Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Come conciliare la legge umana con la legge e la misericordia divina (continua-6)



di Dario Culot



Ci si può domandare: perché la religione punti tanto sull’al-di-là? La risposta si trova spiegando com’è nata la religione in questo mondo. Quale è stata la prima cosa che si è messa in pratica quando gli uomini hanno cominciato ad essere religiosi? La religione è nata quando si sono cominciati a mettere in pratica i “rituali religiosi”. Da sempre i rituali hanno avuto il primo posto nell’ambito religioso, ieri come oggi.

Lantropologo Burkert Walter ha ben inquadrato nel suo libro (Homo necans) l'inizio del fenomeno religioso,[1] chiarendo che l’uomo, per mantenere la sua vita, ha dovuto da sempre uccidere. La fonte della nostra vita - per quanto possa apparire per noi doloroso e forse anche umiliante - è la morte: quando mangiamo un frutto o tagliamo dell'insalata, abbiamo tolto la vita a quei prodotti che avrebbero potuto continuare a vivere. Lo stesso succede quando uccidiamo un animale per mangiarlo: per mantenere la nostra vita ci siamo sempre comportati da homo necans, uomo che uccide. Per vivere noi, occorre sacrificare un’altra vita. Quindi, la prosecuzione di una vita è continuamente associata al sacrificio di un’altra, alla morte di un altro essere. Questa è una realtà universale e quotidiana, alla quale non facciamo neanche più caso, tanto che ci appare non solo necessaria, ma anche innocente[2].

Questa realtà umana, che è durata per millenni, probabilmente non doveva apparire poi così innocente ai nostri antenati cacciatori, per cui la si è, a poco a poco, ritualizzata[3]. Si può affermare che il sacrificio (di una vita) è la forma più antica dell’azione religiosa[4]. E insieme ai rituali di sacrificio emergono - a partire dall’epoca di Neanderthal – i seppellimenti di ossa, che gli uomini preistorici collocavano con estrema cura nelle caverne[5]. In definitiva, anche a partire da questo punto di vista la religione è vincolata (fin dalle sue più remote origini) a rituali collegati con la morte. E in questo iniziale collegamento sta il pericolo che, per non poche persone, la religione comporta. Perché se effettivamente la religione orienta l’interesse della gente verso il problema della morte e focalizza su questo - cioè sul fatto ineludibile della morte - la religione, in realtà sta mettendo il centro della vita nell’aldilà, il che a sua volta sposta inevitabilmente le preoccupazioni della gente da “questa vita” all’“altra vita”. Per questo la religione può risultare pericolosa, perché incentra le nostre preoccupazioni non sul migliorare e umanizzare questa vita terrena (dove si può lavorare tanto per migliorarla), ma sull’affannarci per un’altra vita[6]. Una vita che si immagina, in cui si spera, che però resta una promessa di cui non sappiamo nulla (e neanche possiamo sapere) con sicurezza, mentre vicino a noi abbiamo milioni di persone che con assoluta sicurezza soffrono e sopportano situazioni disumane estreme[7].

Vediamo qualche esempio nei vangeli di quanto appena detto: in Mt 15, 1-20, quando dalla sede centrale di Gerusalemme arriva la commissione ad inquisire sul perché Gesù e il suo gruppo violano la sacra tradizione degli antenati,[8] Gesù replica che non solo la tradizione di lavarsi le mani non viene da Dio ed è falsamente attribuita a Lui, ma è falsa anche la Bibbia quando afferma che Dio ritiene impuri certi alimenti. Pensate comunque che si è dovuto aspettare Gesù perché finalmente qualcuno dicesse che nella Bibbia ci sono falsità, per cui – se gli si crede - risulta per tabulas che non tutta la Scrittura è Parola di Dio (cosa che la Chiesa non ha avuto il coraggio di dire neanche con l’ultimo Concilio, come si è visto in precedenza); che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato (Mc 2, 27). Poi, chiamata vicino la gente, e quindi col massimo degli ascoltatori, affonda l’attacco contro la santa inquisizione di allora: quei soloni erano ritenuti da tutti un esempio di comportamento da imitare. Gesù dice: “liberatevi da questa gente!” perché questi signori che ambiscono ad essere considerati luce e guide dei ciechi, sono ciechi essi stessi, e quando un cieco guida un altro cieco tutti e due finiranno nel fosso. Occorre liberarsi da coloro che si cooptano come capi, e poi vogliono guidare e dominare. Ovvio che di lì a poco questi capi, non la gente peccatrice, lo abbiano ammazzato. Come ha insegnato lo psicologo Jung C. G.: “Dove prevale il potere non c’è posto per la tenerezza o l'amore”. Gesù è morto per aver voluto restare fedele alla sua missione di manifestare nel mondo quella pienezza d’amore gratuito di Dio che lui ha sperimentato nella propria esistenza. Quindi, davanti a un sistema religioso che parlava di un Dio lontano, di un giudice tremendo che allontana da sé gli impuri peccatori immeritevoli del suo amore,[9] Gesù è stato eliminato dal Potere perché divulgava la buona e rivoluzionaria notizia che Dio è come un buon genitore che ama tutti, perché Dio è Amore e tutti sono suoi figli. E per essere sicuro di non essere frainteso, e che tutti capissero questo concetto, Gesù lo sostiene non con qualche profonda spiegazione teologica che pochi avrebbero potuto capire, ma con esempi alla portata di tutti. Dice: “guardate oggi c’è il sole. Ebbene quando il sole splende cosa fa? Splende su tutti, mica su quelli che se lo meritano e non su quelli che non se lo meritano” (Mt 5, 45). Se domani mattina piove, la pioggia bagna l’orto di tutti; non solo l’orto della persona pia e pura, ma anche l’orto della persona impura e peccatrice. La gallina che fa? Protegge solo i suoi pulcini buoni e manda via quelli cattivi? No, raduna indistintamente tutti sotto le sue ali (Mt 23, 37; Lc 13, 34). Ma questa notizia rivoluzionaria, la Buona Novella che Dio è misericordioso sempre, è offerta gratuita e continua d’amore per tutti, si è subito scontrata,[10] e ancora oggi si scontra, con la sua principale nemica: la religione, la quale in tutte le epoche ha sempre insegnato e tuttora insegna l’opposta notizia della retribuzione, della ricompensa, del Dio giudice che incute paura. Dunque è il magistero che ha equiparato la giustizia di Dio alla legge umana della retribuzione e della ricompensa del merito. Di certo non Dio.

