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Viaggio in Italia


di Stefano Agnelli


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16. Bellamonte



Esistono luoghi incantati? La risposta è sì, certamente, sono i luoghi che abbiamo più cari, quelli che ci hanno visti spensierati e felici, sono i luoghi della nostra lunga adolescenza. Occorre però riconoscere, parlando di Bellamonte, che questa meravigliosa località dell’Alta Val di Fiemme, ci mette del suo. Immaginate di vederla dal basso dell’enorme campeggio, in cui misi piede la prima volta nel lontano 1978, vi troverete di fronte poche case, qualche hotel e soprattutto immensi prati assolati a salire, dominati dal monumentale monte Viezzena, capace di chiudere il vostro sguardo, con il profilo allungato della sua parete principale, quasi fosse una gigantesca quinta teatrale. Dietro di voi, scende in un bosco fitto, un sentiero a tratti ripido e lungo che lo attraversa, e nelle giornate più calde diviene meta di escursionisti, a volte in costume, ciabatte e accappatoio – come si faceva allora, tra ragazzi – per poi tuffarsi in una polla d’acqua gelida e cristallina, che il torrente Travignolo forma ai piedi di una cascatella. Qui, i più abili, possono scorgere nell'acqua trote e avannotti, fermi, controcorrente, mentre aspettano il nutrimento.

Di quelle brevi nuotate ho indelebili ricordi, anche perché, anno dopo anno, estate dopo estate, la mia famiglia ed io, tornammo più volte a Bellamonte, orgogliosi della nostra piccola roulotte, e dello stile di vita libero che questa permetteva, rispetto alla tradizionale vacanza in albergo. Negli anni successivi, grazie alle mode musicali, i miei capelli si allungarono sempre più, passando dalla frangia sugli occhi, modello Ramones, ai capelli lunghi fino alle spalle con tanto di riga in mezzo e barba fluente. Tornarono corti alla metà degli anni Ottanta, quando due professori, “salvandomi letteralmente la vita”, come dice Daniel Pennac nel suo Diario di scuola, fecero di me uno studente curioso e motivato, pertendo dal bighellone oppositivo e arrabbiato con il mondo qual ero.

Ricordo un episodio molto divertente. Ogni notte si faceva tardi, molto tardi, aspettando che si spegnessero le ultime braci del falò, attorno al quale avevamo cantato e riso. Tanto, nel letto della roulotte, non ci stavo più, ed i miei genitori avevano comperato una canadese tre posti tutta per me. Ero quindi del tutto autonomo. Alla fine della serata, a notte oramai inoltrata, rimanevamo sempre in due, io ed il mio amico Beppe, un ragazzo dolcissimo e monocigliato di Brescia che, come me, portava una salopette di jeans. Stesi sul prato, parlavamo del futuro, del mio amore non corrisposto e di come lui voleva sposare la sua gnara (sta per “ragazza”, se non ricordo male), e avere molti figli. Una di quelle notti, tornando verso la reception del campeggio, verso le tre o le quattro, vedemmo due nostri amici di Roma arrivare di corsa dalla loro tenda. Era successo che gli altri due occupanti, Massimo e Peppe, avevano alzato un po’ il gomito, e li stavano aspettando con intenzioni non proprio evangeliche. I nostri due amici, più grandi di noi, avevano sentito frasi in romanesco, del tipo: “Mò a quer biondo ossigenato der c... je faccio a riga n’mezzo cor cortello”. Morale, si doveva aspettare per forza che i due si calmassero, magari cedendo al sonno, per poter permettere ai nostri sfortunati compagni di rientrare. L'attesa fu lunga e ad un certo punto venne fame a tutti. Ricordai allora che mia madre teneva il sacchetto del pane appeso in veranda – per chi non è pratico, dirò che si tratta di una tenda da attaccare alla roulotte che, a tutti gli effetti, ne raddoppia lo spazio abitabile – appena oltre la cerniera della porta d'ingresso. Tornai col bottino e, dalle tasche di Beppe, sbucò del tutto inaspettata, una tavoletta di cioccolato fondente un poco sciolta. Mentre dividevo il pane, lo spezzai per farcirlo con la cioccolata e, resomi conto del mio aspetto – capelli lunghi e barba – feci il gesto della benedizione. Scoppiammo tutti a ridere come i matti, mentre allo stesso tempo ci riempivamo la bocca di pane e cioccolato.

Molti anni dopo, nel 1998, partecipai al campo estivo della Parrocchia Immacolata, dove avevo incontrato l’amato Don Giovanni e iniziavo a conoscere le persone che ora mi sono più care. Quel campo, come i successivi, si tenne proprio a Bellamonte. Fu con immenso piacere che rividi quei luoghi tanto amati, ai piedi del passo Rolle, e anche quel periodo, trascorso fra meditazioni, lunghe escursioni, messe e cene comuni, lo ricordo tra i più fecondi e felici della mia vita.

Numero 679 - 18 settembre 2022