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Albert Einstein (1879 - 1955) - foto tratta da commons.wikimedia.org


Parlare di Dio a un ateo?

di Dario Culot



Mi è stato chiesto e ho risposto: da parte mia, non prenderei mai l’iniziativa di parlare di Dio a un ateo, neanche in prossimità delle feste più sentite, come Natale e Pasqua. Se mai dovesse sorgere un discorso in proposito, penso che sposterei le domande non immediatamente su Dio, ma sul perché siamo al mondo,[1] ascoltando soprattutto le risposte senza voler insegnare assolutamente nulla. Del resto già Blaise Pascal si poneva questa domanda: “quando considero la breve durata della mia vita assorbita nell’eternità che precede e che segue, il piccolo spazio che occupo e che vedo inabissato nell’infinità immensa degli spazi che ignoro e che m’ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, perché non c’è ragione che io sia qui piuttosto che là, adesso piuttosto che allora…Chi mi ci ha messo? Per comando e per opera di chi mi sono destinati questo luogo e questo tempo?”[2] E un autore più moderno osservava con acutezza come “La donna che nessuno ama, l’uomo cui diagnosticano un cancro, il pensionato solitario sulla panchina, colui che – nella lucidità spietata del risveglio - guarda allo specchio sul suo volto i segni del tempo, e si chiede che ci fa lì, che sarà di lui … Nessuno di costoro sarà mai consolato dal politico, dal sindacalista, dal sociologo, che – per quel che conta davvero - non sono, per usare le parole del vangelo, che ciechi che guidano altri ciechi”[3]. Insomma, per quante domande ci poniamo, restiamo sempre davanti a un mistero che c’interpella.

Credo che ciascuno di noi, sia ateo o credente, percepisce che al di fuori di lui esiste una forza, un’energia vitale che sostiene il mondo, sulla quale lui non ha nessun controllo, e della quale non può prendere possesso. Ogni maschio innamorato vorrebbe poter fare della sua donna «ciò che la primavera fa con i ciliegi»,[4] ma normalmente sa che non ne ha la forza; al contrario, anche se tutti possiamo metterci di lena a tagliare materialmente i boccioli, nessuno riesce comunque a impedire che la primavera sbocci. Resta chiaro, allora, che se questa forza non la si può né vedere, né dominare, non la si può né contare, né misurare, ci troviamo davanti a un mistero, ci troviamo al di fuori di quella che chiamiamo genericamente “materia” che possiamo toccare, misurare, plasmare o adattare alle nostre esigenze: siamo nell’ambito che, per convenzione, chiamiamo spirituale, proprio per distinguerlo dal campo materiale, visto che non risponde alle regole tipiche della materia che vediamo e misuriamo. Potremmo anche parlare in un caso di colore rosso, nell’altro di un colore che non è più rosso. Che poi questa forza invisibile la si chiami Natura, Energia, o Dio non ha grande importanza. Nella tradizione cristiana l'Assoluto è chiamato normalmente Dio, ma è chiaro che anche questo resta un nome umano con cui lo designiamo. I credenti possono anche continuare a parlare del nostro Dio, ma indipendentemente da noi, in sé e per sé, che cosa (o chi) è Egli? Non lo sappiamo. Resta innominabile, e i nomi che gli diamo sono semplici designazioni che derivano sempre dall'uomo[5].

Si può allora anche capire perché c'è chi preferisce neanche pronunciare la parola Dio, e si limita a parlare di mistero. Il notissimo fisico Albert Einstein, che si dichiarava ateo, aveva affermato: “Sentire che dietro tutto ciò che si sperimenta si nasconde qualcosa che il nostro intelletto non può capire, qualcosa di cui la bellezza e l’elevatezza pervengono soltanto indirettamente e come un delicato riverbero fino a noi, sentire questo è la vera religiosità. In questo senso sono un ateo profondamente credente”[6]. Einstein, cioè, non credeva nel Dio di nessuna religione, ma aveva questa fede universale. E nel suo testamento spirituale, anche il noto filosofo italiano Norberto Bobbio, che si dichiarava a sua volta non credente, concludeva: “Come uomo di ragione non di fede, so benissimo di essere immerso nel mistero che la ragione non riesce a penetrare fino in fondo, e le varie religioni interpretano in vari modi”[7].

