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La preghiera dei fedeli

di Dario Culot

Durante una messa in cui il celebrante lascia anche spazio alla libera espressione dei fedeli, al momento della preghiera dei fedeli, subito dopo il Credo, ho detto queste parole di fronte all’assemblea: “Vi voglio leggere un pensiero breve di uno scrittore francese, Christian Bobin, tuttora vivente; anzi, secondo me più che uno scrittore è un poeta, perché affronta la quotidianità con una saggezza e una leggerezza a noi per lo più sconosciute, infatti sa cogliere nel quotidiano quello che alla maggior parte di noi sfugge completamente: la bellezza di un fiore, di una nuvola, di un insetto. Sentite cosa ha scritto un giorno guardando semplicemente un piccolo insetto:

«Stamattina, davanti al vetro della finestra, un ragno appeso a un filo invisibile faceva ginnastica. Guardando quel corpicino scuro salire e scendere nell’aria nitida, ho pensato che avevamo ricevuto entrambi il dono dell’esistenza. Ero di pessimo umore, mi ero svegliato male. Il ragno, invece, danzava. Della vita che ci era stata donata nello stesso modo, in quel momento esso faceva un uso migliore del mio.

Questo appunto è un po’ troppo lungo, lo riassumo: questa mattina ho preso lezioni di danza da un ragno e questo pomeriggio sto meglio».

A volte basta poco per far battere il cuore. Ecco, affinché anche noi riusciamo ad aprirci ogni giorno e cogliere la bellezza delle cose piccole, apparentemente banali, create dal Signore, capaci però di darci piccole gioie e allargarci il cuore, senza rinchiuderci nei nostri bozzoli e senza angustiarci solo per i nostri grandi problemi quotidiani, per questo io prego”. E l’assemblea ha risposto col classico “Ascoltaci, Signore!”

Apriti cielo! Neanche fossi andato al leggìo grande vestito da ‘uomo ragno,’ il parroco – terminata la messa,- mi ha redarguito perché la messa richiede una retta liturgia, e la liturgia è stata studiata apposta per valorizzare il senso della messa,[1] mentre io l’ho banalizzata, se non ridicolizzata. Insomma, non ha per niente apprezzato questo stile di preghiera liturgica e comunitaria. Ha chiarito che solo nella retta liturgia noi esprimiamo con rispetto quello in cui crediamo[2]. Solo nella liturgia sacramentale, attraverso le sue parole e i suoi simboli, lo Spirito Santo ci mette in comunione con Cristo. Solo la sacra liturgia e la retta preghiera ci permette di entrare in rapporto con Dio. La mia – secondo questo presbitero,- non era una preghiera, perché la preghiera collettiva deve salire verso l’alto, verso Dio; se manca questa visione verticale, se ci si muove solo in senso orizzontale, terra terra, viene a mancare il rapporto con Dio, e l’intera messa viene banalizzata e perde di significato. La storiella banale del ragno non ci fa comprendere il senso della vita, che solo Cristo ci fa capire. È appunto per evitare simili cadute di stile che la preghiera collettiva viene codificata e scritta sul foglietto domenicale, perché deve servire a dire cose importanti, a ribadire la coesione della collettività durante la funzione: stare uniti ci dona forza e questa unità è generale, riguarda l’intera comunità[3]. Avrei fatto meglio a leggere il foglietto della messa o stare zitto.

Mi è sembrato di essere tornato di colpo alla Chiesa-istituzione docente, e al popolo-gregge discente, al ripristino dei criteri di separatezza sacrali (verticale-orizzontale, clero-laicato) che esistevano ben prima di Gesù, che però Gesù ha abolito mentre l’istituzione ha ripristinato. Mi chiedo quanti presbiteri (quello che mi rampognava era ben più giovane di me), pur formatisi dopo il concilio e non negli anni dell’egemonia della cultura cattolica intransigente, continuano a portare anche nel post-concilio gli schemi mentali ereditati dal passato.

Sulla prevalenza della dimensione orizzontale, rispetto a quella verticale, ho già detto nell’articolo della settimana scorsa: l’esempio dell’ateo buon samaritano e del giudizio finale indicano – a mio avviso,- in maniera assai chiara che, o c’è buon equilibrio fra queste due dimensioni, oppure la dimensione orizzontale è assolutamente da preferire.

L’eucaristia, poi, che è il culmine della messa, ha la sua origine in una cena; ma quella che era una cena si è trasformata presto in un rituale liturgico sacro. Mi sembra anche che il concilio Vaticano II, già più di cinquant’anni fa, affermando che siamo tutti sacerdoti, abbia escluso che il solo clero fosse Chiesa: tutti abbiamo quindi la possibilità di contattare direttamente Dio, senza bisogno del sacerdote intermediario.

