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Tramonto triestino - marzo 2022, foto di Sara Sodaro

Le case alte e le palme di teologhe, ebraiste, rabbine, pastore, psicologhe e filosofe



di Stefano Sodaro


Difficile che le palme crescano e svettino in collina, anche se ad Asmara, capitale dell’Eritrea – 2400 metri sul livello del mare – sono effettivamente rigogliose nella loro imponenza. Da noi, nel nostro Paese, si usa talora parlare di “case sparse”, che possono addirittura diventare identificativo di una precisa residenza, “località Case Sparse” (forse qualcuno/a ha presente), con inevitabili, ma magari improprie e per nulla desiderate, connessioni eremitiche.

Nelle case alte ci si potrebbe forse rifugiare durante una guerra, un’aggressione armata, o forse, all’opposto, potrebbero essere facile obiettivo di bombe e granate, di violenze lontano dagli occhi di tutti.

Nelle case sparse invece non ci si rifugia, i ricordi dei massacri nazifascisti sugli Appennini appartengono alla nostra memoria storica per sempre.

La domenica delle Palme, secondo la liturgia cattolica romana - questa domenica dunque -, è denominata anche “Domenica di Passione”, in cui si legge il racconto dell’ultima cena, dell’angoscia, dell’arresto, della condanna e della morte del rabbi Gesù di Nazaret, un uomo buono e indifeso, schietto e tenerissimo, amico dell’amicizia, la più sublime espressione dell’esserci al mondo.

Il Golgota non è una casa alta. Il Tempio di Gerusalemme invece sì, giacché, appunto, si “saliva al Tempio”. E nella narrazione evangelica di Luca, proclamata quest’anno, l’associazione tra il “luogo cosiddetto del cranio” (traducono e spiegano Marco e Matteo) e il Tempio è potente, come del resto in tutti i Sinottici. Versi 45 e 46 del capitolo 23: “Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.”

La morte è segno di vita e pare terreno prediletto di chi, da un lato, sembri una specie di “professionista” del culto e, dall’altro, si ponga e ponga agli altri le domande ultime e decisive di senso. Peraltro – mi insegna la mia docente di Ebraismo – i “kohanim”, i sacerdoti ebrei (che, contrariamente a quanto forse si può pensare, esistono ancor oggi, eccome) devono stare lontani da ogni contatto con i cadaveri, proprio perché la vita da celebrarsi, da celebrarsi sempre, non sta lì, in quei corpi ormai di essa privi.

Ma per i morti si prega, in tutte le chiese e in tutti i tempi, in tutte le case alte dunque, laddove forse qualcuna o qualcuno si ritira in silenzio, ama, scrive poesie, studia, si guarda dentro.

Esiste una specie di ostilità – di “sacrofobia” – verso qualunque appello o riferimento a ciò che rinvia ad Altro, lo si chiami trascendente oppure semplicemente “significativo”, oppure ci si astenga da ogni categorizzazione. L’Altro resta Altro e, soprattutto, Altra. E dà immenso fastidio. Ed i tentativi riduzionistici di confinare l’Altra al già noto, scontato, misurato e quantificato, appaiono alquanto penosi. Non siamo una quantità. Siamo Altra. Altre.

Le palme sono, nella tradizione agiografica e pittorica, simbolo del martirio. Ed in questi giorni, in queste ore, in questi minuti, un popolo intero vive dentro unenorme dimensione di martirio, cioè di “testimonianza” sino alla morte: quante donne ucraine e quanti bambini e quante bambine e quanti ragazzi e quante ragazze e quanti uomini di quel popolo incontrano, davanti al proprio volto, ogni giorno la morte pronta a ghermire, sfigurare, violentare, portare via?

Fa orrore il ragionamento giustificazionista del tipo “anche Hitler aveva le sue buone ragioni”. Ed è infatti in nome di una cosiddetta “denazificazione” che è stata invasa l’Ucraina per ordine di Vladimir Putin. E adesso le stragi sarebbero invenzioni e provocazioni? Il ricordo va immediatamente a Srebrenica ed al negazionismo del tempo. Accadde solo un po’ più di 25 anni fa, non lontano da Trieste (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-564---5-luglio-2020/rodafa; https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-565---12-luglio-2020/rodafa; https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-566---19-luglio-2020/rodafa).

Però una prospettiva di consolazione c’è, esiste: viene dalla semplice, umile, ma appassionatissima, competenza, di quelle donne che affrontano e sviluppano la trama degli interrogativi decisivi della nostra vita, siano teologhe, ebraiste, rabbine, pastore, psicologhe o filosofe. E sono donne normalissime, avviluppate pure loro nell’intrico dell’esistenza di ognuna ed ognuno di noi, senza sconti e senza fughe. E tuttavia, laddove loro - queste donne - vivono, lavorano e testimoniano di tanta passione amorosa per l’Altra, ebbene proprio quei luoghi diventano Case Alte di luminoso riferimento per chiunque non voglia perdersi nel buio delle notti generate dai nostri odi, dalle nostre gelosie, dai nostri spasmodici desideri di trovare e mettere al muro, perché sia “giustiziato”, il colpevole di crimini esecrandi.

La dedizione terapeutica delle – proviamo a chiamarle così – “donne del sacro” è assai più efficace della furia devastatrice di chi abbatte tutto e tutti senza che nemmeno una doverosa condanna segua alla doverosa denuncia, avvilendo così il ruolo della profezia ad urlo di slogan, sinistramente simile all’invocazione della morte per chi ci sta ostico e ci risulta ostile.

La cultura del diritto, invece, è altrettanto terapeutica della cura del sacro.

La scelta della nonviolenza non è la scelta dell’astrazione dal realismo di una condanna necessaria e, soprattutto, degli sforzi necessari per salvare dalla morte inflitta con le armi chi ne è potenziale vittima, salvarla e salvarlo a qualunque costo, anche dolorosissimo e straziante per le scelte che richiede, impone.

E dunque sì: ci salveranno, ci redimeranno, ci riscatteranno, dalle loro case alte, le teologhe, ebraiste, rabbine, pastore, psicologhe e filosofe, e noi agiteremo le palme verso di loro, perché sia cantato l’Hosanna alla vita.

A Trieste, quelle case alte, volendo, si vedono da lontano, si intuiscono al di là del mare, verso gli altri mondi. guardando la vastità del Golfo, alla sera, come nella foto di mia figlia.

Buona domenica.