Tutto questo mi fa ricordare quanto suggeriva l’abbé Pierre[8] quando diceva che il vero “credente non fa mostra del suo credere, se non richiesto esplicitamente e sempre con umiltà; e non punta sull’ostentazione della fede che invece, se è vera, si sottopone al vaglio del dubbio o del confronto scomodo con le molteplici diversità”. In effetti io resto pieno di dubbi, per cui sarei il meno adatto a convincere qualcuno che Dio esiste e si occupa di noi esseri umani, pulviscolo nell’immensità dell’universo. Invece molti cattolici, soprattutto se fondamentalisti o integralisti, prendono alla lettera l’esortazione di san Paolo:[9] “Annuncia la parola, insisti a tempo e fuori tempo, ammonisci, rimprovera, esorta con longanimità e dottrina” (2Tm 4, 2). Trovo questo invito paolino fuori luogo perché a troppi fieri cristiani piace soprattutto ammonire, rimproverare, e pontificare in ogni luogo e in ogni tempo, anche quando il silenzio sarebbe sicuramente più opportuno: la Bibbia stessa ci ricorda che c’è un tempo per parlare, ma c’è anche un tempo per tacere (Qo 3, 7). Il principale rischio, quando si vuol catechizzare il prossimo, è poi che il proprio comportamento smentisca le parole, che quindi non hanno alcun valore. Gli altri si accorgono subito che i discorsi possono anche cambiare d’abito, ma se le pratiche restano invece le stesse, non si viene ascoltati. Anzi, il grande rischio è che chi proclama ciò che poi non vive deve essere pienamente consapevole di provocare il giustificato rifiuto del Vangelo[10]. Il concilio Vaticano II aveva giustamente ammonito che nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e del cattolicesimo[11].

Dunque dobbiamo stare attenti con le parole, e capire in anticipo se le nostre parole sono prive di significato per chi ci ascolta. Ciò accade perché – come ha detto un noto scrittore - le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e inconsapevole[12]. Pensiamo solo alla bambina che chiede qualcosa alla mamma, la quale è tutta impegnata a guardare il suo cellulare eppure risponde: “Dimmi, amore”, svuotando di significato la parola ‘amore’. E questo, la bambina lo percepisce perfettamente, tanto che risponde: “Mamma, quando ti parlo, ascoltami con gli occhi”.

In sintesi, i cristiani dovrebbero essere inviati nel mondo non a fare propaganda della propria religione o a fare pubblicità del “nostro Dio,” ma semplicemente ad essere luce (Mt 5, 14), a dare testimonianza con la propria vita (il che è ovviamente molto più difficile che parlare). E per dare testimonianza basta l’arguto aforisma cinese: “se basta una parola, non fare un discorso; se basta un gesto, non dire una parola; se basta uno sguardo, evita il gesto; se basta il silenzio, tralascia anche lo sguardo.” Il silenzio può spesso dire ciò che un insieme di parole non riescono a dire.

Si deve partire da un fatto incontestabile: non c’è nessuna evidenza piena di Dio nel mondo e nella vita. Di Dio non sappiamo praticamente nulla. Dio non è affatto ovvio. E non lo è solo perché, essendo “Spirito” (come Gesù dice alla samaritana - Gv 4, 24), è invisibile, ma anche perché è “nascosto” (“In verità, tu sei un Dio che ti nascondi”, Is 45,15), “ha dichiarato che abiterebbe nell’oscurità” (1Re 8,12), o, come dice ancora Gesù, “è nel segreto”. Ci sono numerosi segni e tracce di lui, ma questo non basta per dimostrare con evidenza la sua esistenza. Molti vedono nel mondo cose meravigliose, ma il loro stupore non diventa fede. Molti hanno sentito parlare direttamente Gesù, ma non tutti quelli che l’hanno sentito parlare si sono convertiti. Visto che la Chiesa c’insegna che Gesù è vero Dio, vuol dire che neanche Dio è stato capace di convincere tutti i suoi ascoltatori. Se Dio non ci è riuscito, sarebbe assurdo pensare che uno come noi possa convincere altri mettendosi a parlare di Dio.

