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Ritratto di papa Bonifacio VIII - Cristofano dell’Altissimo (1525-1605), olio su tavola, 1552-1568, Corridoio Vasariano, Firenze - immagine tratta da commons.wikimedia.org


Chiesa e autorità

di Dario Culot

Il principio cardine su cui si regge la Chiesa cattolica è l’autorità, anche se stranamente nel Credo non se ne fa cenno, e si preferisce definire la Chiesa semplicemente come una, santa, cattolica e apostolica. Eppure per secoli è stato insegnato che non si era credenti se non si riconosceva l’autorità del magistero[1]. Di più: essendo tutto retto dal principio di autorità, ne consegue ovviamente, da parte dei sudditi, l’obbligo di obbedienza[2] al magistero, unico custode della fede e della verità, e se non si è credenti si finisce all’inferno. Fine della storia!

Ma guardando il mondo dall’esterno si vede questa realtà: c’è chi pretende di sapere tutto e chi non ha neanche voce per farsi sentire. Mi chiedo come oggi sia ancora possibile per qualcuno credere che Dio sia sempre dalla sua parte e pretendere di esserne l’unico interprete autorizzato a proclamare la Verità assoluta. Eppure ancora oggi il magistero sostiene che, essendo il cattolicesimo qualcosa che si riceve e non s’inventa, l’autorità gli è assolutamente essenziale. Infatti, chi ha ricevuto divinamente il compito di predicare, d’interpretare e di preservare il deposito della fede? Il compito – si risponde - è dato al papa e ai vescovi di tutto il mondo in unione con lui. Egli è il maestro supremo e universale dei cattolici. Perciò, quando alcuni teologi dissidenti stanno dicendo il contrario, è evidente che la scelta non è più tra argomentazioni, ma fra autorità; sennonché l’autorità della Chiesa non si può neanche discutere perché Dio stesso ha disposto in questi termini[3]. Dove e quando l’avrebbe imposto però non è molto chiaro. Tanto più che, a leggere i vangeli, mi sembra che Gesù abbia pensato al massimo a una comunità (Chiesa) tutta di servizio, e non di sicuro a una Chiesa di potere. Invece la Chiesa-istituzione ha sempre preteso di esercitare in nome del sacro un potere altrettanto sacro[4].

Perciò, chi non obbedisce sottomettendosi al magistero e non mostra gratitudine per il grande dono di Dio che è il magistero, chi rifiuta di accettare con riverenza e con sincerità le loro affermazioni,[5] è fuori e va escluso dalla comunità di Dio, perché un vero cattolico non può scegliere fra diverse autorità, ma deve obbedire al magistero, e sarebbe addirittura privo di senso affermare che qualche uno di noi, fosse anche teologo, possa giudicare il magistero,[6] o invocare il concilio Vaticano II a supporto del rifiuto del magistero,[7] visto che il magistero non si giudica: gli si obbedisce, e basta. Come ha ben spiegato il professore Gonzáles Faus, il potere attribuito al clero[8] e in particolare al papa che sta in cima alla piramide gerarchica[9] è un “potere divino”, che si esercita su tutti gli uomini senza poter essere giudicato da nessuno, poiché ovviamente l’umano non può mettere in discussione o rifiutare il divino[10]. E poi, se il vangelo sottolinea la comunione (Mt 23, 8) la gerarchia piramidale è contrapposta sì che entrambe non possono provenire dallo stesso Cristo[11]. Siamo allora davanti ad affermazioni decisamente autoreferenziali, ma su cosa si fondano? È piuttosto evidente che la tentazione di arruolare Dio nelle proprie schiere, e di identificare i propri nemici con quelli di Dio è sempre presente nella Chiesa, la quale conclude affermando che, se la verità della Chiesa è l’unica verità di ragione, chi non si adegua diventa automaticamente nemico della verità, della ragione e quindi di Dio.

Ma mi sembra corretto obiettare che oggi siamo finalmente usciti dalla sfera di predominio dell’istituzione religiosa perché – grazie alla scienza e alla secolarizzazione, sappiamo che nessuno possiede Verità assoluta[12]. Per di più è chiaro che la verità della fede cattolica, misurata sulla conformità alla dottrina stabilita dal magistero, fa sì che l’obbedienza al magistero si risolva nel credere voluto da Dio ciò che ha semplicemente deciso il magistero, un gruppo elitario che impone la sua volontà su quella degli altri fedeli. Quindi, il cieco assenso alle affermazioni dogmatiche è ormai insostenibile.

È poi anche evidente che, seguendo questa linea, la salvezza dei dogmi e della dottrina diventa ben più preziosa della salvezza delle persone. Ed è altrettanto evidente che, ciò che veramente conta nel cattolicesimo, non è tanto Gesù, quanto il magistero della Chiesa. Solo così, infatti, è possibile affermare che «quello che è specifico dei cattolici è stare col Papa»[13] e col suo magistero. Quest’affermazione non ha bisogno di commenti e combacia con l’impressionante conclusione della Bolla Unam sanctam di papa Bonifacio VII: “Dichiariamo, affermiamo, stabiliamo che l’essere sottomessi al Romano Pontefice è per ogni creatura umana necessario per la salvezza”[14]. Strana affermazione da parte di un vicario di Cristo, visto il concetto rivoluzionario di potere e autorità prospettato da Gesù, il quale chiedeva che chi voleva essere il più grande si convertisse nel più piccolo servendo tutti (Mc 9, 35). Il che conferma appunto che Gesù ha pensato solo a una comunità di servizio. E c’è allora da domandarsi: come mai il magistero non ha mai trasformato in norma giuridica per sé stesso questo pressante invito di Gesù a servire, più volte ripetuto, mentre ha tranquillamente trasformato in norma giuridica per i laici il divieto di divorzio, di cui ha parlato una sola volta?[15] Non so perché, ma questo mi fa venire in mente l’ammonimento di Gesù ai farisei: “caricate la gente di pesi difficili da portare, e voi non toccate quei pesi neppure con un dito” (Lc 11, 46). In altre parole, è facile dire a chi non può sposarsi che non si deve divorziare.

