Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Risposta ad alcune critiche

di Dario Culot


Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/


1.- Mi è stato contestato che nei miei articoli mi accanisco a demolire in continuazione la dottrina cattolica, senza riconoscere neanche le parti buone: ad esempio, nell’articolo sulla famiglia di Gesù, al n. 751 di questo giornale (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-751-4-febbraio-2024/dario-culot-una-famiglia-perfetta?authuser=0), avrei parlato della grande imperfezione della famiglia di Gesù, tralasciando la parte buona.

Chiedo scusa se, di norma, mi soffermo più sulle contraddizioni e sollevo dubbi, perché solo con i dubbi si va in profondità; ma la parte buona già l’abbiamo sentita ripetere cento volte, per cui non dovevo ribadirla. Mi premeva invece far emergere le tante discrepanze su cui per troppo tempo si è sorvolato con assoluta noncuranza, pur dichiarando di voler diffondere l’assoluta verità. È un dato di fatto che una volta si trangugiava tutto quello che ci veniva insegnato, ed è ora di togliere quell’aureola e quella patina dorata che copre da sempre l’insegnamento religioso su Gesù e la sua famiglia, proprio perché solo togliendole riusciremo a sentirli più vicini.

Ora, è assodato che ogni immagine che ciascuno di noi si è fatto di Dio è sempre falsa[1]. Essendo consapevoli di questo, già smetteremo di assolutizzare le parole, e forse eviteremo l’integralismo. Chi è sicuro di essere al servizio dell’unico vero Dio, è anche sicuro che gli altri devono sottomettersi all’immagine di Dio che lui stesso si è costruito, e mai ammetterà che le idee degli altri possano essere, almeno qualche volta, giuste. Ricordo che il rischio maggiore di ogni religione è dato dagli integralisti, cioè da coloro che non tollerano chi non pensa e non vive come loro. I credenti più pericolosi di ogni religione sono proprio quelli che passano la vita pretendendo che tutti coloro che essi vedono come infedeli, eretici, peccatori, siano quanto meno scomunicati ed estromessi dalla comunità. Costoro magari vedono gli errori degli altri, ma non sanno mai riconoscere i propri, per cui non tollerano – per principio - che all’uomo Gesù venga tolto il mantello d’oro della divinità.

Ma, a ben guardare, è proprio l’interpretazione divinizzante di Gesù, - cioè quella che gli attribuisce caratteristiche divine, oggi definita criptomonofisita, cioè nascostamente monofisita - la causa prima della distorsione anche dell’immagine della sacra (e perfetta) famiglia di Nazareth. Infatti, se accettiamo l’idea di un Gesù-Dio che, appena nato, aveva già la visione beatifica e la scienza infusa, non c’era la minima necessità per lui di ricevere un qualsiasi apporto da parte di terzi: Gesù poteva benissimo fare tutto da solo; avendo già la sapienza innata non gli serviva nessun altro alle spalle per educarlo e farlo crescere[2]. Allora non gli serviva neanche una famiglia, men che meno perfetta. Ho cercato di far emergere nell’articolo contestato che neanche la famiglia di Gesù va idealizzata, anche perché non era affatto perfetta come emerge – ad esempio - dall’episodio di Gesù pre-adolescente perso e ritrovato al Tempio (Lc 2, 41ss.): l’episodio dimostra che, come in tutte le famiglie di questo mondo, anche lì ci sono stati momenti di tensione e difficoltà.

Nei miei articoli mi sforzo di sottoporre a esame critico questo sovrabbondante eccesso di perfezione divina, che ancora oggi si continua a spacciare per verità assoluta, senza dar risposte ai tanti dubbi. Ad esempio, se Gesù è stato un vero uomo, non può essere stato diverso da noialtri. Se era diverso da noi uomini, non poteva essere un vero uomo. Non è forse logico dire questo? Eppure si continua a insegnare che Gesù era vero uomo ma non poteva peccare, quando al contrario c’insegnano che non esiste uomo sulla terra che non sia anche peccatore.

