Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Seicento numeri e tre quarti: Beta Israel, Magdala e Pasolini


di Stefano Sodaro


Mancano esattamente 25 settimane all’uscita del nostro numero 700, che dovrebbe avvenire domenica 12 febbraio 2023.

Il numero 1, avente contenuti molti diversi dalla linea di riflessioni attuale, uscì il 9 maggio 2009, più di tredici anni fa.

È cambiato, in quest’arco di tempo, ogni riferimento, formale e sostanziale. Si sono completamente ridefinite direzioni, prospettive, linee di impegno, questioni primarie ed emergenti. Un esempio può valere per tutti: chi mai avrebbe immaginato, tredici anni fa, che la pace sarebbe stata in pericolo in Europa per iniziativa della Russia? E, ancora, chi avrebbe mai intravisto il cataclisma di un virus diffuso su tutto il pianeta in forma così acuta e grave da impedire la normalità della vita quotidiana e costringere a chiudersi nelle case?

Ed ora, adesso, siamo troppo a ridosso di simili eventi, davvero “apocalittici” – cioè “rivelativi” - per riuscire a decifrarne senso e portata.

Sull’Italia piove in questi giorni, ma nessuno avrebbe pensato, nel 2009, che la comparsa di acqua dal cielo si sarebbe presentata come fatto eccezionale, implorato e potenzialmente spaventoso, al tempo stesso, per la sua furia imprevedibile.

Tutto è cambiato, tutto sta cambiando. E non è possibile che il cambiamento non riguardi ciascuna e ciascuno di noi, nel nostro intimo più profondo.

E che cos’è che riguarda in modo decisivo le nostre vite? Cos’è che anima ed ossigena una vita? È l’appuntamento con l’amore, realizzatosi, vanificatosi, sognato, non ancora accaduto, in calendario, tramontato, presente, passato, in atto. Chissà. Ma nulla ci struttura e condiziona come la ricerca dell’amore.

Quale amore? Vediamo di capirci: proprio quell’amore che fa fremere, desiderare, folleggiare, progettare, persino giocare. Che fa impazzire. Che fa ritornare giovani, giovanissimi, pressoché adolescenti. Èros? Agápe? Ha poca importanza.

Dunque: nonostante cambiamenti inimmaginabili, l’amore resta, permane, non scompare anche quando apparentemente fallisce.

Bene.

Vorremo che, a partire da questa domenica 21 agosto 2022, fino alla scadenza della Regata Barcolana – prevista a Trieste per domenica 9 ottobre -, lo scandaglio sottomarino degli amori possibili e, tuttavia, inediti ed inauditi, dolcissimi e a prima vista irrealizzabili, segnasse il percorso del nostro settimanale per un primo “step”, come si dice, dell’itinerario verso il 7° centenario rodafiano.

Ma l’amore è anche, ammettiamolo ahinoi, inflazionatissimo oggetto di consumo; è diventato quasi merce, benché faccia ribrezzo solo pensarci.

Amare significa “uscire da sé”, andare oltre, non cercare reciprocità, contraccambio, prestazioni e controprestazioni, diritti ed obblighi, bensì emozionarsi per l’inatteso, per la sorpresa del volto che, anche se baciato, non può essere rappreso come fosse creta consegnata alle nostre mani. E le alterità, per essere davvero tali, sono irriducibili, pressoché inarrivabili, quasi sfuggenti. Possono assomigliare davvero al cane manga mezzodemone Inuyasha, con le fauci aperte, che Sara ha disegnato per la copertina di questo editoriale.

Un esempio di tanta alterità.

Come spiega la Prof.ssa Emanuela Trevisan Semi, alla nota 10 del suo articolo intitolato Missioni, contro-missioni, apartheid. Il caso dei Falascià (https://www.jstor.org/stable/1479271?read-now=1&refreqid=excelsior%3Abb96314fb2f8d8f0a69e101cd0311d83&seq=2#page_scan_tab_contents), cento anni fa, nel 1922, Jacques Faïlovitch, il grande studioso del Popolo Ebreo d’Etiopia, i Falasha per appunto, trasferì negli Stati Uniti d’America il “Pro-Falascha Committée”, fondato a Firenze nel 1907. Falasha, popolo che appartiene alla tradizione pre-rabbinica e che ha ancora kohanim, cioè sacerdoti, al posto dei rabbini.

Faïlovitch apparteneva all’Ebraismo neo-Ortodosso ed ebbe un ruolo imprescindibile nell’avvicinare una cultura, non solo Falasha ma ricomprendente l’intera Abissinia (oggi Eritrea ed Etiopia), che, dopo la battaglia di Magdala del 1868 con la vittoria delle truppe di Lord Robert Napier ed il suicidio di re Teodoro II, aveva visto i propri tesori d’arte e di letteratura depredati e spediti in Europa, alla volta – in particolare – del British Museum. Forse non molte e molti sanno che esiste un’Associazione per il ritorno dei tesori etiopi di Magdala (https://en.wikipedia.org/wiki/Association_For_the_Return_of_the_Magdala_Ethiopian_Treasures).

Magdala? Oibò. Magdala località etiopica? Davvero? Oggi il villaggio si chiama “Amba Mariam” e conta circa 2.000 abitanti.

Ma “Magdala”, per cristiane e cristiani, è nome potentemente evocativo di colei che si accompagnò a Gesù di Nazaret seguendolo fin sotto la croce ed incontrandolo risorto. Gli incroci culturali, certo casuali ed impensati, si fanno pertanto curiosi, pongono domande, lasciano aperti spiragli che vanno ampliati.

Abbiamo già ricordato che il 2022 è l’anno del centenario della nascita di Pasolini (che andò anche in Eritrea, https://www.academia.edu/8966384/Pier_Paolo_Pasolini_in_Eritrea_Subalternity_Grace_Nostalgia_and_the_Rediscovery_of_Italian_Colonialism_in_the_Horn_of_Africa) e, nel suo celebre “Vangelo secondo Matteo”, la figura di Maria di Magdala ha una connotazione particolare. che, assieme all’Associazione Culturale “Casa Alta”, vorremmo discutere nel corso di un incontro programmato per il pomeriggio di domenica 2 ottobre 2022 a Trieste, con la partecipazione di insigni teologhe e, dopo un momento conviviale, con lo spettacolo “Le belle bandiere” di Miriam Camerini e Rocco Rosignoli. Forniremo nelle prossime settimane ulteriori dettagli. Intanto segnatevi data e luogo. E, se ne avete voglia, cercate notizie: sui Falasha, anzi sui “Beta Israel”; su Maria Maddalena; su Pasolini e le figure femminili del suo “Vangelo”.

Amare merita sempre. Solo l’amore sprecato è vero amore.

Buona domenica.