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Ecclesia non supplet


di Stefano Sodaro

Giovane donna che prega in chiesa - 1854 - Jules Breton - foto tratta da commons.wikimedia.org


Proprio mentre ieri, sabato 3 febbraio 2024, veniva ordinato il primo prete sposato cattolico a  Bruxelles dopo 450 anni – il reverendo David Nas, di rito caldeo -, usciva a Roma, nella stessa giornata, quasi nello stesso momento, una nuova Nota del Dicastero per la Dottrina della Fede, intitolata Gestis verbisque, sulla validità dei Sacramenti.

E già il semplice uso del termine “validità” annunciava l’approccio, strettamente giuridico, alla disciplina delle celebrazioni sacramentali.

Il documento esordisce con affermazioni – sia consentito esprimersi così – a dir poco paradossali, fino a sostenere (al n. 2) che «A titolo esemplificativo si potrebbe fare riferimento a celebrazioni battesimali in cui la formula sacramentale è stata modificata in un suo elemento essenziale, rendendo nullo il sacramento e compromettendo in questo modo il futuro cammino sacramentale di quei fedeli per i quali, con grave disagio, si è dovuto procedere a ripetere la celebrazione non solo del Battesimo, ma anche dei sacramenti ricevuti successivamente.» Oppure addirittura, subito al primo alinea, nelle prime nove righe: «Ad esempio, invece di usare la formula stabilita per il Battesimo, si sono utilizzate formule come quelle che seguono: «Io ti battezzo nel nome del Creatore…» e «A nome del papà e della mamma… noi ti battezziamo». In una tale grave situazione si sono ritrovati anche dei sacerdoti. Questi ultimi, essendo stati battezzati con formule di questo tipo, hanno scoperto dolorosamente l’invalidità della loro ordinazione e dei sacramenti sino a quel momento celebrati.»

Dunque la configurazione ritenuta più adeguata per inoltrarsi nella dinamica dell’evento sacramentale pare essere quella tipica di un negozio giuridico e sembra altresì che del fondamentale principio di teologia spirituale secondo cui “supplet Ecclesia” in presenza di deficienze rituali, quali che siano, possa ammettersi solo un’applicazione strettamente giuridica, a norma del can. 144 § 1, a tenore del quale “Nell’errore comune di fatto o di diritto, e parimenti nel dubbio positivo e probabile sia di diritto sia di fatto, la Chiesa supplisce, tanto nel foro esterno quanto interno, la potestà di governo esecutiva.” Evaporano, in ultima analisi, secoli di sapienza, non certo solo giuridica, ma appunto teologico-spirituale, per la quale, ad esempio, – ci veniva insegnato – se ci si confessa inconsapevolmente da chi non è prete e che dolosamente si sia finto tale, l’assoluzione è stata comunque validamente ricevuta, benché invalidamente impartita, con un’acuta distinzione, benché ancora tutta giuridico-formale, tra soggetto attivo e soggetto passivo. Eppure anche tale costruzione logico-formale sembra adesso lesionata.

Ci si chiede tuttavia: è la prospettiva giuridica in termini di “validità/invalidità” la più appropriata – e persino pastoralmente propizia - ad interpretare l’evento sacramentale, soprattutto dopo la dottrina del Vaticano II?

Lasciamo la domanda sospesa, immaginando che molte risposte possano essere anche affermative.

Il problema è molto più ampio e profondo, perché concerne il significato stesso della fede della Chiesa, di quel tanto celebrato “Santo e Fedele Popolo di Dio”, che però – alla prova dei fatti ed al di là delle belle parole – sembra poter essere solo destinatario passivo dei pronunciamenti magisteriali, a proposito di logiche formali, ed incapace, perché inadatto (incompetente, insomma), d’esprimere, in termini vincolanti anche per chi abbia autorità, il proprio convincimento più vitale, decisivo, esistenzialmente impegnativo.

Ci immaginiamo cosa potrebbe accadere se tutte e tutti, stando al contenuto della Nota dottrinale di ieri, ci dovessimo iniziare a porre qualche interrogativo sulla validità del nostro Battesimo, anche solo per accertarci di quali parole siano state pronunciate decenni fa, e poi – questo pare davvero strabiliante – interrogarci pure sulla validità di tutti i sacramenti successivi che solo la ricezione del Battesimo ha reso possibili? Altro che fabbrica degli scrupoli di coscienza…

Fra l’altro, la Gestis verbisque indebolisce l’affermazione di presunzione di validità di ogni atto giuridico canonico contenuta al can. 124 del Codex: §1. Per la validità dell’atto giuridico, si richiede che sia posto da una persona abile, e che in esso ci sia ciò che costituisce essenzialmente l’atto stesso, come pure le formalità e i requisiti imposti dal diritto per la validità dell’atto. §2. L’atto giuridico posto nel debito modo riguardo ai suoi elementi esterni si presume valido.