Oppure fermiamoci un attimo sulla parabola abbinata all’episodio della prostituta peccatrice (Lc 7, 37): un creditore aveva due debitori; l’uno gli doveva cinquecento denari,[11] l’altro cinquanta. Non avendo nessuno dei due possibilità di restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro gli sarà più riconoscente? Siamo evidentemente davanti a un creditore assai generoso, che ha fatto un bel regalo a tutti e due, senza andar a indagare se uno meritasse o no la cancellazione del debito, se era giusto cancellarlo. Pietra sopra, non se ne parla più. Passando dall’economia alle categorie morali, con cui sta ragionando il fariseo, Gesù ci sta chiaramente facendo intendere che Dio è come questo creditore: non retribuisce, non ricompensa, ma regala, perché se ricompensasse dovrebbe prima vedere se l’altro la merita, mentre il regalo dipende dalla generosità di chi lo fa. Lo stesso regalo viene fatto alla prostituta peccatrice. Questa è la novità portata da Gesù che ancora oggi difficilmente si accetta.

L’accoglienza della Buona Novella è stata immediata da parte dei pagani, dei non credenti e dei peccatori, per i quali era facile accettare l’idea che in famiglia gli ammalati si curano, non si puniscono[12]. Non si dice ancora oggi che invece di aumentare giudici e prigioni si dovrebbero aumentare case di educazione e di cura?[13] Gesù è venuto come medico per gli ammalati, e presenta Dio come dono. E qui possiamo toccare un altro punto dolente, se solo pensiamo ai vescovi americani che volevano negare a Biden l’accesso alla comunione. Sono convinti di poterlo fare esercitando un potere che viene loro direttamente da Dio, ma i presbiteri non sono i padroni del pane eucaristico, per cui non possono chiedere a nessuno un attestato di buona condotta. La mensa di Gesù è il luogo dei peccatori, e Gesù non accetta che nessuno sia discriminato in nome di Dio. A riprova di quanto si sta qui dicendo, i Vangeli di Matteo e Luca iniziano proprio con la buona notizia che viene accolta da quelle categorie che, secondo la religione, erano escluse da ogni rapporto con Dio: i maghi pagani e i pastori. La notizia è stata invece subito avversata dalle persone religiose e pie e da quanti non accettano questa idea di amore gratuito da parte di Dio preferendolo “meritare” con il proprio impegno. L’amore di Dio a costoro diventa poi un credito dovuto, come il fariseo che presentandosi di fronte al Signore gli mostra tutto quello che lui ha fatto per Dio: “non sono come quei disgraziati... digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo...” (Lc 18, 9-14). Il fariseo non aspetta nessuna “buona notizia”; è lui che presenta la sua buona notizia a Dio, con tutto quello che lui ho fatto per il Creatore! Che aspetta Dio a ringraziarlo? Il fariseo divide le persone in due fasce: i peccatori ed i giusti come lui; invece Gesù legge le due fasce in modo capovolto: i giusti sono in realtà i peccatori, perché riconoscono di avere bisogno della misericordia e a loro questo Dio va bene. I peccatori, invece, sono quelli che si ritengono giusti, ma questo Dio di misericordia a loro non va bene, non accettano questa misericordia e questo perdono. In realtà Gesù fa capire che non ci sono cristiani «irregolari» e cristiani «giusti», ma che tutti sono chiamati costantemente a convertirsi e a ritornare al Signore.

