The Rabbi is in


Teorema, le gonne, le gatte


di Miriam Camerini

Foto di Stefano Sodaro durante il Concerto Caffè Odessa tenutosi a Matera il 19 maggio 2022

Siamo all’uscita 50, giubileo di questa rubrica, numero tondo e importante.

Ancora una volta sono in viaggio, questa volta in aereo, invece che in treno.

Questa mattina ho sistemato casa di mia madre a Gerusalemme, salutato con un bel brunch “finisci-avanzi” un caro amico, comprate le ultime spezie da portare in Occidente, riposto gli abiti “modesti”, le gonne lunghe e le magliette con le maniche che indosso solo lì, ordinato i libri che lascio in quella casa, lavato e pulito e chiuso la porta.

Sono state, anche questa volta, settimane più pacifiche di quelle che vivo in Europa, sono andata molto al cinema e anche a qualche bel concerto, all’anteprima di una nuova produzione israeliana di Nathan il saggio, testo teatrale di G.E. Lessing, filosofo e drammaturgo dell’Illuminismo tedesco che ho tanto amato e studiato.

Bello vedere illustrata proprio a Gerusalemme la favola ideale che funge da scrigno e pretesto alla quasi universale Parabola dei tre anelli, utopia di fratellanza fra i popoli e i “tre monoteismi” che attraversa il Mediterraneo e l’Europa dal Medioevo fino al discorso di Hannah Arendt a Stoccolma.

Ho approfittato di una rassegna della Cinematheque in occasione del centenario di Pier Paolo Pasolini - su cui sto anche lavorando - per recuperare qualche film suo che ancora non avevo mai visto, come Teorema e il Decameron.

Ho visto un film polacco degli anni ’80 sullo scoppio della Prima guerra mondiale e il nuovo acclamato norvegese sulla trentenne che butta all’aria tutte le relazioni mentre gli altri attorno a lei nascono e muoiono come niente fosse; una sera, con un’amica che sta chiudendo un matrimonio di molti anni e parecchi figli, sono stata a un originale festival sul tetto di un edificio brutalista in centro città a vedere l’ancor più brutto e brutale Lazzaro felice, uno dei film più inutilmente tristi che il cinema italiano abbia prodotto negli ultimi anni, direi.

Ho anche avuto serate quiete e casalinghe, qualche cenetta con amici e amiche, un paio di bei giorni al mare.

Ho adottato temporaneamente due gattini di forse un mese, sorella e fratello, di cui mi sono semplicemente innamorata: sono saltati in braccio a me che mi ero avvicinata per vedere chi miagolava e dov’era la mamma mentre correvo in ritardo a vedere Teorema, me li sono portati, attaccati con le unghie potentissime alla mia gonna, fin dentro la cineteca dove la maschera, gentilissima, mi ha accolta con affetto, ha dato loro da bere e se ne è occupata mentre io vedevo il film. Li ho portati a casa e poi affidati a un vicino gentile e “gattaro”, che ora mi manda le foto e mi mostra giorno dopo giorno come si adattano alla nuova vita al piano di sopra con altre tre gatte adulte e 4 o 5 (non ricordo) “fratellastri” acquisiti. Nel prenderli con me, la sera di Teorema, sapevo che al massimo li avrei “goduti” per una decina di giorni, il tempo che mi separava dalla partenza, e ho scelto coscientemente di godere di quella gioia temporanea sapendo che sarebbe durata un tempo esiguo e già stanziato.

Ho riflettuto molto sull’idea di legame temporaneo, su quanto si possa amare sapendo che non sarà “per sempre”: un po’ è come se quest’anno (scolastico) fosse stato tutto così per me: un susseguirsi di realtà estremamente temporanee, legate a un luogo, uno spazio che sapevo sempre per quanto (poco) avrei abitato, fosse una camera d’albergo o una casa di amici, il vagone letto di un treno o la cella di un monastero... Non so più, qui, ora, questa sera, sotto la pioggia e il tendone a righe bianche e blu del bar dei Bagni Sirena, sul lungomare di Levanto, luogo della mia stabilità, rifugio marino di ormai cinque generazioni di “noi”, dove mia sorella a breve verrà con i tre figli, dove tutte le “amiche del mare” (che magari stavano a Milano a due fermate di tram, ma ci vedevamo lo stesso solo qui) della mia infanzia sono qui con pance, bambini e carrozzine, non so più davvero che cosa desidero, quanto a lungo ancora mi piacerà questa erranza, e mentre lo scrivo una goccia di pioggia enorme come una lacrima scivola sullo schermo e allora temo sia ora di chiudere il computer e andare a cena.

Foto di Paola Cazzaniga

Numero 667 - 26 giugno 2022