La replica potrebbe essere: ma si tratta esattamente di quanto la nuova Nota afferma! Invece, a ben pensarci, la prospettiva è rovesciata: non si presume validità, bensì invalidità.

Modificare, dunque, la forma di un Sacramento o la sua materia è sempre un atto gravemente illecito e merita una pena esemplare, proprio perché simili gesti arbitrari sono in grado di produrre un gravoso danno al Popolo fedele di Dio.

Così si esprime la seconda parte del secondo alinea della nuova Nota e, non potendo di certo ritenere che si tratti della scoperta dell’acqua calda (con tutto il rispetto), evidentemente l’attitudine presuntiva verso la validità dei sacramenti è mutata ed ora si può, diciamo così, dubitare. Tanto più che si scandisce solennemente in termini assoluti e del tutto generali, se non generici, al n. 5 che Lo scopo del presente documento, inoltre, vale per la Chiesa Cattolica nella sua interezza. Tuttavia, le argomentazioni teologiche che lo ispirano ricorrono talvolta a categorie proprie della tradizione latina. Si affida, pertanto, al Sinodo o all’assemblea dei Gerarchi di ciascuna Chiesa orientale cattolica di adeguare debitamente le indicazioni di questo documento, ricorrendo al proprio linguaggio teologico, laddove esso differisca da quello in uso nel testo. Il risultato sia, quindi, sottoposto, previamente alla pubblicazione, all’approvazione del Dicastero per la Dottrina della Fede. Come, cioè, se ci si trovasse di fronte ad un caso piuttosto classico e scolastico di “excusatio non petita”.

Però, si accennava, c’è di più.

La logica, l’impostazione, della Nota sono di derivazione francamente e chiaramente maschile, si potrebbe anche aggettivare “maschilista”. Cerchiamo di spiegare.

Non vi è solo un approccio di integrale mera valorizzazione giuridica del tema sacramentale – il che, appunto, è già opinabile per quanto astrattamente legittimo (i canonisti hanno pur sempre un ruolo da svolgere ben importante) -, ma vi è anche un’adozione di criteri di ermeneutica giuridica che, prevedendo o sanzionando derive ritenute troppo compromissorie verso inammissibili “novità”, blocca sul nascere ogni approfondimento diverso da logiche binarie di bene/male.

Un esempio: cosa si deve fare in Paesi e Culture in cui né il pane né il vino abbiano (mai) avuto il significato antropologico conviviale che è proprio del nostro contesto culturale? Se vi sono Paesi e Culture in cui, sempre ad esempio, centrale, nella condivisione comunionale, sono la consumazione del riso e del tè e non del pane e del vino, che cosa si deve fare? Volendo rimanere ossequiosi verso Gestis verbisque dovremmo cercare di convertire intere Culture alla “materia” del pane e del vino – del tutto sconosciuta – e a forme verbali altrettanto incomprensibili. È sostenibile alla luce del Magistero del Concilio e dell’insegnamento autentico degli ultimi Pontefici?

Che cosa c’entra, però, al riguardo il “maschilismo”? La risposta non è così difficile: se la dimensione simbolica deve restare bloccata in dispositivi culturali di chiarissima impronta occidentale, figuriamoci cosa può accadere con un ripensamento teologico – a partire dal suo genere sessuale di appartenenza e dal suo riversamento in ogni espressione simbolica - del Sacramento Primo della fede cristiana, cioè il mistero di Gesù di Nazaret confessato come il Cristo. La cristologia femminista diventa terreno più che mai impervio.

Del resto, se non fossero intervenuti i Pontificia Praecepta de Clero Uxorati Orientali del 2014, l’ordinazione presbiterale di ieri a Bruxelles, di un prete cattolico sposato orientale, sarebbe stata impossibile ed illecita, per tacere del bailamme teologico provocato dal contenuto del libro del 2020 di Sarah-Ratzinger Dal profondo del nostro cuore, in cui – contraddicendo l’insegnamento del Vaticano II, al n. 16 del Decreto Presbyterorum Ordinis – si sosteneva addirittura che il celibato faccia parte, in buona sostanza, dell’essenza stessa del ministero presbiterale.

Una considerazione piuttosto grossolana, ma inevitabile, conduce poi a sospettare che, dopo Fiducia Supplicans (FS), Gestis verbisque sia riconoscimento quasi dovuto a chi a FS si era, con tutte le forze, opposto.

Mentre usciamo con questo nostro numero 751, il Prof. Andrea Grillo ha scritto un contributo illuminante e di attraente competenza (come al solito), da cui trasuda passione innamorata verso la Chiesa, Popolo di Dio, Corpo di Cristo. Ma anche – non intervenga qualche accusa di blasfemia – Corpo di Crista.

L’evoluzione dell’attualità ecclesiale corre a ritmi impetuosi. Cercheremo di seguirla, per come riusciamo.

Buona domenica.