Questo succede perché in ogni religione Dio viene presentato come uno che discrimina gli uomini fra meritevoli del suo amore perché osservano la sua legge (i buoni) e immeritevoli (i cattivi che Dio non ama ed emargina); fra uomini che possono avvicinarsi a Lui perché sono puri, e persone impure che è come se non esistessero perché Dio le ha cancellate dal suo libro, dove tiene minuziosamente conto di ogni singolo peccato. Guai all’impuro che contamina la dimora di Dio, ammonisce la Bibbia (Lv 15, 31). Gesù, invece, ha pagato con la sua vita l’annuncio di un amore universale di Dio che non si lascia minimamente condizionare dal comportamento degli uomini. Se la gente diventa consapevole di questa Buona Novella, la religione si svuota di ogni sua forza e viene irrimediabilmente distrutta. La forza della religione, infatti, sta nella tremenda minaccia di un Dio che premia i pochi osservanti della legge divina, ma castiga duramente i molti peccatori. L’unico mezzo che i sacerdoti da sempre hanno avuto a disposizione per trattenere sottomessa la gente era ispirare una grande paura della morte e dell’immediato giudizio divino. La religione prende forza dalla legge contrabbandata come divina, cioè come voluta e imposta da Dio. La forza della religione sta nel creare il peccato per poi rivendicare solo a sé la capacità di toglierlo: ma se a monte si toglie il peccato crolla la religione. Ecco perché ogni religione espone e impone un’immagine di un Dio terrificante che incute timore, non certo amore. Gesù ribalta il tavolo e inizia a sostenere che Dio è amore per tutti e non viene affatto attratto dai meriti dei singoli. “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi”, viene ribadito fin dall’inizio del cristianesimo (1Gv 4,10; cfr. anche Rm 5,8). E l’amore non è e non può mai essere regolato da leggi precise e minuziose. Qual è infatti la caratteristica dell’amore? L’amore è analogo alla fede, nel senso che se non si ha più fede nell’altro l’amore svanisce, e se non c’è amore la fede svanisce. L’amore non richiede che ci si appropri dell’altro, che resta l’altro: quindi anche nell’amore c’è un io e un tu. Perciò non è vero che chi ama sa perfettamente cosa vuole l’altro, cosa pensa l’altro. Chi ama non soffoca l’altro, non lo costringe a restare se vuole andarsene, mene che meno uccide l’altro per impedirgli di andarsene. Chi ama resta però vulnerabile, perché l’amato può sempre tradire o fare del male senza volerlo, ma resta sempre un io e un tu, cioè la capacità di stare insieme ma anche di restare soli. Dunque l’amore sempre dinamico e creativo non può coincidere con la legge sempre statica e rigida. Se non è prevedibile non è neanche clonabile, per cui di nuovo non può essere pilotato dalle regole rigide di una legge, ma è lasciato alla creatività di ciascuno.

Vediamo comunque tutti che la vecchia idea, secondo cui si riceverà in base al merito (dopo aver ovviamente osservato tutte le leggi asseritamente volute da Dio), è dura da morire. Pagare ognuno secondo i suoi meriti va bene forse fra imprenditore e lavoratore. Ma è già incongruente applicare lo stesso criterio in famiglia: guai se un genitore calcolasse il rendimento e i benefici che suo figlio gli ha prodotto quel giorno, per determinare la quantità di bontà, di affetto e tenerezza che si è guadagnato. E allora perché continuiamo ad applicare questo criterio contrattualistico a Dio dicendo che Dio premierà ciascuno secondo i suoi meriti? Nella parabola dei lavoratori a giornata (Mt 20, 1-5) inutilmente Gesù ha cercato di spiegare che Dio non si relaziona con noi secondo il nostro criterio di giustizia retributiva, pagando ognuno secondo le ore lavorate (cioè secondo i suoi meriti), ma con generosità. Quindi bisogna farla finita con l’immagine di un Dio che in cielo sul suo grande libro mastro, calcola in continuazione ciò che uno merita o demerita[14]. E allora solo crede di credere colui che si limita ad obbedire alle leggi e ai precetti della Chiesa, aspettandosi la ricompensa, come se il nostro Dio fosse l’amministratore unico di una multinazionale del sacro che dirama le sue direttive al Vaticano, il quale poi le fa conoscere al suo gregge, il quale deve solo obbedire in silenzio.