Allora, solo togliendo la patina di divinizzazione dalla realtà umana di Gesù, la sua famiglia (di fatto o di diritto non importa) acquista il suo giusto valore. E il valore della famiglia di Gesù sta nel fatto di averlo fatto crescere in un ambiente di intensa spiritualità. L’uomo Gesù non sarebbe diventato quello che è stato se non fosse vissuto in quel clima[3]. Lo ripeto: se diciamo che da subito era già fornito di ogni grazia e scienza infusa in quanto era Dio, non solo cadiamo nel criptomonofisismo, ma questa sua auto-sufficienza implica che non gli serviva affatto che Giuseppe e Maria creassero attorno a lui quel clima di preghiera, di contemplazione, di riflessione che è poi stato alla base della sua vita pubblica.

Dice don Carlo Molari che noi veniamo al mondo per l’incontro di due persone che, amandosi, rendono possibile il sorgere di una nuova vita non solo dal punto di vista biologico, ma soprattutto dal punto di vista psichico e spirituale. L’amore di coppia riflette quella forza creatrice divina che soggiace alla nostra esistenza. L’amore immenso di Dio dovrebbe sempre tradursi nell’amore (seppur limitato) di coppia restando oblativo (viene dato e basta, senza pretendere nulla) e gratuito (viene dato senza pretendere nulla di ritorno).[4]. È allora chiaro che se Gesù è arrivato a dar prova di una capacità di amore straordinaria, è perché da questo amore umano è stato avvolto nella sua famiglia e di questo amore Giuseppe e Maria si amavano[5]. La grandezza di questa famiglia è l’esser riuscita a far crescere Gesù come figlio di Dio, cioè permettendo in lui lo sviluppo di una eccezionale dimensione spirituale, per cui Gesù ha potuto raggiungere l’identità di Figlio[6]. Gesù è chiara indicazione che esisteva questo amore fra i suoi genitori. E questo, però, nulla ha a che vedere con la celebrazione o meno di un formale matrimonio, come detto nell’articolo contestatomi.

Anche una coppia eterosessuale che convive senza legame matrimoniale o una coppia omosessuale fondata su una unione civile può esprimere un’alta qualità di amore che non sempre si trova in tutte le coppie legate dal sacro vincolo matrimoniale. È purtroppo vero, infatti, che in molte famiglie cd. regolari mancano queste qualità di amore che Gesù ha trovato nella sua famiglia. In questo senso si può parlare della famiglia di Nazareth come modello, ma non per rimarcare che proprio essendo la sua famiglia fondata sul matrimonio essa è stata quella ottimale. Ci sono molte famiglie fondate sul matrimonio dove si respira un clima pessimo, e ne risentono sia la coppia che i figli.

 

2.- Mi è stato rinfacciato che non ho neanche un decimo della competenza teologica di papa Benedetto XVI per permettermi di contrastare le sue profonde asserzioni teologiche.

È vero. Infatti, se contesto questo papa, contesto semplicemente l’incoerenza razionale (che solo di riflesso influisce anche sulla teologia) di alcune sue affermazioni. Faccio due esempi:

(a) Dio è trascendente. Lo dice il n. 37 del Catechismo della Chiesa cattolica. Visto che la trascendenza, e quindi Dio, non è alla nostra portata, ogni religione immagina Dio a modo suo, e ogni religione ha il suo Dio. È chiaro, allora, che quando si parla del Dio Trascendente, non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita, appartenendo noi a un ambito diverso, cioè a quello immanente. Questa è una conclusione ovvia, che consegue all’incomunicabilità fra trascendenza-immanenza, ammessa dallo stesso papa Benedetto[7]. Dunque, anche papa Benedetto riconosce che su Dio siamo sostanzialmente ignoranti. Ma allora, se quando parliamo di Dio si parte da basi così incerte, come può poi questo papa (e la Chiesa) pretendere d’imporre a tutti dogmi eterni e indiscutibili sull’essenza di Dio, di cui – appunto - non possiamo cogliere la verità piena?[8] Imprigionandoci in convinzioni assolute sull’essenza intima di Dio entriamo in contraddizione con l’affermazione che di Dio non si può sapere quasi nulla. In altre parole, abbiamo un sacco di cose che non capiamo e per spiegarle c’inventiamo qualcosa che ci fa capire ancora di meno.