A me sembra poi che questa idea di una liturgia blindata vada più nella direzione della rilegittimazione della teologia lefebrviana piuttosto che nella direzione conciliare. È vero che papa Benedetto XVI parlava di ermeneutica della continuità piuttosto che della rottura, ma è anche vero che papa Francesco ha detto che il concilio Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea, ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo, e che la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi, grazie al Concilio, è assolutamente irreversibile.

Ho letto più volte in silenzio il tipo di preghiere riportate nei foglietti festivi; saranno sicuramente perfette per la liturgia e per il gregge discente – secondo la ramanzina fattami da quel prete,- ma resto perplesso su quello che per lui è il profondo significato della preghiera liturgica: “Per la Chiesa, sposa dell’Agnello immolato, perché con l’ascolto della Parola si cresca nella nostra identità cristiana, che è una magnifica corona nella mano del Signore e una diadema regale sul cuore di Dio…”. Non vi sembra una preghiera un po’ ampollosa e retorica, non adatta al moderno modo di parlare?

“Signore Gesù, annunciato dall’angelo a Maria vivifica la tua Chiesa: i nostri pastori annuncino il Vangelo con rinnovato slancio…” ; oppure: “Signore Dio, come nella casa di Nazaret, anche nella nostra comunità e nelle nostre case fioriscano la fede e la prontezza di dire ‘sì’ a te che ci chiami a servirti”. Premesso che siamo collaboratori di Dio e non suoi servitori,[4] qui si omette di dire che la prontezza di dire ‘sì’ dipende solo dalla nostra capacità di risposta, visto che Dio continua ad offrire ininterrottamente a tutti, ma poi, per farsi sentire e vedere presente nel nostro mondo, ha bisogno della collaborazione di noi uomini. Anche i presbiteri, per annunciare il Vangelo con rinnovato slancio, devono essere loro a muoversi, non aspettare che Dio li ricarichi come delle marionette ricaricabili a molla.

Lo stesso con queste altre preghiere: “Rispondiamo all’attesa del mondo, invocando da te, o Signore, la pace tra il popoli, il lavoro e l’accoglienza, il rispetto reciproco…”, oppure “Signore Gesù, nato per noi e per tutti, salva il nostro mondo con il dono della tua pace…” oppure “perché questa nostra assemblea liturgica…sia rigenerata dal Pane eucaristico…”. Ma non è compito di Dio fare la pace tra i vivi. Come diceva don Mazzolari, dare la pace ai morti è impegno di Dio, ma fare la pace tra vivi deve essere impegno nostro. Non è Dio che, dopo aver visto che partecipiamo all’eucaristia, ci rigenera. Se aspettiamo che sia Dio ad operare al nostro posto, buonanotte! Siamo noi che dobbiamo cambiare, darci da fare, e questo richiede fatica da parte nostra. Queste perfette preghiere liturgiche lasciano tutto in mano di Dio. Lo stesso davanti a quest’altra preghiera: “Signore, custodisci le famiglie, in particolare quelle povere, senza casa, senza lavoro. Ciascuna famiglia venga favorita dalle pubbliche istituzioni e sia accompagnata dalla comunità”. Ma non spetta mica a Dio procurare casa e lavoro. Siamo davanti a una preghiera del tutto innocua, anche se liturgicamente perfetta: infatti, dopo averla letta ad alta voce, quanti in quella comunità si rimboccano le maniche e si danno da fare per aiutare quei fratelli più disagiati? Il problema è che noi non c’impegniamo nel mondo, ed è molto più facile pregare affinché sia Dio ad attivarsi al nostro posto, per fare quello che dovremmo fare noi. Se poi Lui non lo fa, abbiamo la coscienza a posto perché l’abbiamo pregato. Però, se ci limitiamo a pregare che Dio risolva i nostri problemi possiamo compiacerci fin che vogliamo dei buoni sentimenti che si sprigionano dal nostro profondo, ma in realtà se, dopo aver pregato, aspettiamo senza fare niente e per di più ci sentiamo a posto, temo che non abbiamo capito proprio niente dell’insegnamento di Gesù. Mi dispiace poi per quel parroco, ma credo che la maggior parte del ‘gregge’ oggi non accetti più pastori che tendono ad erigere una supremazia spirituale sugli uomini decidendo e ordinando, autoritariamente (e magari sotto minaccia di pene temporali ed eterne), quanto un uomo debba credere e fare per essere salvato. Gesù è liberatore perché annunzia la liberazione dell’uomo da ogni precetto fatto da uomini, che opprime, che preoccupa, che tormenta.

