Donne impertinenti

di Paola Franchina

Oggi ci lasceremo condurre dal testo di Gabriele Maria Corini, Donne impertinenti, all’interno del Libro dei Giudici. L’autore ha il grande merito di portare alla luce un intreccio narrativo al femminile, in cui spiccano figure di donne connotate da un agire non convenzionale e dall’audacia propria di coloro che si lasciano sollecitare dalla parola di Dio. Nella schiera delle donne impertinenti, spicca la profetessa Deborah, in ebraico דְּבוֹרָה, la quale ci viene presentata con poche note introduttive quale moglie di Lappidot, descritta nell’atto di giudicare sotto la palma.

Il Libro dei giudici narra che un giorno Deborah decida di convocare Barak, comandante israelita, invitandolo a radunare diecimila uomini di Neftali e di Zabulon. Le truppe avrebbero dovuto marciare in direzione del Tabor e, in prossimità del torrente di Kison, il Signore avrebbe messo nelle loro mani Sisara, generale di Iabin.

Barak risponde all’ordine della profetessa, ma chiede che lei sia presente al suo fianco nella marcia. Sorprendente la risposta della donna: «Bene, verrò con te; però non sarà tua la gloria sulla via per cui cammini; ma il Signore metterà Sisara nelle mani di una donna»[1]. Ad uccidere il nemico del popolo d’Israele non sarebbe stato Barak, né alcun altro soldato dell’esercito, ma una donna. Quest’anticipazione sul piano narrativo sollecita la curiosità del lettore, il quale è incalzato nella lettura, al fine di comprendere come Dio porterà a compimento la sua parola nella storia.

La trama prosegue con Barak che convoca Zàbulon e Néftali a Kades e, con un seguito di diecimila uomini, sale sul monte Tabor. A questo punto Sisara, avuta notizia dei fatti, raduna novecento carri di ferro e un esercito, assoldando gli uomini che abitano da Aroset-Goim fino al torrente Kison.

Ricevuto il segnale da Debora, Barak scende dal monte Tabor pronto allo scontro decisivo. Il testo biblico sottolinea come il Deus ex machina, che muove l’ordito delle trame umane, sia il Signore, il quale interviene nella storia, sconfiggendo l’esercito di Sisara con tutti i suoi carri, dinnanzi a Barak. A questo punto, il generale di Iabin è costretto a scendere dal carro e fuggire a piedi, muovendosi in direzione della tenda di Giaele, moglie di Eber il kenita.

Ed ecco, ancora una volta, il Signore sceglie una donna per portare a compimento la sua parola: Giaele, con mirabile ardimento, invita Sisara a ricevere ospitalità presso la sua tenda e, successivamente, fornisce al generale una coperta per ripararsi dal freddo e del latte per placare la sete; una volta che Sisara è caduto tra le braccia di Morfeo, Giaele prende un picchetto della tenda e un martello, si avvicina di soppiatto e conficca il picchetto nella tempia del grande generale, decretando la vittoria degli israeliti. A suggellare tale successo segue, nel capitolo 5, lo straordinario cantico di Deborah e di Barak.

Il lettore è affascinato dal coraggio e dall’intraprendenza con cui queste donne, Deborah e Giaele, hanno risposto alla sollecitazione dello Spirito, osando superare gli schemi interpretativi in cui si era soliti confinarle.

Il testo Donne impertinenti si fa apprezzare non solo per la straordinaria cura per il dettaglio, ma anche per la scelta di mettere in rilievo figure considerate di second’ordine nella tradizione. Accanto alla storia dei vincitori, infatti, viene data voce alla sorte dei vinti. Struggente l’immagine di un’altra donna, madre di Sisara, la quale attende impaziente l’arrivo del figlio:

Perché il suo carro tarda ad arrivare?

Perché così a rilento procedono i suoi carri?

29 Le più sagge sue principesse rispondono

e anche lei torna a dire a se stessa:

30 Certo han trovato bottino, stan facendo le parti:

una fanciulla, due fanciulle per ogni uomo;

un bottino di vesti variopinte per Sisara,

un bottino di vesti variopinte a ricamo;

una veste variopinta a due ricami

è il bottino per il mio collo...[2]

Impossibile non lasciarsi toccare dal dolore di questa donna che, dinnanzi alla prova della morte del figlio, non riesce a rassegnarsi all’amara verità.

Il grido di dolore di questa madre ci richiama alla mente le immagini strazianti di altre donne che in questi giorni hanno riempito le pagine dei giornali: da un lato le madri ucraine, costrette a cucire sugli abiti dei figli il gruppo sanguigno e, dall’altro, l’attivista russa di 77 anni, arrestata nella protesta contro la guerra tenutasi mercoledì a San Pietroburgo.

Siamo dinnanzi a donne di nazionalità diverse, ma unite nel comune rifiuto della disumanità della guerra: donne tenaci, coraggiose e, per la logica umana, donne impertinenti.



[1] Gc 4,9.

[2] Gc 5,28-30.