Se su Dio non sappiamo sostanzialmente nulla, possiamo fare razionalmente solo delle ipotesi, non certo imporre dei dogmi. Sarebbe come se la scienza, che non sa cos’è la materia oscura, da un giorno all’altro ne desse una definizione obbligando tutti ad accettarla.

(b) Altro esempio. Scrive sempre questo papa che i privilegi mariani, trasformati di nuovo in dogmi cui si deve credere - come l’essere stata concepita immune dal peccato originale, l’essere stata vergine prima e dopo il parto - sono concessi non per allontanare Maria da noi, ma al contrario per renderla vicina[9]. Essendo a noi vicina, la possiamo anche imitare, perché Maria è indiscutibilmente un modello da imitare[10].

Ora, siccome ad ogni altra donna in questo mondo non è concesso essere contemporaneamente vergine e madre, perché o sarà vergine o sarà madre, come si può dire razionalmente che Maria – proprio grazie al dogma - ci è resa più vicina e diventa un modello che dobbiamo seguire? La realtà è che, essendoci Dio stato sempre presentato come maschio (onnipotente, severo), la gente sentiva la mancanza dell’aspetto femminile (accoglienza, amore), per cui si è finito col divinizzare Maria, che è diventata l’aspetto femminile di Dio[11]. Ma ogni donna potrà seguire l’esempio di un’altra donna simile a lei, e quindi vicina a lei, non certo quello di una divinità. Proprio l’imposizione del dogma allontana Maria da noi comuni mortali.

Quanto al peccato originale, finalmente oggi anche nella Chiesa si comincia a sentire una versione diversa:[12] il racconto di Adamo ed Eva è simbolico, e parimenti simbolico è il racconto della caduta. La Verità, la Perfezione non stanno dietro di noi, ma davanti a noi; sono un traguardo da raggiungere perché siamo incompleti e imperfetti, essendo questa la caratteristica di ogni creatura al momento della nascita. Il peccato originale, perciò, non è un peccato, ma è semplicemente un limite insito nella natura umana, è la condizione naturale della razza umana dovuto alla nostra limitatezza in quanto creature. Se siamo limitati e imperfetti fin dall’inizio, non c’è alcuna colpevole caduta dalla quale dobbiamo essere redenti. Infatti, una volta arrivati Copernico, Darwin, Einstein e tanti altri, si è capito che la creazione è ancora in evoluzione e non è terminata. Questa intuizione innovativa, collegata ai progressi scientifici, ha scosso dalle fondamenta la convinzione della perfezione iniziale: se siamo in evoluzione, non siamo mai stati perfetti; la perfezione sta nel futuro, non nel passato e viene conseguentemente a cadere il discorso sul peccato di Adamo ed Eva, che resta una metafora.

Eppure il concilio di Trento[13] ancora colpisce con scomunica (non mi risulta che il dogma sia mai stato eliminato) sia chi nega il peccato originale di Adamo ed Eva come fatto storico, sia chi nega che esso si propaghi per generazione e non per imitazione. Ancora oggi la dottrina ufficiale afferma che, proprio a causa del peccato originale, già nasciamo tutti peccatori (n. 402 Catechismo),[14] in inimicizia con Dio.

Ovvio che, se cade il peccato originale, così come ci è stato spiegato per secoli e secoli, non c’è più bisogno neanche del dogma secondo cui Maria, per grazia particolare, è stata concepita immune da esso.

Continuare a mantenere il peccato originale e la predisposizione innata di Maria al bene senza mai essere sfiorata dalla tentazione del peccato (cosa successa perfino a Gesù Cristo), giustifica barzellette irriverenti tipo questa: Gesù davanti al popolo cattivo che vive in condizione di peccato grida: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra!”. Gli arriva addosso una sassata. Gesù si volta e dice: “Mamma, non parlavo di te!” E ce ne sono di tante peggiori che trovano tutte fondamento in un dogma irragionevole.

 

3.- Sono stato contestato per avere avuto l’ardire di criticare il cardinal Müller, niente po’ po’ di meno che l’ex prefetto della Congregazione per la dottrina per la fede, il numero due in Vaticano dopo il papa (ovviamente quello vero di allora, perché anche Müller ha tacciato di blasfemia l’attuale suo successore al dicastero e l’attuale papa in punto di benedizione alle coppie omosessuali[15]), non potendo neanche lontanamente pensare di avere una competenza teologica simile alla sua.

