The Rabbi is in


Pasolini’s research


intervista di Stefano Sodaro a Miriam Camerini

Le belle bandiere, Castello di Casalgrande, 8 luglio 2022 - foto di Stefano Sodaro

Questa domenica anticipa di due settimane esatte la tua venuta a Trieste per uno spettacolo – “Le belle bandiere”, in occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini – molto particolare. E mi ha incuriosito la tua attenzione verso un personaggio centrale nella storia culturale italiana, com’è certo Pasolini, ma che in apparenza sembra molto lontano da tematiche religiose o comunque di appartenenza ad una comunità confessionale. Come mai, dunque, è venuto fuori, dalla tua arte, qualcosa di dedicato proprio a Pasolini, presenza scomoda nella stessa storia della sinistra italiana? C’è uno stimolo interiore - come la sua intuizione di una mutazione antropologica – che Pasolini ti ha suscitato? Come mai uno spettacolo su Pasolini?


Nel mio caso l’interesse è stato determinato principalmente dalla proposta di Rocco Rosignoli, collega musicista e autore dello spettacolo: è stata un’idea sua, una cosa cui lui lavorava già da tempo. Si era già occupato del personaggio e, nello specifico, delle sue canzoni. Con Rocco avevamo già fatto lo spettacolo sul Bund, il primo partito socialista ebraico in Est Europa, “Messia e Rivoluzione” - quindi molto più dentro i miei consueti ambiti di lavoro -, abbiamo poi fatto alcuni spettacoli sempre di musica ebraica in duo e ci siamo detti che si sarebbe piaciuto sperimentare, come forma prima ancora che come contenuto, questo modello di teatro canzone più snello, a due voci. L’idea era questa, poi Rocco ha ripescato tra l’archivio delle sue idee questa possibilità su Pasolini e la cosa principale è che mi piaceva fare questo lavoro con lui. Mi faceva molto piacere per il mio percorso di artista una volta tanto anche avere un lavoro che era trainato da un’altra persona, cioè di cui non sono io l’autrice, la regista, la produttrice, bensì sperimentarmi “solo” in questa funzione di attrice - cantante: è liberante, perché ti puoi concentrare molto di più sull’interpretazione.

La figura di Pasolini io la conoscevo poco, avevo ovviamente un’idea di chi sia – sicuramente avevo molto apprezzato “Il Vangelo secondo Matteo” che avevo visto in occasione di un seminario che avevo tenuto a Camaldoli, sul Vangelo di Matteo, grazie a Claudia Milani -. Credo che gli unici film che avessi visto per intero fossero quello, assieme al suo “Sopralluoghi in Palestina”, legato allo stesso Vangelo, come anche il Decameron, Uccellacci e Uccellini, La Ricotta, oltre agli spettacoli teatrali Orgia e Porcile. L’altro incontro con Pasolini era stato in occasione di un viaggio nel 2014, la mia prima volta a Matera e in Lucania in generale. C’era una mostra molto bella allestita a Palazzo Lanfranchi che era dedicata proprio a Pasolini in Lucania e poi a tutto quello che ne era seguito, compresi gli artisti e registi che erano scesi in Basilicata in seguito alla sua scoperta e il rapporto tra tutto questo e Carlo Levi; quindi in quell’occasione avevo scoperto Matera e la Matera di Pasolini. Mi ricordo che ero stata molto colpita anche da una lettera presente in quella mostra sull’apprezzamento da parte della Cittadella di Assisi della sua idea del “Vangelo”. Poi ho scoperto le canzoni e gli altri testi grazie al copione di Rocco. Anche i luoghi friulani di Pasolini, benché non li conosca bene, non mi sono certo indifferenti: ricordo un mio bellissimo viaggio in bicicletta su quei luoghi, di ben dieci anni fa, e la fascinazione per il dialetto del luogo.


Per me c’è un film “inguardabile” nell’opera di Pasolini regista, o meglio che ho visto ma che non riesco a rivedere con facilità, “Salò e le 120 giornate di Sodoma”.


Che io non ho mai visto.


Ecco, non mi sento di consigliartelo, nel senso che è di una potenza d’immagine e contenuto che brutalizza e annichilisce lo spettatore. Tu ti sei fatta una tua idea di Pasolini? Pensi di lui qualcosa di preciso o è stato un tema che hai affrontato in occasione di questo lavoro e poi terminato?


Intanto è una cosa che sta ancora crescendo, perché appunto – come forse sai – la genesi di questo spettacolo è abbastanza recente: Rocco Rosignoli ha terminato di scrivere il testo nel marzo scorso, abbiamo iniziato a lavorarci tra marzo e aprile e abbiamo debuttato alla metà di maggio con una prima data, poi abbiamo ripreso il 7 di luglio in provincia di Reggio Emilia, con la bella coincidenza proprio del 7 luglio e dei Morti di Reggio Emilia di cui cantiamo. Trieste sarà la terza rappresentazione e poi ne avremo una quarta in novembre. Si tratta dunque di una scoperta e di uno studio graduale. Il testo di Emilio Jona su Pasolini e Israele (http://www.hakeillah.com/3_22_09.htm), per esempio, mi fa dire che c’è un’enorme intuitività del personaggio, perché anche su cose di cui non è un esperto – come il rapporto degli Ebrei con la Diaspora e quindi con la Shoah ed invece, dall’altra parte, con Israele, con il Sionismo, questa immagine nazionalista dell’ebreo forte, ciò che scrive è di una precisione assoluta; almeno io, leggendolo, ho l’impressione che stia all’acume quasi sovrannaturale della persona il fatto di essere in grado, anche dentro un tema che non gli è particolarmente familiare, di arrivare e dire esattamente la cosa più fondamentale, giungere al centro e non fermarsi alla periferia. Quindi la sensazione che ho nel leggere le cose che via via vado scoprendo è un po’ questa, cioè l’incontro tra l’intellettuale e l’artista. L’intellettuale è quello che sa molte cose su un argomento perché le ha studiate; l’artista però, poi, è quello che le capisce e che le comprende e restituisce. La sensazione che ho è questa, di entrambi gli aspetti, dell’intelletto e dell’intuizione artistica e poetica che si fondono e, un po’ come diceva Benedetto Croce, la poesia è questo: intuizione ed espressione. Quindi il comprendere, l’elaborare e il dire. In Pasolini ci sono tutti e tre questi passaggi, secondo me.


