mosè - il servo di Dio, ma è il figlio di Dio, e non impone più un’alleanza tra dei servi ed il loro Signore ma tra dei figli ed il loro Padre. Invece hanno continuato a insegnarci (n.358 del Catechismo della Chiesa cattolica, come già diceva l’art.351 del Catechismo di Pio X), che l’uomo è stato creato per servire (oltre che adorare e amare) Dio.

[51] Forse oggi potremmo spiegare così i dogmi dei due concili: in Gesù, Dio stesso si pone dalla nostra parte: è questa in definitiva il tenore del dogma niceno quando afferma la consustanzialità di Gesù col Padre. Il concilio di Calcedonia volle sottolineare inoltre la vera umanità di Cristo, pur continuando ad affermare che quest'uomo sta completamente dalla parte di Dio. Così Nicea sottolinea la salvezza da parte di Dio (sebbene esplicitamente in Gesù), mentre Calcedonia la salvezza in Gesù (in quanto da parte di Dio) (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 602).