Certo che se Dio non premia più i buoni e non castiga più i cattivi peccatori, se l’amore gratuito del Padre va a puri e impuri senza intermediari,[15] se l’amore di Dio non si deve più meritare, non c’è più religione! E per questo va ribadito che Gesù non porta una nuova religione, e infatti non parla mai di religione. Quando Gesù incontra i cattivi peccatori li invita a pranzo, non li processa, non li costringe ad un’umiliante confessione, non evita di avvicinarsi a loro come ogni buon religioso sa che si deve fare, sicuro così di fare quello che fa e vuole Dio. Il cristianesimo, dunque, inteso come sequela di Gesù, non è una religione: è un modo di vivere, uno stile di vita. In ogni religione Dio ha creato l’uomo per essere servito, ed il servizio si esprime attraverso il culto, la liturgia, le offerte, i sacrifici. In ogni religione si distingue tra degno e indegno, ed ancora oggi nella nostra liturgia abbonda il battersi il petto ed il proclamare che non si è degni di avvicinarsi a Dio, non si sono meritati i suoi benefici, ma piuttosto si sono meritati i suoi castighi (ricordate l’Atto di dolore che si recitava alla fine della confessione?). Gesù ha insegnato che Dio, il Padre, non chiede nulla agli uomini, ma è Lui che dà. Allora se l’uomo non deve dare più niente a questo Dio, ma deve soltanto accoglierlo, quella religione, che campa sulla differenza tra puri e impuri, tra meritevoli e immeritevoli, fra santi e peccatori è finita.

Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che Pietro, solo dopo lungo e faticoso cammino, ritorna a Gesù: ma il travaglio di Pietro è il travaglio di noi tutti. È dura per tutti accettare che la maggior parte di quello che ci è stato insegnato non proviene da Dio, ma anzi ci allontana da Lui. È dura ammettere che Dio ama le persone non perché se lo meritano, ma perché Lui è amore. È dura accettare che la giustizia divina non punirà i cattivi col fuoco eterno che non consuma, come invece ancora comunemente si pensa. È inaccettabile, ancora oggi per la maggior parte di coloro che si professano credenti, che Dio si metta a servizio dell’uomo; non ci si crede perché si è ancora convinti che sono gli uomini a dover servire Dio. Secoli d’insegnamento di tutti quelli che si sono intromessi come intermediari tra noi e Dio sono entrati ormai nel nostro DNA, e tutti quelli che si sono inseriti tra Dio e gli uomini pretendendo che siano gli uomini a servizio di questo Dio (e magari, senza dirlo, anche al loro servizio)[16], si rendono conto che l’opposta convinzione farebbe crollare l’intera piramide gerarchica costruita nei secoli. Facciamo un rapido calcolo: quante persone aveva al suo servizio Gesù? Quante persone avevano al loro servizio gli apostoli? Quante persone hanno avuto al loro servizio i papi e i vescovi?

Inutilmente la parabola del buon samaritano (Lc 10, 30) dimostra che più uno vuol essere santo, più uno vuole mantenere il suo stato di purezza per conservare il suo contatto con Dio, più è ateo, come lo è il sacerdote che, essendosi purificato nel Tempio, è certo di trovarsi in grazia, per cui non vuole rendersi impuro toccando quell’uomo immobile a terra. La parabola del buon samaritano – come si è visto in precedenza,- insegna che, davanti a un essere umano in stato di estremo bisogno, la religione (rappresentata dal sacerdote e dal levita) non risolve la situazione, mentre chi la risolve è precisamente lo scismatico, l’eretico (rappresentato dal samaritano). Parafrasando sant’Agostino[17] si può dire che il ferito, vedendo la carità del samaritano, ha visto il volto di Dio, perché Dio invisibile diventa visibile e presente solo attraverso i nostri gesti. Invece il sacerdote ed il levita, pii e puri, col loro comportamento tutto teso al soprannaturale, ad onorare la legge di Dio, che vogliono essere santi perché Dio è Santo, hanno messo in luce un’immagine sinistra di Dio. Tutti percepiscono che il sacerdote, la persona religiosa che si crede credente, in realtà sta togliendo la vita. Tutti si rendono conto che un impuro peccatore, il quale non pensa affatto di essere credente e agisce senza neanche pensare a Dio e alle Leggi divine insegnate dal magistero, assomiglia a Dio perché in lui tutti possono vedere la presenza di un Padre che ridona la vita, la garantisce, la cura. Essere da Dio, allora, dipende non dall’osservanza della Legge divina, ma dal bene che si fa agli altri[18]. Come nella parabola del samaritano, uno si ferma solo perché vede nell’altra persona abbandonata una sofferenza da aiutare. Si ferma, interrompe il suo viaggio, impegna il suo tempo per questa persona sconosciuta che ha attraversato la sua vita, curandola e pagando di persona. Ecco che qui è stato imitato l’amore gratuito, proprio di Gesù,[19] che non attende alcuna restituzione. Ecco la somiglianza col Padre, ecco l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio[20]. Ecco il Regno di Dio costruibile solo quando ci rimbocchiamo le maniche, mentre non ci verrà mai magicamente calato dall’alto credendo ai dogmi ed osservando le leggi divine. Chiunque fa del bene a tutti, perfino a chi non lo merita ma ne ha ugualmente bisogno,[21] assomiglia a Dio nell’amore ed è in piena comunione con Dio, anche se pensa di non essere credente,[22] anche se il magistero lo considera un ateo miscredente.