Ma nei miei ragionamenti, per criticare, mi aggancio sempre ai passi dei vangeli, cosa che ben si guardano dal fare i miei critici, che invece – a giustificazione delle loro critiche - dovrebbero citarmi precisi passi evangelici, perché il vangelo è l’unica identità autorizzata per i cristiani, come ha affermato lo stesso papa Ratzinger[16]. Conseguentemente non si possono fare affermazioni dottrinali se non ancorate al vangelo.

Ora, se, ad esempio, leggiamo con attenzione Lc 13,10ss. (l’episodio della donna piegata) emerge con piena evidenza il significato della parabola: Gesù è liberatore perché fa uscire l’essere umano dalla sua schiavitù, lo libera da tutte le catene, da tutte le prigioni, per cui mi stupisco come ancora ci sia chi pensa che possano, anzi debbano, esistere nella Chiesa categorie di peccatori da emarginare. Dio vuole la liberazione di tutte le minoranze, si occupa di tutti gli ultimi, anche delle categorie minori di emarginati. Se non lo facesse creerebbe disuguaglianze ingiustificate.

Nella storia della donna piegata appaiono lo spirito impuro contrapposto a Gesù. Il primo rappresenta chiaramente la forza del male, Gesù quella del bene. E cosa fa lo spirito impuro?  La sua caratteristica sta nella capacità di incatenare le persone; la caratteristica della forza del bene è quella di liberare dalle catene. Il male (rappresentato dal demonio, dallo spirito impuro) è presente ogniqualvolta s’incatena e si perde la libertà. Gesù è presente dove si scioglie e si riconquista la libertà[17].

Però Dio non ha a cuore solo le donne (soprattutto se vedove) e i bambini[18] perché – come detto - s’interessa di tutti gli emarginati. Non si può perciò sostenere che qui si parla espressamente solo di una donna, sì che non si deve estendere il discorso ad altre categorie (omosessuali, divorziati, impuri, peccatori di vario tipo), proprio perché non si dice per quale motivo questa donna era incatenata, non era cioè integrata nella società delle persone perbene. Da notare, invece, che Gesù non si mette a valutare se questa donna merita o non merita essere liberata: magari era omosessuale e il cardinal Müller direbbe che giustamente era per questo tenuta ai margini della comunità. Anche il capo della sinagoga avrebbe trovato perfettamente conforme alla legge e alla tradizione la linea mantenuta dal cardinal Müller, visto come si è lamentato della liberazione effettuata da Gesù (Lc 13, 14). Il problema è che a entrambi questi chierici interessa più la religione che la libertà delle persone. Invece Gesù, al solo vederla così, è intervenuto, perché a differenza del cardinal Müller non accetta di vedere persone emarginate, incatenate e non libere.

Come ha detto papa Francesco,[19] “a Gesù non interessa farci processi o sottoporci a sentenze; egli vuole che nessuno di noi vada perduto». Molto diverso dal pensiero di tanti alti prelati e profondi teologi che pur si proclamano fedeli a Gesù.

Ma c’è di più. Il cardinal Müller sostiene che Dio può accettare gli omosessuali solo se questi si sacrificano e soffrono evitando fra di loro ogni rapporto sessuale. Forse non ha ancora introitato l’idea – emersa dal Concilio Vaticano II - che il Dio della sofferenza non è il Dio di Gesù. Il Dio di Gesù è il Dio dell’amore e della misericordia. Gesù, infatti, ha cambiato il modo di credere in Dio e di avvicinarsi a Dio. In cosa consiste questo cambiamento? Nel fatto che non ci avviciniamo a Dio, né lo facciamo più contento, se soffriamo o se facciamo soffrire gli altri, ma esattamente il contrario: facciamo contento Dio se siamo felici (anche nelle difficoltà della vita) e diffondiamo la nostra felicità tra gli altri[20]. Non ci credete? Eppure questo risulta evidente, ad es., nel racconto in cui i farisei contestano che Gesù e i suoi discepoli non praticano il digiuno (Mc 2, 18-22). Digiunare vuol dire fare un sacrificio e auto-infliggersi una (piccola) sofferenza perché così Dio sarà più contento di noi. Ma Gesù chiarisce che chi partecipa a una festa di nozze non può digiunare, non può soffrire, perché deve partecipare alla gioiosità della festa. La vita da sola porterà, o prima o dopo, motivi di sofferenza: non c’è motivo di andarli a cercare da soli. Quindi, con altre parole, la pratica del digiuno dimostra solo che chi digiuna non crede in un Dio buono, ma in un Dio malvagio. Perché un Dio che diventa contento quanto vede la gente soffrire, è un Dio malvagio[21].