Inoltre ci sono anche molte contraddizioni nella stessa teologia: ogni argomento a favore dell’esistenza di Dio può essere capovolto nel suo contrario[13]. Ci sono ragioni per credere, ma altrettante per non credere; perciò la partita tra fede e ateismo non si risolverà mai sul piano della razionalità. Giustamente l'astronoma Margherita Hack, che si proclamava atea, diceva di sapere perfettamente che la scienza e la ragione non sono in grado di dimostrare scientificamente con certezza né che Dio esiste, né che non esiste[14]. Ecco perché tutto il sapere delle scienze, dell’economia, della politica, a un certo momento della vita non bastano più: resta però la fame di qualcosa che non riusciamo a raggiungere, che sta sempre “oltre”; e questo mistero, o prima o dopo, c’interpella.

Neanche il richiamo al fatto che la Chiesa dura da qualche millennio è rilevante, perché ci sono moltissime contraddizioni anche nella Chiesa, sì che è ragionevole dubitare che essa sia sempre un testimone efficace del Trascendente. Anche se la Chiesa è corpo di Cristo si riconosce semplicemente che essa è una manifestazione del divino che, per sé stessa, non può racchiudere la totalità della rivelazione. Dio resta più grande della Chiesa per cui si supera l'idea che al di fuori della Chiesa non c'è salvezza[15]. Perciò anche l’assolutismo predicato a lungo da un certo magistero, con la pretesa di subordinare ogni atto dell’individuo alla Chiesa e alla sua dottrina, allontana da Dio.

La fede poggia sicuramente sui vangeli, ma leggendo i vangeli non si troveranno mai le parole giuste e definitive per essere costretti a credere. La fede non è frutto di una decisione razionale umana e non ha in sé la chiave della sua spiegazione; non si può ridurre a un assenso intellettuale a determinati contenuti. Come non è ovvio Dio, così non è ovvia la fede. Siccome Dio è nascosto non può essere dimostrato, può solo essere testimoniato con la vita; assai meno con le parole. Anzi, le troppe parole spesso irritano e fanno allontanare ancor di più il non credente.

Solo la luce di chi testimonia può far avvicinare il non credente. Questo significa che il cattolico non serve al mondo, anzi scandalizza il mondo, se si limita ad annunciare la Luce, ma poi non fa luce. Se a parole dà testimonianza, ma col suo comportamento non la dà, sicuramente allontana da Dio. Russia e Ucraina sono Paesi cristiani: come pensate che con questa guerra violenta possano convertire al cristianesimo i musulmani o gli induisti? La luce, invece, non impone nulla, non parla, fa semplicemente luce; e nessun cristiano può certamente accendere la luce solo con le sue parole anche se martellanti, o illustrando le sue dottrine; men che meno con una condotta sguaiata da tifo di stadio[16], o cercando di imporre a viva forza le sue teorie che propaganda con veemenza. Tutti coloro che pretendono di imporre al mondo intero le loro idee dimenticano che Gesù ha detto che i suoi seguaci dovrebbero essere il sale sulla terra. Il sale, in una pietanza, neanche si vede, eppure se non c’è si sente la mancanza: vuol dire che lavora sotto traccia, impercettibilmente. E allora se i cristiani devono essere come il sale, una carità silenziosa vale più di una verità soffocante[17] e imposta gridando. Il troppo sale rovina la pietanza.