Però la risposta alla precedente domanda è forse semplice: la Chiesa non lo ha potuto trasformare l’invito in norma perché la gerarchia si è presto posizionata al di sopra, mentre sappiamo che chi serve sta di sotto. Una volta che ci si abitua al potere e ai privilegi, è difficile mollarli. Quando nel III secolo è nato il clero e si è cominciato a parlare di ordine sacro e di ordinazione, immediatamente coloro che avevano come compito quello di rendere presente il Vangelo sono stati eretti a maggiorenti e persone importanti nella società. In tal modo, i servitori della comunità sono presto diventati signori e dominatori della comunità. Rendiamoci conto: è esattamente il contrario di quanto aveva detto e stabilito Gesù: “Ma non è così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore, e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo” (Mt 20, 26-27; Mc 10, 43-44; Lc 22, 26-27). Insomma, come il clero cresceva in ricchezza e potere, così il Vangelo perdeva di mordente venendo spostato dal centro ai margini della Chiesa. Al posto del Vangelo, è stato il clero a occupare il centro[16].

Senza quest’idea della piena e assoluta potestà (plenitudo potestatis), ovviamente voluta direttamente da Dio secondo l’insegnamento ricevuto, nessun papa avrebbe osato fare come Nicolò V che, con la bolla Romanus Pontifex, dell’8.1.1454, donava – ma non era mica sua! - al re Alfonso del Portogallo tutta l’Africa, affinché gli abitanti arrivassero a conoscere il vero Dio,[17] e non quello dei musulmani; oppure come papa Alessandro VI che mezzo secolo più tardi aveva concesso ai re cattolici di Spagna e Portogallo la potestà di appropriarsi delle terre e delle ricchezze dell’odierna America Latina[18]. Oggi appare piuttosto chiaro che, alla radice della colonizzazione e del ladrocinio commessi dall’Europa nelle sue colonie d’Africa e d’America, sono stati determinanti la giustificazione e la legittimazione con cui la teologia del potere papale ha agevolato i conquistatori e colonizzatori dell’Europa cristiana, avendo i teologi medievali saputo costruire e motivare abilmente questa legittimazione partendo appunto dalla teologia del potere e dell’autorità pontificia[19].

Senza quest’idea di potere non ci sarebbe stato neanche il potere temporale dei papi, giustificato con la Bolla Unam sanctam del 1302 dal papa Bonificio VIII, nella quale affermava che questo potere trovava la sua fonte nel potere assoluto di Dio; e nessuno dei papi successivi ha mai voluto cedere spontaneamente neanche un grammo di questo potere terreno. Ancora nel 1723 il giurista Giannone Pietro era stato scomunicato e arrestato per aver pubblicato l’Istoria civile del Regno di Napoli in cui contrastava la tesi della natura divina del potere temporale dei papi[20]. Ancora quando, nella seconda metà del 1800, Cavour[21] aveva lanciato lo slogan “Libera Chiesa in libero Stato,” il vescovo di Perugia Pecci – che non poteva far arrestare il primo ministro di uno Stato estero,- sosteneva arrabbiato: “dicono che al Sommo Pontefice basta il governo spirituale delle anime e non gli è necessaria la potenza temporale; questa distrae l’animo in cure terrene; è dannosa alla Chiesa, contraria al Vangelo e illecita … E come mai potrebbe il Capo della Chiesa essere libero nell’esercizio del suo Primato spirituale senza l’aiuto della sovranità temporale che lo renda indipendente dall’altrui influenza?”[22] Come ha poi dimostrato la storia, il Capo della Chiesa ha potuto benissimo,[23] come del resto benissimo aveva fatto Gesù Cristo. Ci è voluto un atto di forza da parte dello Stato italiano, la breccia di Porta Pia del 1870, per eliminare il potere temporale, e il papato ci ha impiegato ancora vai altri decenni per digerirlo.

Oggi finalmente scricchiola questo principio di autorità (ormai limitato allo spirito), primo e fondamentale pilastro su cui si fonda da ormai lunghissimo tempo la religione cattolica, sempre rifiutato da Gesù. E non credo affatto che la fede crollerà se questo principio verrà meno in futuro. Forse servirebbe un’altra spallata come quella di Porta Pia.

Se si guarda alla prima comunità di discepoli, Gesù non ha voluto né gerarchi, né sacerdoti. Di tali cariche o dignità non si parla proprio nei vangeli. Gesù ha voluto seguaci, non gerarchi con cariche e dignità. Nei vangeli non si parla neanche di sacerdoti, mentre questa carica gerarchica, che implica potere e dignità, non ha tardato troppo ad essere introdotta fra i cristiani[24]. Nei vangeli la diaconia (cioè la logica del servizio quotidiano, con esclusione della logica del potere e del denaro) è il fondamento della struttura della prima comunità (At 6, 1ss.), e nella diaconia non c’è alcun potere autoritario. Diacono significa per l’appunto servitore.

