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Luna, mons. Trevisi e Il Maestro e Margherita

di Stefano Sodaro


Mons. Enrico Trevisi il 23 aprile 2023, giorno del suo ingresso come Vescovo di Trieste - foto tratta dal sito della Diocesi di Trieste e già messa a disposizione degli organi di stampa


Se volessimo definire chi sia oggi un/una notabile, dovremmo iniziare da una specie di segregazione della categoria in base ad età, accorgendoci che è necessario il compimento quanto meno del quarantacinquesimo anno di vita per appartenervi. Prima, in effetti, è impossibile e, se addirittura gli anni vissuti fossero poi meno di diciotto, la considerazione sociale dei, delle, eventuali aspiranti al notabilato si concretizzerebbe in un sorriso od una risata. Riconosciamolo serenamente.

Dai quarantacinque anni in poi, il sole della maturità batte allo zenit, prima c’è un chiarore aurorale inservibile a schiarirci le idee sulla vita e se l’antecedenza è addirittura rispetto alla maggiore età, allora il pallore appena luminoso è quello della luna.

Il Cantico dei Cantici, tremila anni fa, lo aveva già compreso, al verso 6 del capitolo 10: «Chi è mai questa ragazza amabile come l’aurora, bella come la luna, splendente come il sole, affascinante come un miraggio?».

Esiste, tremila anni dopo, una specie di conventio ad excludendum verso le ragazze infra-diciottenni? Sì. E perché? La risposta non è facile.

In epoca rinascimentale, Giulia Farnese, l’amante di Papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, aveva quattordici, quindici, anni quando lo incontrò per la prima volta e oggi Sua Santità incorrerebbe, senza esitazione, in una fattispecie penale delittuosa di pedofilia, con ogni possibile aggravante. E meno male. 

Ma l’enorme dilatazione dell’attesa di vita, almeno alle nostre latitudini, ha avuto come effetto, non si saprebbe dire quanto paradossale, l’abbandono a se stesse delle giovani donne nel secondo decennio della loro esistenza.

E non è per nulla auspicabile doversi accontentare delle esaltazioni di Nabokov: Lolita è l’opposto esatto della “luna” del Cantico. Anzi assumiamolo come nome proprio: Luna.

Siamo attratti/e dallo sfolgorio abbacinante della piena luce, che permette di comprendere, in forma pressoché esattamente binaria, dove ci sia chiarezza e dove buio. Bianco e nero. I colori possono confondere, alba e crepuscolo pure, consentono un eccesso di indistinzione cromatica che ci mette a disagio. Le nostre identità vanno in crisi al mattino presto e alla sera tardi. Molto meglio muoversi a mezzogiorno, sotto il sole che spacca le pietre e scioglie, liquefà proprio, ogni complessità.

Luna sa mettere troppe cose insieme per le nostre sensibilità da attempati/e notabili, uomini e donne: Luna sa studiare, ridere, danzare, volteggiare divinamente in una palestra, riflettere, scrivere. È troppo.

Luna assomiglia al vescovo Enrico Trevisi che da un anno è a Trieste. Non c’è stata, in quest’anno – dal 23 aprile 2023, giorno del suo ingresso nella Cattedrale di San Giusto -, un’alternanza di bianchi e neri, di aut aut, di alternative secche e umilianti tra la ragione e il torto, tra la luce e il buio, nel vissuto pastorale di mons. Trevisi. Il suo ministero episcopale è stato molto – sia lecito dir così – “lunare”.

E a Trieste, patria, matria, della psicanalisi – da Edoardo Weiss (cugino diretto di Alice Weiss, madre di don Lorenzo Milani) in poi –, il baluginio lunare è più di casa del fulgore solare. “A Trieste non sai più chi sei”, ebbe a dire Pier Aldo Rovatti.

Mons. Trevisi ha tratto fuori dal cono d’ombra le marginalità sociali più inquietanti e fastidiose allo sguardo del notabilato non, però, per incenerirle sotto i fari puntati in viso delle alternative dottrinali, ma per farne – proprio al contrario – terreno di incontro della nostra comune umanità, humus del nostro essere al mondo. Bellezza lunare, appunto, molto più che lucentezza da esibire.

Ma non basta.

Mettersi a seguire la luce della luna – mentre La voce della luna s’intitolava un film di Fellini del 1990 -, porta ad incontrare altre Lune, se si potesse declinare al plurale un nome proprio.

Perché “molto Luna” è, ad esempio, la giovane coprotagonista del romanzo di Michail Bulgakov Il Maestro e Margherita, uno dei capolavori assoluti della letteratura russa.

Prima di eventualmente dedicarsi alla lettura del libro, può essere istruttivo e suggestivo visionare l’omonimo film del 1972 – regista Aleksandar Petrović –, con uno straordinario Ugo Tognazzi, cinquantenne interprete della figura del Maestro, e una sublime Mimsy Farmer, ventisettenne Margherita. Ventitré anni di differenza tra innamorati, nella prima metà degli Anni Settanta dello scorso secolo, qualche problema lo creavano eccome.

Possiamo mettere a tema alcune piste di approfondimento da cui non troppo allontanarci anche nelle prossime domeniche: le domande poste dalla sola presenza, realtà vivente, di Luna; l’investigazione sui contenuti propri dell’episcopato di mons. Enrico Trevisi a Trieste; l’invito a fare del romanzo di Bulgakov un testo di riferimento per la comprensione dei nostri tempi.


Margherita e Il Maestro - opera del 1990 di Julia Dolgorukova (1962) - immagine tratta da commons.wikimedia.org


Il Maestro e Margherita - di Fabio Merizzi - immagine tratta da commons.wikimedia.org