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Il Cicisbeo - Luigi Ponelato, in Carlo Goldoni, Opere teatrali, vol. 13 (Venezia, 1790), riprodotto in Rita Levi Pisetzsky, Storia del costume in Italia, vol. 4 (Milan, 1969 - Immagine tratta da commons.wikimedia.org

Il matrimonio del cavalier servente





di Stefano Sodaro



L’articolo che la bravura di Romina Gobbo ha voluto dedicare alla vita concreta della nostra famiglia sulle pagine odierne di “Avvenire” mi induce a chiedermi, in profondità, radicalmente, che senso abbia il coinvolgimento familiare nella concretezza quotidiana; insomma, più decisamente e direttamente: ma sposarsi perché? La risposta, elementare e immediata, fa ridere, anche nel solo doverlo esplicitare: ci si sposa per coronare un progetto d’amore. Eppure, proprio perché banale, scontata, facilissima, una simile risposta non solo non può accontentare, ma rischia di dire l’esatto contrario di ciò che l’opzione matrimoniale intende significare secondo una prospettiva che si incarichi di testimoniare le capacità socialmente – e filosoficamente, e teologicamente - rivoluzionarie del dato di Tradizione. Quale dato poi?

Oggi è Shavu'òt, Pentecoste per il popolo e la fede d’Israele. Come spiega Miriam Camerini (https://www.youtube.com/watch?v=ZYRk9wdd_CM), è una festa in cui la dimensione comunitaria, partecipativa, accomunante, quasi assembleare, è centrale e tuttavia il riferimento ultimo a questa condivisione – il riferimento propriamente religioso - evita l’assorbimento della coscienza individuale e della stessa personalità di ognuna ed ognuno dentro l’omologazione che conduca ad afasia incapace di parole proprie, personali, nuove e diverse.

Il ripensamento critico della Tradizione non è la sua abolizione, ma anzi – al contrario – è sua valorizzazione come domanda che non cessa, non svanisce, resta e richiede parole attualizzanti, contestuali, vere perché vive.

Il modello di matrimonio che agita tutte le società occidentali è spesso all’insegna di una sistemazione che non turbi l’ordine.

Eppure - è un mera rilevazione storiografica - in Italia, ma non soltanto, sono esistite forme di disciplina dei rapporti tra i sessi che oggi ci possono lasciare stupefatti più che sconcertati.

Vale la pena leggere lo studio di Roberto Bizzocchi Cicisbei. La morale italiana, sul n. 9 della rivista quadrimestrale Storica (Anno III, 1997, pp. 63-90), ed il suo volume Cicisbei. Morale privata e identità nazionale in Italia, edito da Laterza nel 2008.

Chi era il cicisbeo? Era il forse più noto “cavalier servente”, la cui presenza nel contesto familiare, anzi propriamente matrimoniale, era addirittura oggetto di definizione contrattuale, altro che “tertium non datur”!

Bizzocchi ci informa che in Francia esisteva l’analoga figura del petit-maître e in Spagna del petimetre.

Com’è possibile che Seicento e Settecento ammettessero, e financo disciplinassero, vere e proprie “comunità matrimoniali” davanti alle quali oggi tutti e tutte inorridirebbero di scandalo e riprovazione? Una tradizione più innovativa del nostro progressismo?

Proviamo ad osare un accostamento a rischio di blasfemia, ma non è certo questo l’intento, anzi è proprio il contrario.

Agli inizi degli anni Ottanta del Novecento, in America Latina, si diffuse un’originale narrazione radiofonica tratta dai Vangeli, intitolata Un tal Jesús (https://radialistas.net/serie-un-tal-jesus/). Una serie di episodi in forma di vivacissimi dialoghi – riproducibili con presumibile efficacia anche in versione teatrale o cinematografica -, che tuttavia non ebbe mai una traduzione in Italia.

Autori dell’opera erano i fratelli María e José Ignacio López Vigil (http://www.donpaolozambaldi.it/2019/04/se-dio-e-maschio-i-maschi-si-credono-dio-maria-lopez-vigil/ e https://www.cubanosfamosos.com/es/josé-ignacio-lópez-vigil).

Il nostro settimanale si ripromette di tornare su quest’iniziativa di divulgazione che sta per compiere quarant’anni, ma oggi colpisce - a me che scrivo - il fatto che Gesù di Nazaret venisse appellato, in quei racconti, come “moreno”, in forma di aggettivo: vale a dire “scuro”, “moro”. E la stessa assenza di una moglie di Gesù nei testi evangelici viene problematizzata, senza cedere a nessuna facile conclusione, né in un senso né nell’altro.

Ora, accostando le rivelazioni storiografiche più recenti sul “servantismo” (dire “cicisbeismo” mette in imbarazzo pure me…) all’anniversario quarantennale di Un tal Jesús mi pongo una domanda – che appunto può suscitare persino raccapriccio -: e se “un tal Jesús” fosse oggi avvicinabile, interpretabile, scrutabile come un “perimetre”?

La traduzione della parola spagnola in italiano sarebbe qualcosa come “damerino”, ma oggi simile qualifica dispregiativa è potenzialmente in grado di ferire proprio quelle persone, discriminate, isolate, spesso oppresse e fatte oggetto di violenza, che le teologie queer mettono al centro delle proprie riflessioni (http://www.academia.edu/6422632/Le_teologie_queer_e_la_ricerca_del_soggetto) per il loro orientamento sessuale e le loro scelte.

Formulando in altri termini una forse troppo ardita riflessione – o forse no -: siamo capaci di comprendere che per valorizzare, ed in qualche modo pure preservare, l’istituto del matrimonio è necessario relativizzarlo a tal punto da accorgersi che deve divenire di necessità “spazio per il terzo”? Eugen Drewermann annotava, ormai diversi anni fa, che Gesù di Nazaret viveva lamore ad un tale livello di intensità da non conoscere la polarizzazione di matrimonio e monastero.

Quel riferimento religioso cui si accennava prima decentra per appunto l’attenzione dall’asfissia della dinamica io-tu, per dilatare cuori e menti, e abbracci e dedizioni.

In giorni di terribile violenza, come questi che vive il Medio Oriente, mi sale alla mente anche un altro riferimento bibliografico, La cotogna di Istanbul di Paolo Rumiz, dove la valenza politica dell’amore sbaraglia ogni qualunquismo di acquietamenti affettivi.

Insomma merita amare, per non morire (https://www.academia.edu/37710768/Amare_e_non_morire), per guarire, per accorgersi che l’amore è sempre matrimoniale, sempre, con buona pace di ogni stato civile. E nonostante il passare dei secoli.