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Il Divino e l’Umano


di 

Stefano Sodaro

 

L’intervista del Vescovo eletto di Trieste, don Enrico Trevisi – che riceverà l’ordinazione episcopale sabato 25 marzo prossimo, tra venti giorni esatti, nella Cattedrale di Cremona e prenderà poi possesso della Diocesi di Trieste la successiva domenica 23 aprile -, sanciscono una svolta nella pastorale di chi guida – guiderà – la Chiesa locale giuliana (cattolica). Si possono ascoltare le parole di don Trevisi al seguente link: https://youtu.be/tyRkHuRpmLk.

Sino ad oggi, la conduzione episcopale della Diocesi di Trieste ha visto una forte affermazione identitaria ricondotta a cosiddetti “diritti di Dio”, la cui affermazione ed il cui riconoscimento sopravanzano la condizione umana e le contraddizioni della storia concreta ed effettiva di centinaia di migliaia di persone. Potremo parlare di una pastorale deduttiva, a movimento “discensionale”, che benevolmente si cala, con una certa prudenza e non senza garanzie, nelle gioie e nelle speranze, nelle tristezze e nelle angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono.

La stessa provenienza di ormai buona parte del clero triestino – ordinato da mons. Giampaolo Crepaldi, attuale Amministratore Apostolico della Diocesi - dalle fila del Cammino Neocatecumenale ne è evidente attestazione. Così come pure il ciclo delle prossime conferenze della cosiddetta “Cattedra di San Giusto”, incentrato sulle figure di Luigi Giussani, Carmen Hernández e Benedetto XVI (https://www.diocesi.trieste.it/wp-content/uploads/2023/02/Cattedra-Quaresima-2023.pdf) e voluto dallo stesso attuale Amministratore Apostolico (che cesserà la domenica 23 aprile). 

Prima il Divino, poi l’Umano.

Le parole del Vescovo eletto, però, vanno in altra direzione, di certo non contrapposta, ma abbastanza chiaramente capovolta. Vale a dire: è necessario un metodo pastorale induttivo e non deduttivo. Che parta dalla storia e non che ad essa arrivi dall’alto.

La tragedia di Cutro interroga profondamente la Chiesa Italiana: quale pastorale si deve scegliere? Anzi, prima ancora: quale opzione di teologia pastorale? Dall’alto o dal basso? Quei cadaveri dell’arenile sono il Cristo morto oppure no perché necessitano di verifica quanto al loro avvenuto battesimo?

Esiste un meraviglioso canto liturgico del Centro America, intitolato “Cristo mesoamericano” – si ascolti a https://www.youtube.com/watch?v=XPLt-gAdktQ – in cui si invoca un “Cristo madre y compañera” ed un “Cristo, niña de la calle”. E prima ancora, nelle parole che precedono:

“Cristo negro, Cristo Maya,

Cristo mískito y chorti;

Cristo lenca, Cristo Nahua, galileo e quiché.

Cristo río y montaña, Cristo árbol, Cristo mar,

Cristo puma y quetzal, Cristo selva por talar.

Cristo obrera, costurera; la maquila y el hogar (….)”.

L’identità galilea di Gesù di Nazaret – confessato dai Cristiani come l’Unto di Dio, il Messia – si accompagna alla sua identità di indio quiché. Così come, potremmo facilmente tradurre, di indio, e india, triestino, e triestina.

Insomma a Trieste, per quanto riguarda la storia contemporanea della sua Chiesa Cattolica, le cose stanno rapidamente cambiando, dopo che per dieci anni vi è stato uno sfasamento tra la presenza di un Vescovo di Roma che si è fatto chiamare Francesco, e che è succeduto al rinunciante predecessore già cardinale Joseph Ratzinger, ed un Vescovo di Trieste la cui linea teologica era, invece, ancora limpidamente ratzingeriana. 

Ci manca l’acume e la sapienza di Giovanni Miccoli, grande storico triestino della Chiesa, per leggere in profondità il cambiamento in atto a Nordest.

Ma a noi, rodafiane e rodafiani, lettrici, lettori, simpatizzanti, amiche e amici di questo nostro settimanale, cosa importa di simile attualità ecclesiale? 

Proviamo a darci allora degli orizzonti temporali di riferimento: nel 2025 Gorizia sarà Capitale europea della Cultura, e Gorizia è sede metropolitana arcivescovile, di cui Trieste – come si dice tecnicamente – è sede suffraganea, costituendo assieme alla prima la Provincia ecclesiastica di Gorizia, per appunto. I due Vescovi di tale Provincia rispondono, dunque, al nome e cognome di Carlo Roberto Maria Redaelli – arcivescovo di Gorizia - e di Enrico Trevisi – futuro vescovo di Trieste -. Un’impronta martiniana, conciliare, bergogliana, altrettanto evidente.

Ci chiediamo: da oggi sino al 2025 potremmo pensare, con la necessaria umiltà e modestia, di offrire, a tale Provincia ecclesiastica, un contributo originale di riflessione pastorale che attinga, allo stesso tempo, alle grandi Tradizioni delle Chiese d’Oriente ed alle nuove “Tradizioni” – con un ossimoro – che continuano in particolare a fiorire, a sgorgare come pura acqua di fonte, in Centro e Sud America (il pensiero va al cosiddetto “rito amazzonico”), mantenendo unita tale polarità tramite il riferimento centrale alla Tradizione Ebraica, che per la Trieste della modernità e dei nostri giorni è di importanza fondativa prima ancora che fondamentale? Domanda impegnativa, ci pare. Per il momento non ci pare il caso di dire di più.

Adesso è il momento della fiducia, della gioia, della comprensibile trepidazione da parte del già a noi carissimo Vescovo eletto, della speranza, dell’entusiasmo e dell’impegno. A partire dall’Umano.  A partire dalle bare di Cutro.

Che possa essere, per tutte e tutti, una buona domenica.