Altra implorazione che va verso l’alto, tratta dal foglietto: “Signore, che hai scelto Maria come strumento per l’opera di redenzione…”. Ma qui sembra che Maria sia stata uno strumento meramente passivo scelto da Dio. Non farebbe più impressione dire al ‘gregge discente’: “Ma vi rendete conto di quale fede aveva questa ragazzina di 13-14 anni? Ancora una bambina secondo il nostro punto di vista. Certo, l’angelo assicura Maria che non sarà sola in questa avventura, lo Spirito sarà con lei, Dio sarà con lei; ma non credo che nessun adulto come noi saprebbe dimostrare la stessa fede di Maria. Lei sa che ciò che le viene chiesto di fare significa violare la legge. Sa anche che la sanzione per questo tipo di violazione è la lapidazione. Avere Dio al proprio fianco non assicura una vita e una fine serena e tranquilla. Eppure la ragazzina accetta sulla fiducia. Non solo: si fida talmente che non chiede neanche un po’ di tempo per ripensare o per consultarsi con qualcun altro. Peggio ancora: accettando autonomamente viola la sacra tradizione perché non ha chiesto nemmeno l’autorizzazione del maschio di casa che l’aveva sotto tutela legale (perché allora le femmine, da sole, non potevano decidere un bel niente, proprio come oggi succede alle donne in Afghanistan). E viola ulteriormente la sacra tradizione decidendo di nuovo da sola che il figlio si sarebbe chiamato Gesù (Mt 1, 25), quando solo il maschio di casa aveva il potere di decidere il nome del figlio. Insomma, questa Maria ha consapevolmente disatteso la tradizione e la legge divina, ma con la preghiera liturgica che abbiamo letto, tutta l’autonomia che questa donna si è presa, scompare. Ci viene presentata una sorta di Maria disidratata, una che non può sentire altra attrattiva se non il bene. Ma come allora la si può vedere come virtuosa? Per rendere grande Maria nella Chiesa, noi finiamo per associarla a queste qualità disumanizzanti[5]. Insomma, è vero che noi celebriamo con grande devozione la Madonna, che nel Vangelo parla pochissimo, ma ho l’impressione che con questa liturgia Maria, dopo essere stata messa su un piedistallo, sia stata completamente zittita dall’istituzione: meglio non far sapere al ‘gregge discente’ con quanta fiducia in Dio questa ragazzina aveva preso autonomamente la sua decisione, violando però patentemente la legge religiosa e disobbedendo coscientemente al sacro magistero. Meglio che la gente continui a credere che la Madonna sia stata ubbidiente fin dall’inizio, così da essere un esempio per noi nell’obbedire al nostro sacro magistero.

O leggiamo ancora un’altra invocazione stampata sempre sul foglietto domenicale: “Signore Gesù, rendici lieti e accoglienti verso i fratelli e le sorelle…”. Ma dopo aver recitato questo, quanti di noi si fermano a pensare come ci comportiamo con gli immigrati? Perché non dire più brutalmente che ogni filo spinato che erigiamo fra noi e lo straniero è un filo spinato fra noi e Dio? Perché non scuotere le coscienze dicendo che tutto quello che è scontro e divisione tra gli uomini, non viene da Dio e non ci porta a Dio? La prima cosa che ha fatto Gesù quando è venuto in questo mondo, è stato stimolare le persone all’unione, e l’unione la dobbiamo con fatica cercare noi, non aspettare che ci cada dall’alto per intervento divino.

Noi cristiani troppo spesso ci limitiamo a credere, ma senza fare. E soprattutto crediamo spesso a cose che sono del tutto contrarie al Vangelo. Ad es. c’è gente che va in chiesa e manda i propri figli al catechismo, ma poi li ritira quando sentono che il loro parroco vuol dare ospitalità a degli stranieri. Eppure nel vangelo viene espressamente chiarito cosa ci verrà domandato il giorno del giudizio finale: “Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25,35). E perfino l’Antico Testamento ammoniva: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto... Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso» (Es 22, 20). O anche «Tratterete lo straniero che abita fa voi come chi è nato fra voi» (Lv 19, 34). Come fa uno a dirsi cristiano, baciare il rosario e poi opporsi a riconoscere per legge la cittadinanza al figlio di stranieri che è nato qui ed ha frequentato da sempre le scuole italiane? Perché non mettere con le spalle al muro la gente che si dichiara cristiana ricordando che se l’amore non si vede, se l’amore non si traduce in un servizio (e quindi in un linguaggio universalmente riconoscibile) non è l’amore di Gesù, non si segue Gesù, e quindi non si è cristiani?

E comunque, che Dio sarebbe quello assiso nell’alto dei cieli, che ha la necessità di essere invocato in continuazione per agire, mentre noi non agiamo e ci limitiamo a tirarlo per la giacchetta? La preghiera dovrebbe sollecitare a muovere le nostre potenzialità sopite. Non riguarda Dio, non smuove Dio al bene. Dovrebbe trasformare l’orante e, una volta trasformati, noi stessi potremo trasformare il mondo. Il mondo non cambia se non cambiamo prima noi.