Gesù non invita mai nessuno ad osservare la Legge divina – fra l’altro, come potrebbe, visto che lui l’ha infranta in continuazione (pensiamo solo alle guarigioni fatte in giorno di sabato) -, non chiede a nessuno di obbedire a Dio osservando le sue leggi: nella nuova alleanza il credente è colui che assomiglia al padre praticando un amore simile al suo. Infatti, per ogni cristiano, il comandamento unico che condensa in sé e supera tutti gli altri è il comandamento dell'amore (Gv 13, 34s.). Gesù non invita mai nessuno a diventare santo, né usa questa parola, mentre invita sempre tutti alla misericordia. Mai Gesù chiederà a qualcuno dei suoi discepoli di essere santo perché “io sono santo” (come invece si legge nella Bibbia: Lv 11,44); dirà invece: «siate misericordiosi come il Padre vostro del cielo è misericordioso» (Lc 6, 36), perché la santità non sempre unisce, mentre la misericordia unisce tutti. Tutto quello che è scontro, divisione, quello che mette gli uomini gli uni contro gli altri, questo non viene da Dio e non ci porta a Dio. Anzi, questo ci mette contro Dio. Gesù non era neanche nato, e già stimolava le persone alla gioia dell’incontro (cfr. l’incontro fra Maria ed Elisabetta – Lc 1, 39-45), alla buona relazione fra le persone che è l’opposto della separazione e della divisione. Se uno non è misericordioso (e lo può essere solo verso gli altri) non è completo. Se Dio restava in alto, nella sua sfera di santità, pochi avrebbero potuto avvicinarlo. Ecco perché Dio non sceglie di stare lassù in alto, ma di scendere in basso, dal momento che si presenta come il Dio-con-noi. Mi piace qui ricordare il “sogno meraviglioso” del poeta francese Roger Gauthier:[23]

Ed ecco che, una notte, ho fatto un sogno…

Ero in mezzo a un vasto cielo azzurro,

ero un puntino, la stella più piccola;

e immaginavo una scala infinita

per salire fino a te con l’ardore della gioventù.

Ma non riuscivo a salire oltre il primo gradino.

Stavo per scoraggiarmi quando, all’improvviso,

ti ho visto proprio accanto a me

e mi dicevi:

“Perché non vuoi restare qui con me?

È qui che ti amo…”

Gesù offre, non impone mai. Gesù offre la liberazione. La Chiesa sostiene che Gesù è venuto a liberarci, ma poi impone totale obbedienza a sé, senza spiegare come libertà piena e obbedienza assoluta possano essere fra di loro conciliabili. La religione deve minacciare per farsi obbedire. Il messaggio di Gesù è sempre un’offerta, mai una minaccia, per cui se c’è obbligo di obbedienza non siamo davanti al vero messaggio di Gesù. Ripeto: Gesù non ha chiesto ai suoi seguaci di obbedire a nessuno, neanche a Dio che non chiede obbedienza, ma somiglianza. Questo, a mio parere, è il punto più importante: Gesù non ha mai chiesto che gli si obbedisse, o che si obbedisse a Dio. Immaginarsi se si può pretendere obbedienza agli uomini, che si sono autoproclamati vicari o rappresentanti di Dio.

Si è detto sopra che l’insegnamento di san Paolo è che la legge religiosa non esiste più per i credenti adulti: Gesù ci ha liberato dalla maledizione della legge[24] (questo è il riscatto che Gesù ha pagato per tutti). Insomma, se Gesù ci ha liberati perché restassimo liberi, ci ha riscattati dalla maledizione della legge (Gal 3, 13)[25], e non pensa minimamente di imporci di nuovo il giogo della servitù legale (Gal 5, 1), a differenza di quanto pretende ancora oggi di fare buona parte del magistero. Quella che a Gerusalemme era venerata come la parola di Dio, come la volontà di Dio, la cui osservanza doveva portare alla benedizione,[26] per Paolo è una maledizione!

Da sottolineare che neanche la parola “castigo” per aver violato la legge compare nei vangeli come una minaccia in bocca a Gesù, perché Gesù, come Dio, non castiga nessun peccatore, ma verso ogni peccatore si rivolge sempre con estrema misericordia. Le uniche volte che nei vangeli appare il termine "ira" di Dio questa, guarda caso, si riferisce alla classe dirigente religiosa ed economica che opprime il popolo, ai rappresentanti di Dio in terra: ai veri “peccatori”. E sappiamo che i passi dei vangeli dove Gesù sembra minacciare con la parola “Guai a voi!” oggi viene interpretata come “Ahi!”, dal termine greco “ouái” (οὐαί) che si rifà a un termine ebraico (Hôi) e che è il lamento funebre. Gesù non minaccia, ma Gesù piange già come morte, anche se sembrano vive, certe persone che pensano solo a sé stesse e non agli altri. Quindi non minacce, ma lamenti[27]. I farisei hanno sostituito il rito alla vita (mezzo con il fine). Da qui il lamento “ahi!”