Dunque, per chi l’osserva dall’esterno, il cristiano dovrebbe essere solo il portatore di luce, il tedoforo, il lucifero (com’era intesa la parola in senso originario)[18]. Che l’ateismo abbia o meno un futuro dipende in gran parte dalla Chiesa, e precisamente dalla qualità della sua testimonianza, dei suoi tedofori. Nella Chiesa di oggi Dio ha molti cattivi testimoni, e pochi buoni. Se la luce della testimonianza che esce dalla Chiesa sarà in prevalenza scadente, l’ateismo ne sarà rafforzato. L’ateismo, in fondo, è abbastanza ovvio, tanto da essere quasi banale[19]. Solo se in una persona che si dichiara credente si vede una gioia contagiosa, un modo diverso di relazionarsi con gli altri, una capacità di far fiorire la vita attorno a sé grazie ad una particolare sintonia con l’energia che fa scaturire situazioni nuove e speranze tangibili, gli altri cominciano a guardarlo con curiosità o interesse e si fermano a pensare. Coloro che solo annunciano la parola del Signore, anche con impeto, ma poi non la praticano, sono invece solo operatori di iniquità (Mt 13,41),[20] e non ferventi credenti come essi erroneamente si valutano. Coloro che sparano come verità assolute e indiscutibili cose del tutto irragionevoli e inverosimili sono solo operatori di iniquità. Nessun vero credente deve sprecare energie per combattere nessuno. Giovanni dice che Gesù era la luce che splende (Gv 1,4-5): non c’è da combattere le tenebre, non c’è da strappare la zizzania, non c’è da mostrare alcun spirito bellicoso di crociata, di soldato di Cristo. Gesù ha detto chiaramente ai discepoli che, più pericolosa della zizzania seminata dal diavolo, è l'azione di coloro che si propongono di andare a estirparla nella convinzione che, dimostrando questo zelo, mostreranno anche di essere gli unici veri discepoli dell’Agricoltore, pronti a servire e ad anticipare la sua volontà, mentre non si rendono conto dell’immane rischio di sradicare anche il grano, e di lasciare ancora più spazio libero alle piante infestanti (Mt 13, 24-43).

Dunque, penso che tutti concordino sul fatto che ogni espressione religiosa si compone di due elementi: la dottrina e la pratica[21]. La dottrina è l’insieme di conoscenze che poi si possono insegnare; la pratica è il comportamento della persona aderente a quella determinata religione, che tutti possono osservare dall’esterno. L’evangelista Matteo mette in bocca a Gesù un’altra delle frasi stranamente del tutto tralasciate nella dottrina ortodossa: prima si fa, poi s’insegna (Mt 5, 19: “chi mette in pratica i precetti e li insegna agli altri”). Prima la pratica, poi la teoria. Questo, del resto, vale in ogni campo: se i genitori sono stati educati ad ambire al superfluo, non possono tramandare che quello, anche se parlano in continuazione ai figli della bellezza della sobrietà e della frugalità. Insegnano con il loro comportamento, con i fatti, anche se a parole cercano di insegnare il contrario[22]. Se i bambini vedono i loro genitori sprizzare odio o disprezzo verso gli immigrati, impareranno odio e disprezzo anche se nessuna parola cattiva sarà uscita dalle bocche di quei genitori. Si insegna solo quello che gli altri vedono che si compie.

C’è allora da domandarsi: perché nella Chiesa l’insegnamento teorico viene messo al primo posto (n.854 Catechismo: tanto che si incomincia sempre con l’annunzio del vangelo ai popoli che non credono in Cristo), andando contro l’affermazione evangelica e senza tener conto che per la gente è vero ciò che si vive, non ciò che si dice? Non basta allora annunciare la parola di Cristo, non basta insegnare che bisogna amarsi o tante altre belle cosette; occorre anche attivarsi per migliorare il mondo,[23] e questo lo si insegna con i fatti, non con le parole. Da noi, la dottrina (le parole) ha invece finito per prendere il sopravvento sulla pratica (i fatti), e la differenza fra l’osservante della religione cattolica e gli osservanti di altre religioni si vede prevalentemente non nell’amore servizievole reciproco, ma solo nella frequentazione di un determinato Tempio anziché di un altro; in alcuni atteggiamenti religiosi e cultuali, e non in altri; nell’osservanza di alcune regole religiose e non di altre; nel credere ad alcune affermazioni e non in altre.

Se chi si professa credente deve essere come il sale, come la luce (Mt 5, 13s.), i cristiani devono catturare l’interesse degli altri per il loro modo di vivere, cioè per quello che veramente sono, non per il loro modo di pensare o per quello che dicono. La gente deve vedere le loro “opere buone” (Mt 5, 16). Come dice il prof. Castillo, guardando a questo diverso modo di vivere gli altri non hanno altra scelta che dire: “questo modo di vivere è possibile solo perché questa gente crede in qualcosa o in Qualcuno che ci supera tutti”. Non è la forza degli argomenti, dei dogmi. È la forza della vita che convince e seduce[24]. Del resto, aveva già detto Evagrio Pontico, un monaco del IV secolo, che a una dottrina – che è pura teoria - si può rispondere con un’altra teoria; ma chi può confutare una vita?

