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Da Piazzale Loreto a Piazza Duomo

di Stefano Sodaro




Adottando lo stesso espediente retorico di mons. Mario Delpini nell’ormai ultracelebre omelia ai funerali di Silvio Berlusconi nel Duomo di Milano giovedì scorso, potremmo dire che finalmente il Corpo del Capo ha trovato pace. Quella pace che fu negata quasi ottant’anni fa dopo la fucilazione di Dongo ed il vilipendio di Piazzale Loreto, e che ora è effettiva, reale, concreta, fisica. È stata fatta pace con un Corpo ed una Memoria. 

La folla che a Roma, in Piazza Venezia, il 10 giugno 1940, aveva acclamato, persino messianicamente osannato, il Demiurgo, alla dichiarazione dell’entrata in guerra, e prima ancora, nel settembre 1938, aveva applaudito entusiasta a Trieste l’annunciata promulgazione delle leggi razziali antiebraiche da parte sua e del suo Regime, si era invece raccolta a Milano, nell’aprile del 1945, a Piazzale Loreto, per violarne il cadavere appeso a testa in giù, per oltraggiarlo, profanarlo, per dileggiare la storia di successo che esso rappresentava. E solo dopo complicatissime, contorte, traversie, dopo essere stato nascosto in conventi e monasteri vari, quel Corpo poté essere inumato a Predappio, dove ancor oggi è costantemente vegliato dai Fedelissimi. 

Ma non è con tale sepoltura che la vicenda terminò. 

Riflettiamo. 

È stata sempre presente, nel nostro Paese, una ricerca quasi spasmodica dell’Uomo Simbolo, dell’Unico, del Contropapa (non dell’antipapa, che è tutt’altro), di Chi possa riscattare, redimere, con il proprio potere personale e politico la sofferenza irredimibile di un intero Popolo. Lui può, Lui ci salverà. 

Accadde con Mussolini. Poi il silenzio convulso della democrazia costituzionale postbellica che non ammetteva Idoli e Dei ed il cui spazio in Italia fu abitato da una folla di potenti, di varia forma e misura, circoscritta nel suo perimetro dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Comunista Italiano. Ma poi, negli Anni Ottanta, ecco apparire Bettino Craxi, nuovo facitore dei nostri destini. E poi, appunto, Lui, Silvio. Ed anche altri, di cui tacciamo i nomi, che sono comparsi come meteore nel cielo sfavillante del Potere e poi si son piano piano spenti. 

Lo ha ben sottolineato l’Arcivescovo di Milano giovedì scorso nel Duomo: Lui, Un Uomo. In cui dovrebbe rispecchiarsi – se abbiamo ben compreso – ciascuna e ciascuno di noi. 

In realtà, durante gli Anni di Piombo del terrorismo brigatista e delle stragi neofasciste, l’affermazione - tuttavia per nulla popolare – di poteri forti avvenne sì, ma molto lontano dall’Italia: nell’America Latina, con il consolidamento pluriennale di tutta una serie di terribili dittature, che ovviamente non sarebbe stato possibile senza sostegni esterni. Lo Stato contro il Popolo, come avrebbe voluto Licio Gelli.  

Come che sia, l’obbrobrio di Piazzale Loreto si è trasformato soltanto ora – dopo un tempo lungo ma non lunghissimo, meno di un secolo – nella solennità cerimoniale di Piazza Duomo. Dentro il Duomo di quella medesima Città. Cerimonia, non liturgia. Come deve essere per il Capo. Per l’Uomo.

Tutto è compiuto. 

Che cosa resta? 

Resta quell’amore che, diversamente da quanto ha predicato l’Arcivescovo, non è il desiderio unificante che fu di Lui ed ora di noi Tutti e Tutte, bensì un interrogativo che ognuno ed ognuna di noi rivolge a se stesso/a e che resta irrisolto. 

L’amore cerca contraccambio? Va ricambiato l’amore? 

L’amore non corrisposto non è forse la più grande disgrazia che possa capitare, peggio persino della morte? 

È così? 

“Amare e desiderare di essere amato”, ha scandito Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Mario Delpini. 

No, Eccellenza, no. 

Gesù di Nazaret – mai da Lei citato in quell’omelia - non ha affatto desiderato di essere amato. Ha amato. Ed è bastato. 

Nessun contraccambio, nessuna necessità di corrispondere. A cosa poi?

Quel Re, quel Dio, aveva perso tutto. Ogni amicizia, ogni vicinanza.

Le donne che lo avevano amato non avevano avuto alcun potere, non erano state beneficiate in nulla - nessun danaro e compenso - se non dalla possibilità orante di amarlo senza toccarlo. Amarlo sino a vederlo morire ammazzato, come un delinquente, senza però che il Suo Corpo potesse mai essere traslato in sacri templi per ricevere i dovuti omaggi funebri con gli onori militari. Nemmeno dopo ottant’anni.

Perché infatti solo da morte si può risorgere, quando gli applausi sono terminati, quando resta solo un amore non corrisposto. Anche se un vescovo non lo dice.

Buona domenica. 







Numero 718 - 18 giugno 2023