Ma finché, all’interno della Chiesa, tutto continua ad essere determinato, o per imposizione o per proibizione, il potere resta al centro del sistema. Imposizione e proibizione, infatti, sono le ancelle del potere. Per questo oggi l’istituzione fa problema, al punto che la Chiesa è divenuta per molti, essa stessa, l’ostacolo principale alla fede. Non sono parole mie; le ha dette mestamente papa Benedetto XVI,[25] ritenendo evidentemente fondato quanto già aveva sostenuto prima di lui il cardinal Kasper[26].

Credo fermamente che la ragione principale per cui il principio di autorità oggi scricchiola sta nel fatto che questo non è più il tempo di accettare l’autorità formale, che consiste solo nel pretendere di essere autorità. Per secoli la gente riconosceva la semplice pretesa di questa struttura di potere collegata al sacro, e questo riconoscimento ha garantito l’affermarsi del sistema nella società[27]. Oggi, la gente ha aperto gli occhi, e capisce che l’esercizio di un potere definito sacro, la pretesa di essere intoccabili, ha portato ad abusi (e questo è oggi visto come un segno dei tempi, anche se purtroppo in negativo[28]), e non è obbligatorio credere a quelle definizioni in passato accettate con cieca obbedienza come se esprimessero la volontà divina;[29] si capisce che sono state decisioni canoniche e amministrative redatte con la pretesa di concentrare tutto il potere religioso in maniera piramidale; si capisce che un’autorità formale che vuole imporsi, esercita semplicemente un potere,[30] ma non ha autorità sostanziale, manca cioè di autorevolezza[31].

Cerco di spiegare che differenza c’è fra autorità e autorevolezza. La distanza fra le persone è la base di ogni autorità. La fiducia è la base dell’autorevolezza. Se uno è molto più bravo di me a giocare a calcio, lo riconoscerò come capitano della mia squadra, lo ascolterò e seguirò spontaneamente le sue indicazioni come fossero ordini. Se invece uno viene nominato capitano della squadra perché è il figlio dell’allenatore, ma non sa giocare, nessuno lo rispetterà anche quando cercherà di esercitare il potere che gli deriva dal fatto che il paparino l’ha immesso in quel ruolo, pretendendo di godere dell’autorità che spetta a quel ruolo. Oppure, essendo uno scalatore di modesto livello, quando voglio cimentarmi in una scalata impegnativa cercherò uno che riconosco come bravo scalatore, di cui mi fido, e legato a lui in cordata seguirò spontaneamente tutte le sue indicazioni: non occorre che questo capocordata da me scelto si proclami autorità, mi ricordi imperiosamente che è lui a comandare ed io devo obbedire, né io gli obbedirò perché lui pretende di essere obbedito. La mia obbedienza è del tutto slegata dai suoi ordini: in realtà non è neanche obbedienza, ma ascolto fiducioso e collaborazione. Anche nel campo religioso, l’obbedienza non dovrebbe essere una imposizione giuridica, un ordine da eseguire sotto minaccia dell’inferno, ma dovrebbe scaturire da una comunione d’intenti, non dal dovere di sottoporsi supinamente agl’insegnamenti dei legittimi pastori della Chiesa.

Nell’antichità, per farsi obbedire, il re aveva alle sue dipendenze l’intero apparato dello Stato: le guardie, i giudici e le prigioni. Anche la Chiesa è stata concepita nella rappresentazione post-tridentina in questi termini: in cima il papa, quindi i vescovi, poi i presbiteri, tutti incaricati di pascolare le pecore che si trovano sotto di loro[32]. Ma il prete cos’ha in mano per farsi obbedire quando promulga una legge in nome del suo Dio, visto che non ha la polizia e l’esercito? Stalin si chiedeva irriverente: quante divisioni ha il papa?[33] e si faceva beffe di lui e del suo Dio. Eppure, anche senza esercito, anche quando non ha gendarmi, ogni istituzione religiosa ha sempre saputo utilizzare un’arma formidabile: la forza del proprio Dio. Per ottenere il riconoscimento e l’obbedienza, all’istituzione religiosa non resta che prendere parte al potere di Dio; ma a questo punto, per farsi rispettare, questo potere deve essere minaccioso[34] e incutere timore, quantomeno riverenziale. Per questo motivo il sacerdote dice che Dio premia e castiga[35]. Ecco la radice e la nascita di un dio che mette paura.

Qui, dunque, sta la principale differenza fra autorevolezza (autorità sostanziale) e potere autoritario di chi cerca di comandare facendo valere la sua posizione di autorità (formale). All’inizio, quando le comunità cristiane primitive sceglievano il proprio presbitero, si teneva conto della sua autorevolezza, e nessun presbitero pretendeva di imporsi in base alla sua autorità. Nemmeno si parlava come oggi di vocazione, nel senso che il presbitero veniva scelto a volte perfino contro la sua volontà, e non perché si sentiva chiamato da Dio[36]. Però assai presto è accaduto, nella storia della Chiesa, che l’ambizione ha preso il sopravvento: ad es. già Paolo di Samosata (vescovo di Antiochia intorno al 200) si era fatto costruire un trono alto dal quale non voleva più schiodarsi, e per rimuoverlo dalla sua sede gli altri vescovi erano dovuti ricorrere all’imperatore Aureliano, che era pagano”[37]. Ben presto dunque sono affiorate le smisurate ambizioni di servitori della comunità che avevano l’aspirazione ai diventare dominatori della comunità.

