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Concelebrazione del 1970 con il Messale Khmer dei Vescovi Yves Ramousse e Paul Tep al Monastero Benedettino di Kep - foto tratta da commons.wikimedia.org


Extra concelebrationem, nulla salus


di Stefano Sodaro


La prossima domenica sarà già il 26 dicembre.

I Cristiani (che non seguono il calendario giuliano) celebreranno Natale sabato prossimo. Il giorno di Shabbat, sacro per il Popolo di Israele, sarà dunque quest’anno sacro anche per i Cristiani.

Eppure, tra questi stessi Cristiani, nessun Papa di età contemporanea è stato avversato – sino all’ingiuria – come Francesco, attuale Vescovo di Roma.

Nella trasmissione Mediaset di questa domenica sera sull’incontro del Papa con quattro persone – una donna vittima di violenza domestica, un carcerato, una giovane diciottenne, una donna che ha conosciuto la strada come proprio letto e propria dimora -, il Pontefice ha usato un’espressione che è sintesi di un’intera teologia, a lungo essa stessa avversata quasi sino all’opposizione violenta: Francesco ha parlato del “sacramento del povero”.

Ieri, ancora di sabato, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/12/18/0860/01814.html), il Dicastero della Curia Romana che si occupa della liturgia per l’intero orbe cattolico (con l’eccezione delle Chiese d’Oriente), ha fornito alcune risposte alle questioni sollevate dopo la pubblicazione del Motu Proprio Traditionis custodes che ha di molto limitato la possibilità di celebrare la liturgia secondo il rito antecedente al Vaticano II.

Tra tali questioni, merita riportarne per intero una, così come descritta sempre dalla medesima Congregazione:

«Al quesito proposto:

Nel caso in cui un presbitero al quale sia stato concesso l’uso del Missale Romanum del 1962 non riconosca la validità e la legittimità della concelebrazione – rifiutandosi di concelebrare, in particolare, nella Messa Crismale – può continuare ad usufruire di tale concessione?

Si risponde:

Negativamente.

Tuttavia, prima di revocare la concessione di utilizzare il Missale Romanum del 1962, il Vescovo abbia cura di stabilire con il presbitero un confronto fraterno, di accertarsi che tale atteggiamento non escluda la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici e di accompagnarlo verso la comprensione del valore della concelebrazione, in particolare nella Messa Crismale.

Nota esplicativa.

L’Art. 3 § 1 del Motu Proprio Traditionis custodes chiede che il Vescovo diocesano accerti che i gruppi che chiedono di celebrare con il Missale Romanum del 1962 “non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici”.

San Paolo richiama con forza la comunità di Corinto a vivere l’unità come condizione necessaria per poter partecipare alla mensa eucaristica (cf. 1Cor 11,17-34).

Nella Lettera inviata ai Vescovi di tutto il mondo per accompagnare il testo del Motu Proprio Traditionis custodes il Santo Padre così si esprime: «Poiché “le celebrazioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è sacramento di unità” (cf. Sacrosanctum Concilium n. 26), devono essere fatte in comunione con la Chiesa. Il Concilio Vaticano II, mentre ribadiva i vincoli esterni di incorporazione alla Chiesa – la professione della fede, dei sacramenti, della comunione -, affermava con sant’Agostino che è condizione per la salvezza rimanere nella Chiesa non solo “con il corpo”, ma anche “con il cuore” (cf. Lumen Gentium n. 14)».

L’esplicita volontà di non partecipare alla concelebrazione, in particolare nella Messa Crismale, sembra esprimere una mancanza sia di accoglienza della riforma liturgica sia di comunione ecclesiale con il Vescovo, requisiti necessari per poter usufruire della concessione di celebrare con il Missale Romanum del 1962.

Tuttavia, prima di revocare la concessione di utilizzare il Missale Romanum del 1962, il Vescovo offra al presbitero il tempo necessario per un sincero confronto sulle più profonde motivazioni che lo portano a non riconoscere il valore della concelebrazione, in particolare nella Messa presieduta dal Vescovo, invitandolo a vivere nel gesto eloquente della concelebrazione quella comunione ecclesiale che è condizione necessaria per poter partecipare alla mensa del sacrificio eucaristico.»

Che cosa significa tutta questa esplicitazione di dottrina che potrebbe sembrare “tecnica” e riservata a specialisti di funzioni cultuali?

Significa, molto semplicemente, che nessuna ekklesía è una somma di individui, di “entità private”; nessuna assemblea di credenti può essere il contrario di una autentica comunità. Ma per rinunciare ad un’affermazione, quale che sia, di potere personale, è necessario, imprescindibile, riconoscersi poveri, bisognosi della preposizione “con” che sta davanti alla parola “celebrazione”, trasformandola in “concelebrazione”.

I poveri concelebrano, i ricchi mai.

I poveri vogliono stare assieme, soprattutto festeggiare assieme. I ricchi preferiscono starsene da soli. Ma la solitudine è la ricetta dell’infelicità.

Ed infatti i poveri, quasi sempre, sanno gioire pur in mezzo a condizioni di indigenza paurosa. Perché celebrano la vita con gli altri.

Il tempo di Covid ha straziato i nostri desideri di contatto fisico, dobbiamo avere il coraggio di non rinunciarvi, appena le condizioni sanitarie lo renderanno di nuovo possibile. Siamo fatti per toccare, accarezzare, abbracciare, baciare, sentire.

Il Natale cristiano ha una concretezza fisica che sovente un’omiletica stucchevole ha espunto, se non eliminato.

Noi, invece, torneremo a cercarci nei corpi, nelle mani, negli occhi, nei capelli. Non ci rassegniamo alla distanza, facciamo della distanza solo un’attesa di vicinanza.

Ed alle lettrici ed ai lettori del nostro settimanale vogliamo fare un piccolo regalo natalizio: il giorno di mercoledì 29 dicembre – ma forniremo i dettagli domenica prossima – ci incontreremo su Zoom con l’ebraista Claudia Milani e con la studiosa di Ebraismo Miriam Camerini per farci gli auguri. A distanza ancora, sì, ma pregustando la bellezza di stringerci presto le mani, e di abbracciarci di nuovo.

Buon Natale di cuore. A tutte, a tutti.