Peccato allora è dire: “io sono nella giustizia e tu sei nell’ingiustizia”. È credere di avere il monopolio della verità e della giustizia. Il peccato – dice un grande personaggio spirituale,[28]- è soprattutto voler giudicare,[29] contravvenendo al “non giudicate!” di Gesù. E, aggiunge, basta aprire una pagina di qualsiasi giornale, anche del giornale più pio, più religioso, per trovare sempre giudizi negativi trancianti, giudizi sul mondo, giudizi sul peccato, giudizi sugli scrittori devianti dai principi affermati dalla Chiesa, la quale vede comunque il male in tutto ciò che mette in pericolo la stabilità delle sue convinzioni[30]. Tutto questo è fornire alimento a quella divisione che lacera la nostra coscienza di uomini, che lacera la convivenza sociale. Giudicare è “affare” di Dio, mentre noi uomini dovremmo accontentarci di essere impegnati a riconciliare tutto ciò che è diviso, a creare armonia, e l’uomo al massimo della sua condizione umana apparirà solo il giorno in cui tutte le divisioni, tutte le separazioni, tutta l’immaturità saranno superate.

Già Nietzsche aveva osservato come l’idea di un Dio amorevole facesse a pugni con la teoria della soddisfazione e dell’espiazione, che metteva invece in evidenza un Dio orientaleggiante, incapace di dominare il proprio altissimo senso dell’onore e l’impulso alla vendetta,[31] che accettava l’umanità peccatrice solo quando gli è stato pagato un congruo contributo di sangue: siamo ben lontani dalla salvezza gratuita[32]. Curioso poi come tanti accettino senza fiatare che Dio – offeso nel suo onore, - possa punire e perfino uccidere chi viola il suo codice, mentre non accettano che i genitori pachistani della giovane Saman Abbas l’abbiano uccisa, sempre per difendere il proprio onore, avendo la ragazza violato il loro codice cercando di vivere all’occidentale. Se critichiamo questi genitori perché non critichiamo anche un simile Dio?

Quando le persone chiedono a Gesù cosa devono fare per compiere le opere di Dio, e quindi per essere a posto con Dio, egli risponde: “Questa è l’opera di Dio: credere in lui” (Gv 6, 29). Non dice di credere all’insegnamento dei sacerdoti. L’unica volta che appare nell’Antico Testamento il termine ‘opera di Dio’ è nel Libro dell’Esodo (Es 32,16), per indicare le tavole della legge. Ma con Gesù c’è un cambio di alleanza, il rapporto con Dio non è più basato sull’osservanza della legge che Dio ha dato a Mosè, ma sull’accoglienza dell’amore di Dio, e con il suo stile di vita Gesù ha dimostrato di essere stato mandato per l’appunto da un Padre amorevole. Quindi si sarà figli di Dio non più obbedendo alle tavole della legge, ma seguendo il comportamento di Gesù, in cui si manifesta l’amore misericordioso proprio di Dio.

A ben guardare, l’amore dimostrato da Gesù è quello che dimostra il buon samaritano per una persona sanguinante deformata dalle botte; qui l’incontro non è una promessa di gioia, ma un peso da sollevare e da affrontare con fatica; c’è una persona sofferente e abbandonata in cui non c’è niente di amabile, niente che potrebbe attirare il desiderio e tanto meno l’amore. Solo qui c’è un amore misericordioso,[33] servizievole, che non suppone l’amabilità dell’altro (a differenza di quanto avviene nel Cantico dei cantici), che si prende in carico la persona sconosciuta e abbandonata e s’impegna a riportarla alla bellezza che ha perduto. Solo l’amore gratuito che si traduce in servizio sostituisce tutti gli altri comandamenti. Servire vuol dire innanzitutto attivarsi concretamente in favore degli altri perché l’amore cristiano deve sempre tradursi in gesti concreti. Se l’amore non si vede, se l’amore non si traduce in un servizio (e quindi in un linguaggio universalmente riconoscibile) non è l’amore di Gesù. E se Gesù - che secondo l’insegnamento ufficiale è Dio - si mette per amore a servizio degli uomini (ricordiamo il gesto della lavanda dei piedi), bisogna anche concludere che tutti quegli uomini – anche di chiesa - che pur parlano di amore, ma poi pretendono di comandare e di farsi servire, in realtà si allontanano da Dio, il quale si può trovare dove si esercita il servizio esercitato con amore misericordioso, non certo dove si esercita il potere[34] anche se sorretto dalla legge.

A questo punto, posso concludere dicendo che il problema di come risolvere qui sulla terra il contrasto fra amore e giustizia è nostro, non di Dio.

Finora siamo riusciti a far andare a braccetto legge umana e legge divina, perché anche la religione cerca di cementare l’ordine sociale. Non siamo ancora riusciti a fare lo stesso fra legge umana e misericordia divina. Però non dimentichiamoci che «il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno»[35]. Perciò «Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti» (Gal 6,9-10).