Per questi motivi non cercherò mai di far accettare mie idee sull’esistenza di Dio, o sulla bontà di Dio. Faccio già per conto mio estrema fatica a cercar di vivere da cristiano, e per la maggior parte del tempo neanche ci riesco.

 

 

NOTE

[1] Il famoso “Chi sei, da dove vieni, dove vai?”. Ma anche in questo caso deve essere già iniziato un discorso serio, altrimenti il rischio è sentirsi rispondere: “Sono Mario, vengo da casa e vado al bar”.

[2] Pascal B., Pensieri, n. 180 Contro l’indifferenza e le obiezioni degli increduli, Einaudi, Torino, 1974, 82.

[3] Ionesco Eugene, riportato da Mondadori L. e Messori V., Conversione: una storia personale, Mondadori, Milano, 2002, 15.

[4] Neruda P., Sono andato sognando, Tutte le opere di Neruda, ed. Nuova Accademia, Milano, 1963,59.

[5] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa delluomo, Cittadella, Assisi, 1989, 76ss.

[6] Riportato da Lenaers R., La fede è conciliabile con la modernità?, relazione tenuta a Bergamo il 26-27.1.2014, in

http://www.ildialogo.org/LeInC.php?f=21&s=parola.

[7]Né ateo, né agnostico, 2004, in: www.repubblica.it/2004/spettacoli_e_cultura/Bobbio. Ciò dimostra ulteriormente che l'ateo non necessariamente nega la trascendenza.

[8] “Vita Nuova 16.2.2007, 2.

[9] Forse perché, avendo studiato la Bibbia da buon fariseo, si ricordava di cos diceva il Levitico: “rimprovera apertamente il tuo prossimo” (Lv 19, 17).

[10] Bianchi E., La presenza del risorto, “Famiglia Cristiana,” n. 18/2008, 10.

[11] Costituzione pastorale sulla Chiesa – Gaudium et spes, 7.12.1965 § 19 ult.co.

[12] Carofiglio G., La manomissione delle parole, Rizzoli, Milano, 2010, 13.

[13] Ad esempio: Dio è amore? E allora come si spiega la sofferenza dei bambini?

[14] Richiamata in Di Piazza P., Compagni di strada, Laterza, Roma - Bari, 2014, 8.

[15] Deifelt W., Dio nel corpo, in “Per i molti cammini di Dio”, ed. Pazzini, Villa Verucchio (RN), 2010, 88.

[16] Mi riferisco, ad es., alla rissa con insulti e dirette televisive davanti alla clinica dove è morta dieci anni fa Eluana Englaro, e dove è dovuta intervenire anche la polizia per dividere i sostenitori e i detrattori del padre della ragazza, che stavano venendo alle mani (“La Repubblica” 10.2.2009, 3). Oppure si pensi allo scontro sui blog in America per la madre surrogata che non ha voluto abortire il feto malformato, etichettata o come “Salvatrice” o come “Satana” (“La Repubblica, 6.3.2013, 19; “Il Foglio” 7.3.2013, 1).

[17] Hadjadj F., Come parlare di Dio oggi?, ed. Messaggero, Padova, 2013, 36s.

[18] Inizialmente Lucifero non era il capostipite degli angeli ribellatisi a Dio, tanto che un importante vescovo del III secolo, a Cagliari, fatto pure santo, aveva questo nome, ed era un polemista antiariano, che fra l’altro rimproverava la Chiesa di essere asservita all’Impero (Simonetti M., La crisi ariana del IV secolo, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma, 1975, 563).

[19] Ricca P., Passato e futuro dell’ateismo, in www.voceevangelica.ch.

[20] Maggi A., Gesù ebreo per parte di madre, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 121.

[21] Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 11.

[22] Corona M., Torneranno le quattro stagioni, ed. Mondadori, Milano, 2010, 25.

[23] Gounelle A., I gradi principi del protestantesimo, ed. Claudiana, Torino, 2000, 39.

[24] Castillo J.M., omelia su Mt 5, 13-16 del 5.2.2023.