Anche i vescovi di Roma, non accontentandosi di essere solo vescovi, avevano presto tentato di prendersi il primato, ma all’inizio i loro tentativi erano miseramente falliti. Papa Callisto,[38] a un certo punto, aveva affermato che in virtù del potere delle chiavi, egli avrebbe accordato il perdono a tutti coloro i quali avessero fatto penitenza. Queste affermazioni scatenarono le ire di Tertulliano, che giudicava l’idea lassista,[39] e accusò il papa di presunzione nell'osare perdonare alcuni peccati per lui imperdonabili,[40] visto che le chiavi erano state date personalmente a Pietro, ma da lui erano passate alla Chiesa, e non al successore di Pietro, perché in ogni chiesa agisce lo Spirito Santo[41]. La questione si chiuse alla morte di questo papa.

Non molto più tardi, nel 255, papa Stefano I cercò di far riammettere solo con l’imposizione delle mani, senza nuovo battesimo per immersione, coloro che già erano stati battezzati in una setta eretica o scismatica. Immediatamente si levò la fiera opposizione di un folto gruppo di vescovi capitanati da san Cipriano,[42] il quale sostenne che ogni vescovo deriva la propria autorità direttamente dal Signore e solo al Signore deve rispondere; di fronte alla minaccia di scomunica[43] del battagliero papa Stefano, Cipriano reagì con furore, convocò un sinodo di 84 vescovi africani i quali conclusero nel senso che nessuno era autorizzato ad insignirsi del titolo di vescovo dei vescovi,[44] nessuno poteva tentare, con minacce degne di un tiranno, di forzare i propri colleghi ad obbedirgli, giacché ogni vescovo ha il suo proprio potere e non può essere giudicato da un altro, né può giudicare un altro. All’unanimità venne dichiarata la nullità del battesimo degli eretici con necessità di sua completa reiterazione, e così addio all’agognato primato del papa, che dovrà aspettare ancora molti secoli per vederselo infine riconosciuto nel mondo occidentale (ma non in quello della Chiesa ortodossa orientale), e addio anche all’obbligo di obbedienza al papa che invece oggi viene definito sisma: infatti è scismatico chi non si sottomette al papa (n. 2089 Catechismo della Chiesa Cattolica).

È anche da tenere presente che, da quando mondo è mondo, dovunque c’è un uomo che esercita l’autorità formale, ci sarà sempre un altro uomo che a quell’autorità resiste[45]. Come ci viene spiegato[46] dai protestanti, Calvino sì beccò “il cartellino rosso” di espulsione da Roma perché rifiutò di sottoscrivere davanti ai delegati romani, che pressantemente glielo richiedevano, i simboli di Nicea. Non risulta neanche che egli fosse completamente contrario a quelle conclusioni teologiche: semplicemente non accettava la tirannia del magistero, secondo cui andava giudicato eretico chiunque non avesse obbedito. Secondo Calvino i credenti erano vincolati dalla Bibbia, e non dalle definizioni ecclesiastiche (anche se in seguito, a sua volta contraddicendosi, imporrà con forza a Ginevra le sue idee).

L’autorevolezza, al contrario, consiste nel servizio basato sulla competenza. Le proprie qualità vengono messe al servizio degli altri e fanno crescere: si pensi a un vero maestro che educa e forma un allievo. L’autorevolezza non autorizza a guidare la vita degli altri, ma a servirla; non autorizza a costringere l’esistenza, ma a formarla, tirando fuori dall’altro il meglio che può dare. Esattamente l’opposto del potere autoritario, che pretendendo di essere maestro pretende di ridurre l’altro a sé (il che significa che tende a cancellare la libertà dell’altro), non lascia mai spazio alla responsabilità della decisione, annulla ogni iniziativa e azzera la stessa creatività umana, impedendo così la crescita personale. Dunque va gridato ai quattro venti, o anche dai tetti per dirla evangelicamente, che se si tratta di essere funzionali al disegno del Dio di Gesù, bisognerà essere a servizio esclusivo delle persone e non delle strutture ecclesiastiche.

Mi sembra, perciò, che l’eccessivo rigore nell’imporre certe idee dottrinali sostenendo che chi non le accetta non è cristiano, imprigioni la coscienza e la libertà cristiana[47]. Mi sembra cioè che si stia, tanto per cambiare, confondendo potere autoritario con autorevolezza, che sono concetti ben diversi.

Autorità è sinonimo di potere, e il potere, che è sempre satanico, è il dominio di alcune persone sulle altre, basato:

- sulla paura, sull’uso della violenza o la minaccia del castigo. Paura che rende l'uomo sottomesso e timoroso;

- sull’ambizione: promettendo una ricompensa a chi si sottomette, sfruttando i suoi desideri di salvezza o di successo;

- sulla credulità, il che avviene interiorizzando nella maggioranza dei settori popolari un'ideologia che esalta il potere e presenta l'obbedienza e la sottomissione come una grande virtù,[48] come qualcosa di desiderabile. La persona che obbedisce senza fiatare finisce per essere convinta che la sua posizione di sottomissione al clero è ciò che vuole Gesù, ciò che vuole Dio in persona, e non ha più la possibilità di liberarsi. A quel punto anche la violenza viene nascosta e la credulità rende l’uomo sottomesso e infantile. Ma quando il potere raggiunge questo terzo stadio, cioè quello della credulità, ha una forza immensa, superiore perfino a quella dei soldi. E non occorre neanche essere una grande persona per detenere il potere; è l’esercizio del potere che la rende grande. Come ha fatto notare crudamente uno scrittore di montagna, abituato a scrivere con la mannaia: “un milionario spocchioso e maleducato, infatti, lo si può anche mandare a cagare, ma questi altri che impongono la loro autorità, no. Questi sono investiti della sacra immunità del potere, che li rende simili ai papi. Per cui dire che sono dei buoni a nulla comporta sempre qualche rischio. Di querele o di minacce da parte dei numerosi servi e parassiti che razzolano, umili e sottomessi, nei loro cortili. E questi servi, a loro volta, sottomettono quelli di grado più basso, in una gerarchia discendente”[49]. Quindi, il maestro autoritario imprigiona i suoi allievi in una gabbia per poi far fare loro quello che vuole lui.

