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Merito, demerito o soprattutto educazione e crescita?



di Silvano Magnelli

(già Docente e Dirigente Scolastico)



Non poco clamore e sorpresa ha suscitato la nuova intitolazione del Ministero dell’Istruzione e ora anche del merito

Ma cosa si intende per merito? Solo il raggiungimento di buoni voti disciplinari? Il merito invece può consistere anche nell’aiutare gli altri, collaborare al buon clima di classe, migliorare la situazione di partenza, darsi da fare per integrare compagni in difficoltà. Parlarne in astratto senza criteri interpretativi è inutile e può essere persino dannoso, come se si potesse mettere ordine nei processi educativi, sempre complessi, per le vie spicce e per decreto istituzionale e non con profonde relazioni inclusive e con nuovi coraggiosi processi formativi. 

Ben altro, infatti, ha provato e sperimentato chi quei ragazzi se li è trovati per decine di anni di fronte, di lato, occhi negli occhi, in aula con mani alzate a fare domande, con i problemi dell’età, assenti o presenti, tra alti e bassi, in colloqui importanti, dove si cercano, spesso a fatica, soluzioni per ciascuno e per tutti e dove impara il docente oltre che l’allievo. 

Così come racconta Eugenia Carfora, una Preside dell’hinterland napoletano, che i tanti ragazzi a rischio dispersione se li è andati a prendere a casa, perché a scuola non venivano. Ha detto in un’intervista: «Penso che noi, prima ancora che insegnare, dobbiamo vivere e discutere con loro, la cosa più bella che mi sono inventata è il regolamento della scuola scritto con loro e che loro sanno a memoria». E alla domanda dove trovasse la forza, la Preside ha risposto: «La trovo in loro, la mia forza sono loro, perché loro non dimenticheranno quello che hanno vissuto qui, quando tu sei vero, loro lo percepiscono, se lo scrivono dentro e non c’è bisogno di nessun libro, perché quel libro lo hanno dentro e sarà la forza del domani». Ognuno a suo modo, certo, ma tutti ammessi a vivere le loro potenzialità senza escludere nessuno.

Non si tratta quindi di disconoscere i meritevoli e i dotati, anzi, li si deve valorizzare molto, senza però farli cadere nella diseducativa sindrome del primo della classe in eterna competizione con altri aspiranti primi e in ammirazione di se stessi. 

I processi di maturazione e di liberazione delle personalità giovanili sfuggono a tante considerazioni iniziali e superficiali, e anche chi perde quota a scuola e non è subito meritevole, se seguito con la fiducia ostinata, di cui parlava la Preside napoletana, riavvia il motore, trovando spesso il suo spazio per cambiare e per relazionarsi nella vita. La scuola quindi come educazione e crescita condivisa insieme, più che come merito o demerito di singoli in competizione.