NOTE

[1] Burkert W., Homo necans, ed. Boringhieri, Torino, 1981, 31: il cacciatore può vivere solo uccidendo.

[2] Castillo J.M., Abbandonare la tristezza, vivere la felicità, conversazioni a Sezzano, 2014, in https://www.youtube.com/watch?v=R-vDHHRYMsY.

[3] Vedasi il rito sacrificale raccontato da Senofonte, Anabasi, VII, 1, 40. Nella Bibbia vedasi Lv 6, 2.

[4] Cfr Burkert cit., 36 nota 50.

[5] Cfr. Burkert cit., 37 nota 51.

[6] Invece la cosa fondamentale nel cristianesimo dovrebbe essere il comportamento dell’uomo verso l’uomo (Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 60).

[7] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 134s.

[8] Non bisogna neanche idealizzare la tradizione: è vero che per ogni essere umano sono decisive nella vita non solo le idee e le conoscenze, ma anche (e in maniera decisiva) le esperienze simboliche mediante le quali esprimiamo i nostri sentimenti più profondi e le nostre esperienze più determinanti. Ma i rituali religiosi tradizionali, osservati alla lettera proprio in quanto tali, servono spesso solo ad ingannare i fedeli osservanti ed a tranquillizzare le loro coscienze.

[9] E tutto avviene per colpa nostra ovviamente, perché siamo noi uomini a renderlo così tremendo a causa dei nostri peccati, ai quali Dio reagisce vendicandosi. Ecco allora che le sue collere si fanno terribili e lo inducono alla vendetta.

[10] Gesù ha da subito attaccato briga tanto con i teologi quanto con le autorità politiche del suo tempo, e ciò in maniera tale che gli esegeti di oggi possono solo cercar d'indovinare se la sua attività pubblica sia durata un anno e mezzo o forse due anni e mezzo. Nessuno ha osato ipotizzare un periodo superiore ai tre anni. Perciò, se è possibile imparare qualcosa da Gesù, si tratta del coraggio della disobbedienza privata nei confronti dell'autorità ecclesiastica (Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 477).

[11] Un denaro era la paga giornaliera di un operaio quindi, tolti i sabati in cui non si lavorava, siamo davanti a un raffronto tra due mesi di paga e due anni di paga.

[12]Da Spinetoli O., La Giustizia nella Bibbia, “Bibbia e Oriente”, XIII, 1971, 254.

[13]Idem, 253.

[14] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2011,183ss.

[15] Maggi A., Padre dei poveri – 1. Le Beatitudini di Matteo, ed. Cittadella. Assisi, 2008, 169.

[16] Secondo voi è più facile vedere delle suore che servono il vescovo, o le suore servite dal vescovo?

[17] Sant’Agostino, De Trinitate, VIII, 8, 12, in www.documentacatholicaomnia.eu. (sotto Augustinus).

[18] Maggi A., Cos’è il peccato, incontro in Assisi 2013, in https://www.studibiblici.it/audioconferenze.html.

[19] Muraro G., Perché il papa parla di amore misericordioso?, “Famiglia Cristiana, n.45/2002, 149.

[20] Quando nella Genesi Dio dice: Facciamo l’uomo a nostra imagine…a sua imagine lo creò” significa – l’ha detto non ricordo chi - che l’immagine la fa Dio, ma la somiglianza deve farla l’uomo, il quale deve collaborare e completare la creazione. Col che Dio, da subito, si auolimita lasciando spazio all’uomo.

[21] Da Spinetoli O., Il Cristo che aspettiamo, “Adista” n.9/2012, §8, in www.cdbchieri.it.

[22] Vedasi Pietro (Gv 20, 15-19) quando gli viene affidato il compito di custodire il gregge di Gesù: se lo farà con amore, questo porterà in seguito anche ad amare Dio, cosa che al momento non è capace di fare.

Non ha senso chiedersi chi confessa e chi non confessa Gesù, soprattutto nella forma ecclesiastico-religiosa tradizionale, ma chi segue l'esempio del buon samaritano (Machovec M., Gesù per gli atei, Cittadella, Assisi, 1974, 212)

[23] Gauthier R., Preghiere per le esigenze del cuore, Cittadella, Assisi, 1998, 50s.

[24] Paolo ha capito che l’errore dei giudei è credere che la salvezza si ottiene osservando la Legge, mentre ci vuole un’attitudine che impegna tutto l’uomo ad affidarsi a Dio, per cui finirà col parlare della maledizione della legge, di schiavitù della legge dalla quale Cristo ci ha liberati (Gal 2, 19; 3, 10-13; 4, 21-31; 5, 1-4). In realtà l’opera di san Paolo non si propose di suscitare paure masochistiche di fronte al peccato, ma mira alla liberazione da una pratica della Legge che porta alla morte; non voleva insegnare come si potessero imprimere agli uomini sensi di colpa tali da renderli per sempre dipendenti non dalla misericordia di Dio, bensì dal perdono dei sacerdoti. Pertanto Lutero si richiamò giustamente all’esperienza di san Paolo (Della libertà del cristiano, n.17, in Scritti politici, p.378) quando riscoprì il rapporto diretto tra il singolo e il suo Dio (Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 50).