Tutto l’opposto è l’autorevolezza, che tende a far diminuire la disuguaglianza, e si caratterizza per:

- il non imporre i propri valori, ma soltanto proporli;

- il non mettersi al volante della vita altrui guidandola, ma mettersi a servizio degli altri;

- il non prendere decisioni per gli altri, ma aiutarli a maturare e decidere da sé. Quindi, il maestro autorevole dà ai suoi allievi la capacità di essere autori responsabili e indipendenti della propria vita[50].

Ricordate di nuovo cosa diceva Gesù? “Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Lc 12, 57). Vuol dire che Gesù aveva fiducia nell’intelligenza delle persone, e quindi predicava libertà e indipendenza: non c’è bisogno di nessun maestro;[51] esattamente l’opposto di quanto ha fatto nei secoli la Chiesa, che continua ad auto-proclamarsi Maestra, per cui noi alunni dobbiamo obbedirle.

Quando il clero esercita tutto il suo potere autoritario, l’intera questione si attorciglia in un circolo vizioso dove i dogmi, imposti da un’autorità umana, vengono dapprima sacralizzati da una sedicente rivelazione che nessuno al di fuori di quell’autorità è autorizzato a interpretare, e poi questa interpretazione umana viene venerata come fosse stata dettata direttamente dal Divino.

Sono convinto che oggi ci troviamo a un bivio. Qualunque idea che esce dai confini tradizionali dell’insegnamento è vista ancora da chi ha la pretesa di comandare in qualità di vero cristiano come un’eresia. Ancora oggi sono molti i tradizionalisti convinti che solo mantenendo il cristianesimo dentro il contesto dottrinale del Credo si è veri credenti. I difensori delle certezze di un tempo auspicano solo rigore e restaurazione, e nella loro tranquilla routine pensano che la loro dottrina sia intoccabile. Il fatto che continuando a ripetere gli schemi del passato, che rispondendo sempre nello stesso modo a ogni domanda, gli altri non accettino più risposte autoritarie, questo non li tocca. Ma chi vuole solo ricostruire il passato non vede il futuro.

Sono invece convinto che il dissenso, non certo il consenso ossequioso, è il lievito che fa crescere. Sono convinto che occorra una programmazione nuova, perché Dio ha bisogno di persone che creano, non che ripetono (“Io faccio nuove tutte le cose” – Ap 21, 5). Dio ha bisogno di manifestarsi in forma creativa, tant’è che la vita, nella sua esuberanza, si è sempre manifestata in mille forme diverse. Infatti, come ha detto il vescovo di Pinerolo Derio Olivero,[52] i cristiani non sono quelli delle sante verità, ma della Bella Notizia, e dare una Lieta Notizia significa lavorare per aiutare a credere a questo mondo e alla vita.

Sono dell’idea che soprattutto il timore di ‘turbare i fedeli’ mantenga spesso una distanza fra ciò che i laici si sentono ripetere quando sono seduti sui banchi delle chiese, e ciò che perfino molti chierici (ormai a conoscenza della nuove idee) pensano realmente: in nome dell’unità sono purtroppo restii a dire molte cose. Ma sono anche convinto che il futuro della Chiesa dovrà basarsi sulle testimonianze di vita dei credenti (presbiteri e laici) piuttosto che sui pronunciamenti della gerarchia.

NOTE

[1] Sant’Agostino, Contra epistulam Manichaei quam vocant fundamenti, 5, 6 in www.documentacatholica.eu: Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas, cioè: “non crederei al vangelo se non mi fosse garantito dall’autorità della chiesa”.

La stessa Riforma protestante alla fine non è stata combattuta su ciò che un cristiano deve credere per essere cristiano ma su questioni di autorità e di potere istituzionali. Nel protestantesimo la Chiesa di Roma non era più riconosciuta come arbitro finale della verità (Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020, 39s.).

[2] Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 344.

[3] Si richiama a supporto principalmente Lc 10, 16: «chi ascolta voi ascolta me»; ma si può dubitare che la frase sia diretta solo ai 12 e quindi ai loro successori, visto che il cap.10 inizia con l’invio dei 70 (e ricordo che 70, nella Bibbia, indicava simbolicamente tutte le nazioni del mondo, e quindi va preso in senso figurato - Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, Cittadella, Assisi, 1997, 176s.), e subito dopo la pericope di cui si discute parla del ritorno dei 70 (Lc 10, 17). Quindi ben può pensarsi che siamo davanti a parole rivolte a tutti i discepoli e non ai soli 12 apostoli e loro successori.

In ogni caso, nessuno può arrogarsi il diritto di porre limiti all’azione di Dio al di fuori della Chiesa affermando che Dio opera solo nella Chiesa cattolica. Questa è stata una limitazione imposta dall’uomo a Dio. E in ogni caso, leggere la Bibbia non è questione di autorità, ma di competenza, cioè di conoscenza di quel mondo antico in cui è nata (Ortensio da Spinetoli, L’inutile fardello, Chiarelettere, Milano, 2017, 9s.).