Credo che Pasolini sia stato il regista più processato nella storia d’Italia, perché ha avuto una serie di traversie giudiziali infinite in ragione – erano gli anni Sessanta, inizio Settanta – della sua vena di approfondimento del nucleo incandescente delle cose, come dicevi tu. Mi viene in mente “Teorema”, l’hai visto?


Quello l’ho visto, sì.


Lì fu anche processato per violazione del buon costume, del senso del pudore, ritenendo che il tema della sessualità affrontato in quegli anni con quella storia, addirittura quasi di una comparsa messianica che viene a redimere il piacere dalle costrizioni borghesi, risultava qualcosa di terribile. Io penso che sia stato e sia tutt’ora molto alieno e distante dai contesti religiosi di qualunque tipo, che batta strade lontane dagli assetti istituzionali religiosi. Non so se ti sei fatta un’idea al riguardo.


Questo è un aspetto di cui so meno: “Teorema” l’ho trovato molto “estetico”. Noi milanesi siamo poco abituati a vedere film girati a Milano e ci emoziona dunque vedere la Milano di quegli anni, questa meravigliosa Villa Necchi Campiglio che poi ogni milanese associa proprio alla decadenza borghese e un po’ fascista, come il film che è stato più di recente (2009) girato a Villa Necchi Campiglio, cioè “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino: anche lì c’è un aspetto di questa decadenza milanese Anni Venti, Trenta, proprio della Milano fascista. Non ho amato particolarmente il film e non posso dire che a me sembri di grande rottura né politica né religiosa, cioè: la liberazione sessuale che certo è dirompente nel film non credo che a una persona nata negli Anni Ottanta e che vive negli Anni Duemila possa suonare liberante, mi sembra che siano altre le battaglie che dobbiamo combattere oggi. Però provo a mettermi nell’ottica di chi lo vedeva alla fine degli Anni Sessanta e immaginare che invece avesse qualcosa di nuovo e rivoluzionario.


Dimmi allora una tua battaglia oggi da fare.


Semmai quest’ambito è proprio il contrario, cioè far sì che le persone tornino ad incontrarsi e a guardarsi e a non usarsi soltanto con le app. Mi sembra, cioè, che si debba tornare a rapporti più veri.


Ma il contrario di ciò che diceva Pasolini o di ciò che facciamo noi?

Il personaggio di “Teorema” che arriva e uno dopo l’altro si passa tutta la famiglia – uomini, donne, cani, gatti, animali – non mi sembra che presenti nulla di dirompente per noi oggi, quella è la norma.


Non capivo tanto la questione dell’incontro tra le persone con il film, che mi pare abbastanza incentrato sugli incontri. Anche verso la fine quando il co-protagonista si denuda addirittura in Stazione, a Milano Centrale, sembra quasi un voler dire “mi ributto in mezzo alla gente, addirittura nella mia nudità”. Penso invece che nella nostra attualità, contingente, di ogni secondo, ci sia il rischio che dici di non avere più rapporti pelle a pelle, corpo a corpo, ma solo virtuali e distanti.


Io non l’ho vissuta così. La denudazione non l’ho vista come un simbolo ma come un fatto reale. Ed il fatto di sdoganare la nudità in pubblico è una cosa che, ripeto, probabilmente nell’Italia degli Anni Sessanta faceva molto effetto, ma che oggi avviene non solo in qualsiasi spiaggia bensì su qualsiasi palcoscenico. Credo che oggi la battaglia “dei rapporti veri” forse sia uscire dal mondo dei ragazzini che solo si incontrano con le app, dove si trovano, poi vanno a letto e non si vedono mai più. Mi sembra l’esatto contrario: ripristinare una qualità vera dei rapporti. Se negli anni tardo-Sessanta dovevamo scardinare la morale borghese sessuofoba, mi sembra che non sia proprio questa la nostra battaglia di oggi o, ecco, almeno non la mia.


È molto interessante ciò che dici. Potrebbe quasi vedersi un fil rouge tra – non il protagonista, perché il protagonista è la presenza terza che arriva, ma – il coprotagonista, il ricco imprenditore, forse, pensandoci bene, anche tra lo stesso protagonista che incontra le persone senza incontrarle, solo per rapporti fugaci, e la virtualizzazione nostra, odierna, che ci costringe in solitudini dipendenti da dispositivi tecnologici. Peraltro, Pasolini era il profeta di un’era di puro consumismo e di puro auto-compimento individualistico senza nessuna prospettiva, anche se era un passatista perché pensava, almeno secondo me, che le vecchie tradizioni e le vecchie società rurali contenessero quelle prospettive di umanizzazione che poi sono andate perdute. Ti ringrazio molto.


Foto, qui, di Stefano Sodaro durante il Concerto Caffè Odessa tenutosi a Matera il 19 maggio 2022 e durante la rappresentazione Le Belle Bandiere, tenutasi al Castello di Casalgrande (RE) il 7 luglio 2022.

Foto di Paola Cazzaniga