Credere a un Dio di tal genere è ovviamente pericoloso, perché colui che crede in un Dio al quale bisogna avvicinarsi soffrendo, sacrificandosi, tormentandosi, pensando così di far contento questo Dio, proprio costui non avrà remore né tentennamenti nel tormentare, offendere, far soffrire altri, se questo gli sembra bene nella sua idea di intendere Dio. Con questo suo modo di pensare la religione prospera quando la gente soffre[22]. Ma questo è esattamente l’opposto di quanto ha detto Gesù nei vangeli. Questo vi sconcerta?

Eppure, a conferma di quanto appena detto, ricordiamoci cosa ha detto Gesù rispondendo a Giovanni Battista che dal carcere gli chiedeva se era lui il Messia. Gesù, dopo avergli risposto che con lui i ciechi riacquistano la vita, i morti risuscitano, ecc., dopo aver cioè chiarito che la persona religiosa deve assumersi il compito di combattere la sofferenza degli altri, termina dicendo: “Beato colui che non trova in me motivo di scandalo” (Mt 11, 6). Cosa vuol dire? Perché Gesù ha detto questo? Perché allora accadeva esattamente quello che accade purtroppo ancora oggi, almeno con gran parte del magistero: c’è ancora tanta gente che crede di più nella religione di Giovanni Battista che nella Buona Novella di Gesù. La religione di Giovanni Battista, in cui crede ancora il cardinal Müller, era la religione della forza e del potere, la religione della minaccia e della paura, dei sacrifici e della sofferenza. La Buona Novella di Gesù è invece la grande notizia che tutti dobbiamo vivere come uguali, condividere quello che abbiamo, essere sempre comprensivi, perfino con i cattivi peccatori e con i miscredenti (quindi anche con gli omosessuali se ancora pensiamo che vivano nel peccato). Però questo era scandaloso per molti credenti di allora, e continua ad essere scandaloso per molte persone pie e religiose di oggi,[23] che proprio non riescono ad accettare il Vangelo e preferiscono la dura dottrina religiosa elaborata dal magistero.

Come allora mi permetto di contestare il capo della religione vincente…, scusate!, il cardinal Müller? Perché nel vangelo è chiaramente indicato che per Gesù la libertà delle persone è più importante dell’osservanza della religione. E come dimostra sempre Gesù nelle nozze di Cana (Gv 2, 1-12), convertendo l’acqua in vino affinché la gente possa continuare a godere felicemente della vita, Gesù ci sta dicendo che i riti religiosi (la purificazione cui era destinata l’acqua delle giare) non sono importanti, ma l’importante era (e continua ad essere) la festa, la gioia del banchetto di nozze. Quindi, di nuovo, quello che Gesù ci sta dicendo è che egli intende la religione in modo tale che i tristi “rituali religiosi” e le pesanti “purificazioni sacre” per toglierci di dosso le impurità possono anche essere del tutto assenti in casa nostra. Quello che non può assolutamente mancare è l’allegria, la pace, il rispetto, lo stare bene, la felicità, il piacere di stare insieme. Tutto questo è rappresentato e prodotto dal buon vino[24].

Il cardinal Müller, al pari del capo della sinagoga, desidera solo che trionfi la religione, e non tollera che gli esclusi, gli emarginati possano cantare di gioia sentendosi liberi. Di più: l’errore di chi la pensa come il cardinal Müller – a mio avviso - sta nel partire dall’idea che il rapporto fra Dio e gli uomini sia regolato come un rapporto giuridico (una partita doppia commerciale di dare-avere; segui la regola ricevi il premio; non segui la regola ricevi il castigo), ma un atto giuridico non può mai essere un atto d’amore.