[4] Il Vangelo è stato presto interpretato e spiegato in base a chiavi di lettura che hanno avuto in mano coloro che normalmente insegnano «con autorità», e partendo dalla religione, ossia, con potere religioso. Però, come sappiamo bene, coloro che detengono tale «autorità» e ritengono di avere il monopolio del potere religioso sono sempre persone che non stanno in basso, bensì di sopra, che non sono soliti sedersi agli ultimi posti, bensì nei primi, che si considerano come gli eletti e i prediletti e, di conseguenza, non possono vedere allo stesso modo dei «bambini», dei «piccoli», degli «ultimi», degli «esclusi», eccetera. E allora, quello che succede è che gli scribi ufficiali di adesso, come gli scribi ufficiali del tempi di Gesù, leggono, interpretano e spiegano tutti questi racconti usando la chiave che combacia con i propri interessi, con i propri privilegi e con la loro alta e insigne posizione (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 111). Siamo lontani da quanto diceva Gesù, il quale sosteneva che il potere è servire, è amare rendendo liberi, ed è quanto meno pacificare.

[5] McInerny R., Vaticano II, che cosa è andato storto?, ed Fede&Cultura, 2009, 26, 27, 43s.

[6] Idem, 54s. Di diverso avviso il grande San Francesco, che ordinava di disobbedire a ciò che è contrario alla coscienza (Regola bollata 10) (riportato in Augias C. e Cacitti R., Inchiesta sul cristianesimo, ed. Gruppo editoriale L’Espresso, Milano, 2010, 78).

[7] Idem, 82.

[8] Ed è evidente che, se al posto del servizio arriva il potere, chi poi lo detiene (in questo caso solo i maschi) vuole tenerlo ben stretto. Quindi alle donne non viene riconosciuto nella Chiesa alcun potere decisionale e neanche l’accesso all’ordine sacerdotale perché si tratta di un potere che non si vuol condividere, mentre se fosse veramente un servizio – come afferma il vangelo,- non ci sarebbe motivo per escludere le donne. Chi rifiuta di condividere un lavoro di servizio?

[9] Ricordiamoci che Gesù si metteva sempre nel cerchio (Mc 3, 31-35; Lc 24, 36), e nel cerchio non c’è un ordine gerarchico, non c’è uno più ibn alto e uno più in basso, tutti si trovano alla stessa distanza dal centro, tutti sono uguali.

[10] Cfr. Gonzáles Faus J., La autoridad de la verdad. Momentos oscuros del Magisterio eclesiástico, Barcelona, Herder, 1996, 45.

Come ha scritto il teologo Eugen Drewermann, per alcuni la posizione di capo è secondaria. Per altri, però, è quasi obbedire a un ordine divino: questo ufficio li riempie, sono loro questufficio, perché senza di esso sono nulla. Da persone comuni, eletti dalla volontà divina, diventano mediatori del Divino, sulla base di una conferma formale. Lidentità sua è assicurata solo dallidentificazione con il ruolo assegnato. Lufficio ottenuto diventa lunico valore (Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 59).

[11] Ortensio da Spinetoli, L’inutile fardello, Chiarelettere, Milano, 2017, 48.

[12] È ormai un dato di fatto che i rigidi valori dell’ultraconservatorismo e dell’integralismo cristiano sono stati ormai marginalizzati dal relativismo culturale della nostra società.

[13] McInerny R., Vaticano II, che cosa è andato storto?, ed Fede&Cultura, 2009, 49.

[14] DH – Enchyridion Symbolorum, n.875.

[15] E su quella prescrizione ci sarebbe molto da discutere perché Gesù non stava parlando di divorzio, bensì di ripudio che era appannaggio esclusivo del maschio (la donna non poteva ripudiare il marito).

[16] In prospettiva, oggi possiamo dire che nei suoi tre primi secoli di storia e fino ai primi decenni del IV secolo la Chiesa è venuta a trovarsi in una posizione ambigua. Da una parte si è mantenuta vicina ai poveri aiutando con efficacia i più diseredati. Ma allo stesso tempo ha finito progressivamente con l’integrarsi nella società dell’Impero, facendo sue due delle tradizioni sociali di quella società che le rendevano più difficile la fedeltà al Vangelo. L’ordo (dove s’integravano gli appartenenti agli ordini privilegiati) e il clero hanno spaccato l’unità ugualitaria iniziale dei ‘seguaci’ di Gesù. Dalla fine del V secolo il mondo intellettuale della Chiesa dell’Alto Medio Evo si è trasformato in un mondo sempre più compatto di chierici, cosa che non sarebbe accaduta se i laici avessero continuato a mantenere una istruzione equiparabile a quella dei membri del clero (Castillo J.M., El Evangelio marginado, Deesclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 22 e 69ss.).

[17] Il testo latino è reperibile nel Bollarium Romanum, in www.icar.beniculturali.it, Tomo V, bolla n. VIII, §5. In italiano potremmo così tradurre il passo: “poiché abbiamo concesso precedentemente con altre lettere nostre, tra le altre cose, piena e completa facoltà al re Alfonso di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i Saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo, ovunque essi vivano, insieme ai loro regni, ducati, principati, signorie, possedimenti e qualsiasi bene, mobile ed immobile, che sia di loro proprietà, e di gettarli in schiavitù perpetua e di occupare, appropriarsi e volgere ad uso e profitto proprio e dei loro successori tali regni, ducati, contee, principati, signorie, possedimenti e beni, in con­seguenza della garanzia data dalla suddetta concessione…” Evidente in contrasto palese e insanabile col principio affermato dal concilio Vaticano II, dalla Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes, § 69 - del 7.12.1965, secondo cui «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti» che oggi si cerca di far passare come principio da sempre sostenuto dalla Chiesa (Negri L. e Cascioli R., Perché la Chiesa ha ragione, ed. Lindau, Torino, 2010, 41).