[25]La conseguenza che Lutero ha tratto, una volta stabilito che Gesù ci ha liberati dalla legge, è che se l’essere umano non sta più sotto la legge, è solo l’amore che gli indica cosa fare e cosa non fare. Perciò i luterani tengono molto a lasciar decidere le singole persone secondo la loro responsabilità che cosa sia da fare e che cosa no. La chiesa può dare consigli, ma la decisione la prende sempre il singolo credente. Questa responsabilizzazione diretta del singolo era già allora una cosa del tutto nuova (Kampen D., Introduzione alla teologia luterana, ed. Claudiana, Torino, 2011, 25), e per la Chiesa cattolica più ortodossa continua ad essere del tutto nuova e inaccettabile, perché così la pecora-credente sfugge al controllo del pastore.

[26] Dt 27, 26: Maledetto chi non mantiene in vigore le parole di questa legge.

[27] Cfr. l’articolo sul fico maledetto al n. 487/2019 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-487---13-gennaio-2019/guai-a-voi.

[28] Curiosamente, l’arcivescovo di Firenze Florit aveva avuto sotto di sé quelli che furono probabilmente i più grandi testimoni del cristianesimo del XX secolo (don Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, Giovanni Vannucci e padre Turoldo), e li ha tutti combattuti ed emarginati, perché erano degli apripista troppo avanti rispetto al suo conservatorismo.

[29] Mt 7, 1. A dire il vero anche il papa emerito ci ricorda che Gesù ci ingiunge di non ergerci a depositari del giudizio del mondo, ma di rispettare il mistero della dignità dell’uomo anche quando ci troviamo a dover giudicare gli altri (Ratzinger J, Dio e il mondo, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), p.260): ma neanche l’autorità ecclesiastica, poi, applica questo principio che pur proclama. Basti pensare al grido di omicidio del cardinale Saraiva Martins per la morte di Eluana Englaro (“La Repubblica”, 10.2.2009, 11) o del cardinale Barragan (“Il Piccolo”, 28.2.2009,3), oppure il grido di “boia” contro il padre dell’Englaro ed i giudici, avanzato dal quotidiano “Avvenire” il 10.2.2009. Essi hanno esplicitato le idee ecclesiastiche in modo un po’ diverso da quanto lo stesso papa riconosce si dovrebbe fare: “Noi cerchiamo di convincere gli altri di cose che paiono essenziali, ma ciò deve avvenire nel rispetto, senza imposizioni” (Politi M. La Chiesa del no, ed. Mondadori, Milano, 2009, 92 e 336). A questo punto, come ci si può poi stupire se una mano ignota ha scritto sul muro della clinica dove è morta l’Englaro “Peppino Boia”, riferendosi al di lei padre? (“La Salute di Repubblica”, n.611/2009, 3), o se tanti cattolici doc hanno sottoscritto una denuncia di omicidio a carico di questo padre? O quanto meno i sostenitori laici della morte di Eluana sono additati con supponenza come coloro che “superficialmente” hanno dato per scontato cose che invece non dovevano dare per scontato (Bonanare M., Vogliamo anche noi scrivere la legge, “Famiglia Cristiana”, n.8/2009, 31), dimenticando che il padre ha avuto circa 17 anni di lotte giudiziarie per poter meditare “approfonditamente” sulla questione.

Troppo spesso l’istituzione ecclesiastica propone un insegnamento che di per sé giudica, impone e quindi divide, che non rispetta e non riconcilia.

[30] Pensiamo solo ai casi in cui vari chierici hanno rumorosamente festeggiato l’azzeramento del DDL Zan.

[31] Nietzsche F.W., Aforismi, a cura di Vannini M., ed. Tascabili economici Newton, Roma, 1993, 61.

[32] Gounelle A. Parlare di Cristo, ed. Claudiana, Torino, 2008, 57.

[33] Muraro G., Perché il papa parla di amore misericordioso?, “Famiglia Cristiana”, n.45/2002, 149.

[34] Maggi A., La follia di Dio, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 143. In una lettera scritta il 20.9.2013 Ortensio Urbanelli nato a Spinetoli (Ortensio da Spinetoli, L’inutile fardello, Chiarelettere, Milano, 2017, 74) sollecitava la chiusura dell’ex Sant’uffizio troppo in contrasto col messaggio centrale del Vangelo, imperniato sulla carità e sul perdono e non già sulla giustizia, tantomeno quella punitiva, che possiamo lasciare tranquillamente agli uomini.

Temo che la nostra generazione non riuscirà a vedere questa legittima aspirazione avverata.

[35] Enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, §11, del 3.10.2020.