 

 


NOTE

[1] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 60: anche il teismo come modo di definire Dio è morto. Non possiamo più percepire Dio in modo credibile come un essere dal potere soprannaturale, che vive nell’alto dei cieli ed è pronto a intervenire periodicamente nella storia umana, perché si compia la sua divina volontà. Pertanto, oggi, la maggior parte di ciò che si dice su Dio non ha senso. Dobbiamo trovare un nuovo modo di concettualizzare Dio e di parlarne.

[2] E questo va già contro quanto espressamente dice il Vangelo. Lc 2, 52: cresceva in grazia e sapienza.

[3] Molari C., Quando Dio viene nasce un uomo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2023, 286 e 357: Gesù è diventato così fedele alla parola di Dio da giungere a esprimere, in una forma estrema di amore sulla croce, la potenza della vita fino alla risurrezione. Ma questo è avvenuto perché Gesù è stato amato, educato, condotto passo dopo passo, nella sua infanzia e nella sua adolescenza, da Maria e da Giuseppe: infatti cresceva c in sapienza, età e grazia.

[4] Idem, 288.

[5] Idem, 293.

[6] Idem, 301s.

[7] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 163s.

[8] Pensiamo ai dogmi sull’unità e trinità di Dio; sulla doppia natura ma solo persona divina della seconda persona della Trinità.

[9] Benedetto XVI, La gioia della fede, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, 118s.

[10] Benedetto XVI, Angelus dell’8.12.2011. Papa Paolo VI, Esortazione apostolica Marialis cultus, de 2.2.1974.

[11] Tanto è vero che si prega molto di più Maria che lo Spirito santo. Eppure lo Spirito santo è divino, Maria non lo è.

[12] Tutto è iniziato col concilio Vaticano II, dove finalmente la Gaudium et spes (GS) al n. 5 ha riconosciuto, anche in ambito ecclesiastico, che: «L’umanità sta passando da una concezione statica della realtà ad una concezione più dinamica ed evolutiva». Oggi è pacifico che tutto è in processo, ma è altrettanto pacifico che la vecchia mentalità, col suo modello aristotelico, è dura a morire: infatti la stessa Costituzione GS aveva profeticamente aggiunto: «Questo passaggio susciterà una congerie di problemi, che richiederanno nuove analisi e nuove sintesi».

Ricordo che l’autorevole Bibbia di Gerusalemme, nel commento Gn 3, 16, mette finalmente in risalto che l’idea del peccato originale non viene dalla Bibbia, ma è una un’elaborazione teologica cristiana (infatti gli ebrei, che forse di Bibbia se ne intendono un po’ più di noi, non hanno il peccato originale): “perché sia chiaramente colto l’insegnamento di una colpa ereditaria, bisognerà aspettare  che san Paolo metta in parallelo la solidarietà di tutti in Cristo salvatore e in Adamo peccatore (Rm 5)”. Seguirà l’interpretazione di sant’Agostino, che diventerà dottrina fissa sul peccato originale.

[13] Concilio di Trento, Sessione V, decreto sul peccato originale, canone 1, in www.totustuustools.net/concili.

[14] Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 21.

[15] In riferimento alla Fiducia supplicans, di cui ho parlato nell’articolo al n. 753 dello scorso mese di febbraio (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-753-18-febbraio-2024/dario-culot-fiducia-supplicans?authuser=0).

[16] Ricordo che questo lo ha detto papa Benedetto XVI (Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2000, 47).

[17] Castillo J.M., Teología popular, II, Desclée De Brower, Bilbao (E), 2013, 68.

[18] Pensiamo all’episodio in cui Gesù libera il pazzo di Cesara che vive fuori della comunità, fra i morti (Lc 8, 29); oppure al caso del ragazzo sordo-muto che non poteva relazionarsi con gli altri (Mc 7, 35): anche qui le catene sono immaginarie, ma sempre di catene si tratta.

[19] Papa Francesco, Angelus del 10.3.3024.

[20] Castillo J.M., Teología popular, II, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 91.

[21] Idem, 89.

[22] Idem, 90.

[23] Idem,  66.

[24] Idem, 18.