[18] Bolla Inter caetera, 3, Bullarium cit., vol. V, 362.

[19] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Deesclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 254.

[20] Fisichella D., Il miracolo del Risorgimento, ed. Carocci, Roma, 2010, 95.

[21] Non si deve dimenticare che papa Pio IX scomunicò Cavour e sospese «a divinis» fra’ Giacomo Poirino, reo di averlo assolto sul letto di morte senza averlo prima costretto a rinnegare l’Unità d’Italia (Corriere della sera, sez, cultura, del 1.6.2010; cfr. anche www.lastampa.it del 20.4.2011, Cavour ultimo atto).

[22] Pellicciari A., L’altro Risorgimento, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL), 2000, 124. Va anche aggiunto che il Sillabo di Papa Pio IX dell’8.12.1864, Cap. IX, LXXVI, e il Concilio Vaticano I – e il concilio non può ingannarsi perché ispirato dallo Spirito Santo – qualificò anche come sacrilegio la soppressione dello Stato pontificio (Küng H., La Chiesa, ed. Queriniana, Brescia, 1967, 541). Oggi, con corta memoria, ci sono anche vescovi che affermano che i cattolici sono storicamente gli unici ad avere chiara la distinzione tra l’ordine religioso e quello temporale (Negri L. e Cascioli R., Perché la Chiesa ha ragione, ed. Lindau, Torino, 2010, 39).

[23] Tanto che per papa Paolo VI la fine del potere temporale è stata un atto provvidenziale. Il teologo e giornalista Gianni Gennari racconta: «Nel 1970 ero nello studio del cardinale Angelo Dell’Acqua, vicario di Roma, quando per telefono Paolo VI gli diede l’incarico di andare a suo nome a Porta Pia, nel centenario del 20 settembre, per celebrare una Messa di ringraziamento. Dell’Acqua era emozionato e sbalordito» (https://www.vocetempo.it/i-patti-lateranensi-novantanni-dopo/). Anche la Chiesa, col tempo, è capace di cambiare opinione. Ci vuole però il suo tempo, tanto tempo: la breccia di Porta Pia è del 1870; Paolo VI si è pronunciato esattamente cento anni dopo. E nel frattempo la scomunica maggiore del 1855 di papa Pio IX, per tutti coloro che propugnavano idee risorgimentali, che fine ha fatto? Visto che nel frattempo quei signori scomunicati erano tutti morti, erano finiti all’inferno, o no?

Nella stessa linea di papa Paolo VI anche papa Benedetto XVI il quale, durante il suo viaggio apostolico in Germania nel settembre del 2011: ha detto «Liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e politici, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero» (riportato in “Famiglia Cristiana”, n. 11/2013, 36. I casi sono allora due: o la scomunica non fa comunque finire all’inferno, ed è sbagliata l’interpretazione che la Chiesa ci ha dato sul potere di legare e sciogliere (Mt 16, 19); oppure la scomunica fa finire all’inferno anche se in seguito viene riconosciuta sbagliata, ma allora Dio non fa un bella figura.

[24] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Deesclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 69.

[25] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2000, 330.

[26] Kasper W., Introduzione alla fede, Queriniana, Brescia, 1983, 75.

[27] Del resto, non sapendo leggere, la maggior parte della gente doveva per forza fidarsi di quello che dicevano i preti. Il luteranesimo si è scontrato frontalmente col cattolicesimo, in quanto fin dall’inizio Lutero voleva che ragazzi e ragazze sapessero leggere, per poter leggere personalmente la Bibbia, posto che aveva contrapposto l’autorità delle Sacre Scritture (solo scriptura) all’autorità del papa (Kampen D., Introduzione alla teologia luterana, ed. Claudiana, Torino, 2011, 31). Solo potendo leggere in proprio le Scritture ogni persona era in grado di controllare se l’insegnamento del magistero vi si conformava o meno.

[28] Che però dovrebbe portarci a dire nel Credo che la Chiesa sarà anche santa, ma sicuramente è peccatrice.

[29] A dire il vero questo è avvenuto ormai in ogni ambito. Per fare qualche esempio in altri campi, si pensi oggi alla medicina: l’antico timore riverenziale per il medico si è trasformato in sottile diffidenza, e basta poco per far scattare denunce e richieste risarcitorie.

[30] Come ha ben detto la teologa Marinella Perroni, Un Sinodo per cambiare - 1 - Uomini e profeti – Rai 3,

https://www.raiplaysound.it/audio/2022/01/Uomini-e-Profeti-del-09012022-5eb8ea7a-c912-41d2-bce0-e81012725351.html,

L’abuso ha trovato terreno fertile crescendo su una distorsione dell’esercizio e della percezione dell’autorità, ritenuta sacra. Gli abusi indicano che il sistema è malato, e quindi va cambiato. Le strutture di potere e di autorità vanno riformulate, e il clericalismo si elimina con riforme strutturali non solo attraverso la conversione. Una riforma della Chiesa è innanzitutto una riforma del potere. Il potere ecclesiastico si è finora arroccato tenendo i ruoli bloccati. La Chiesa si è blindata in un assoluto centralismo, che non ha nulla a che vedere col Vangelo. Mai il potere non può essere inteso come servizio, e mai il servizio può essere esercitato come potere. Occorre urgentemente una progettazione nuova. Chi sostiene che la Chiesa non ha il potere di cambiare, non dice il vero, perché in passato è la Chiesa che ha deciso questa struttura che vige ancora oggi.

[31] Il diritto romano si è imposto nel mondo attraverso la sua autorevolezza derivata dall’intrinseca razionalità riconosciutagli da tutti.

[32] Schillebeecks E., Per amore del Vangelo, ed. Cittadella, Assisi, 1993, 264.

[33] Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 21.

[34] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2011, 82.

[35] Ibidem.

[36] Pensiamo al noto sant’Ambrogio, un laico che, avuto notizia che volevano farlo vescovo, aveva cercato di allontanarsi alla chetichella da Milano, ma era stato inseguito, catturato, battezzato e fatto vescovo a furor di popolo.

Ma oggi, se uno si sente veramente chiamato, come si può andare contro questa volontà di Dio affermando che la chiamata non è idonea perché il chiamato è omosessuale? Forse che Dio, nel chiamare, guarda al sesso e ai genitali? O forse è solo l’uomo che lo fa?

[37] Eusebio di Cesarea, Historia. Eccl. 30, 9 e 30, 19.

[38] Per un’ampia documentazione sull’intera vicenda vedasi Papini C., Da vescovo di Roma a sovrano del mondo, ed. Claudiana, Torino, 2009, 33ss.

[39]New Catholic Encyclopedia, ed. McGraw-Hill Book Company, New York e al., 1967, vol. 2, Callistus I, 1080 s. Qui anche si aggiunge che non è chiaro se il primo § del De Pudicitia di Tertulliano che contesta la qualifica di vescovo dei vescovi si riferisse a Callisto, o a qualcun altro.

[40] Tertulliano, De Pudicitia, XXI, in www.documentacatholicaomnia.eu.

[41] Idem.

[42] Pontificia Amministrazione della Patriarcale Basilica di San Paolo, I Papi – Venti secoli di storia, ed. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2002, 12. Papini C., Da vescovo di Roma a sovrano del mondo, ed. Claudiana, Torino, 2009, 53ss. Schaff P. e Wace H., A selected Library of Nicene and post-Nicene Fathers of the Christian Church, Vol.XII, ed T&T Clark Edinbugh (Scozia) 1969, XI Prolegomena alle lettere di Papa Gregorio.

[43] Bihlmeyer K. e Tüchle H., Church History, ed. Newman Press, Westminster (Maryland USA), 1958, Vol. 1, 120.

[44] Atti del sinodo di Cartagine del 257 d.C., in www.documentacatholicaomnia.eu, (sotto anno 253, Concilia Cartaginensis-Documenta omnia, raccolta Schaff P.). Schaff precisa che quest’allusione feroce contro chi vuol essere vescovo dei vescovi viene fatta appunto di fronte al decreto di papa Stefano I, il quale pretendeva di essere chiamato vescovo dei vescovi, e minacciava di scomunica chiunque non si fosse adeguato. Vedasi anche nello stesso sito, Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiae, VII, 2-5.

[45] Wilde O., L’anima dell’uomo sotto il socialismo, in Aforismi mai scritti, ed. Stampa Alternativa, Roma, 1992, 52.

[46] Gounelle A., Parlare di Cristo, ed. Claudiana, Torino, 2008, 31.

[47] Il bene non può essere imposto, fosse pure da talebani o da preti. Diventerebbe dittatura del bene. È dal centro dell’uomo che deve scattare un meccanismo in grado di aprirgli gli occhi e di fargli fare un salto di qualità (Zanotelli A., Korogocho, ed. Feltrinelli, Milano, 2003, 156).

[48] Maritain J., The things that are not Caesar’s, ed. Charles Scribner’s Sons, New York (USA), 1931, 25: la virtù dell’obbedienza è una preminente virtù. Al contrario don Lorenzo Milani, sollevando il problema dell’obiezione di coscienza, nella sua famosa Lettera ai giudici espresse il parere che l’obbedienza non è ormai più una virtù (Lettere di don Lorenzo Milani, a cura di Gesualdi M., ed. Oscar Mondadori, Milano, 1975, 223).

La teologa Adriana Zarri si duole dell’utilizzazione unilaterale che la Chiesa ha fatto di san Paolo, di cui si è predicato soprattutto l’esortazione all’obbedienza (e magari alla sudditanza della donna), e non invece la sua presa di posizione fortissima contro la legge e per la libertà (Zarri A., Nostro Signore del deserto, ed. Cittadella, Assisi, 1978, 66).

[49] Corona M., La fine del mondo storto, ed. Mondadori, Milano, 2010, 123 s.

[50] Ricordo che già secondo Plutarco il maestro non è uno che riempie un sacco con nozioni e dottrine, ma uno che accende delle fiamme (riportato da Matteo A., Insegnare agli ignoranti, EMI, Bologna, 2015, 21). Gesù è maestro, perché è venuto appunto a gettare il fuoco sulla terra (Lc 12, 49).

[51] Lo dice chiaramente Giovanni: «non avete bisogno di nessun maestro. Infatti è lo Spirito il vostro maestro» (1Gv 2, 27). Perché a noi hanno insegnato che dobbiamo avere la Chiesa per maestra? La Chiesa non s’identifica mica con lo Spirito santo, esattamente come la Chiesa non è Cristo.

[52] In https://www.youtube.com/watch?v=GX7qavhm2hU