Se queste sopra esposte sono le preghiere liturgicamente perfette perché salgono in verticale verso Dio e non banalizzano la messa, non ci sto. Insomma, mi sembra sempre più chiaro che, se essere cristiano vuol dire essere un uomo del culto, della liturgia e dalle certezze granitiche, non sono cristiano. Se essere cristiano è sentirsi sempre interpellati a fare noi qualcosa, è cercare di diventare sempre più umani e di insegnare agli altri come essere sempre più umani,[6] forse sto cercando di diventare cristiano. Ricordo che papa Francesco ha detto che, dovunque c’è una persona, lì la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio. Non ha detto di portarle il sacro culto, la liturgia che innalza verso Dio e di insistere per convertirla all’unica vera religione: la nostra.

Perciò mi permetto di obiettare a chi mi ha rimproverato. Non vedo perché in una preghiera collettiva non si possano esprimere dei concetti che non sono conformi ai dettami tradizionali. Siamo così concentrati su noi stessi che normalmente non ci accorgiamo della bellezza di cose (o persone) che abbiamo ogni giorno intorno a noi. Guardare la natura già può riempirci di gioia, e la gioia può venire anche dal guardare un ragno che danza. Perché quanto ho letto non può essere considerato una preghiera? Con quelle parole, il poeta non stava forse lodando Dio? Non richiamava la nostra attenzione su piccoli ma grandi fatti che noi neanche degniamo di uno sguardo (o se guardiamo, lo facciamo sbadigliando e senza interesse)? Noi parliamo tanto, senza vedere e senza neanche guardare. Se solo guardassimo con curiosità e attenzione ciò che sta intorno a noi sarebbe più facile capire che Dio è presente in tutte le sue creature, anche quelle che noi riteniamo le più insignificanti. Questo semplice, ma – secondo me,- al tempo stesso profondo pensiero di quel poeta, non ha raggiunto lo scopo di “far germogliare sogni, suscitare visioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un linguaggio positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori”?[7] Non ci aiuta a comprendere il senso della vita, a farne un uso migliore come stava facendo quel ragno? Non ci dà un momento di speranza che ci innalza almeno per un momento al di sopra di una vita piatta e banale che troppo spesso conduciamo? Non è che questo poeta ha visto nella danza del ragno un Dio che si prende cura delle creature (riveste il giglio e nutre gli uccelli che non seminano)? Non è che questo poeta, invitandoci a guardare quello che normalmente non degniamo di uno sguardo, è riuscito ad ottenere una piccola guarigione dal Padreterno, visto che al pomeriggio si sentiva meglio, e ci ricorda che anche noi potremmo ottenere dall’insignificante insetto una nostra piccola guarigione e sentirci meglio?

Perciò, a mio avviso, quel pensiero è equiparabile perfettamente a un preghiera, ed essendo un richiamo rivolto a tutti, ben può rientrare fra le preghiere collettive e non fra quelle individuali.

Se poi questo prete pensa che la preghiera collettiva debba essere più aerea, più spirituale per poter salire al cielo, credo che sbagli, perché arrivare al cielo senza passare attraverso la terra è impossibile. Diceva – se ben ricordo - il pastore Dietrich Bonhoeffer che solo passando attraverso il mondo, assumendone pene, sofferenze, contraddizioni, si può entrare in un giusto rapporto con Dio.

Di più: l’esperienza ci insegna - purtroppo con tanta frequenza – che i riti (in generale) a causa della loro ripetizione routinaria si riducono a rituali, degenerano a mera ripetizione del gesto, con il quale l’uomo religioso tranquillizza la sua coscienza senza però modificare mai la sua condotta quotidiana. Nella Chiesa in tanti sono ormai stanchi e stufi di ripetere (o vedere che si ripetono) abitudinariamente i rituali religiosi un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra, un anno dopo l’altro, di modo che anche lo stesso Vangelo e la stessa vita di Gesù, il quale rifiutò i puri e semplici rituali religiosi, sembrano una vuota litania ripetitiva[8]. Ecco che il rimprovero da me subito può essere rovesciato, perché “In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia”[9]. E allora torna ad emergere la tremenda domanda di Bonhoeffer: “se ti accusassero di essere cristiano, troverebbero veramente delle prove contro di te?” Credo che per la maggior parte di coloro che si professano tali a parole, questa prova non c’è.

Lasciamo allora la lingua ecclesialese dei foglietti che non smuove i cuori, che non dice quasi più niente a nessuno: meglio sarebbe optare piuttosto per il silenzio, e dal silenzio meditativo forse uscirà la lingua della poesia, una lingua più delicata, più profonda, che non dà risposte ma stimola a cercarle. Se invece per religione intendiamo ancora una volta un insieme di credenze, regole, riti e cerimonie che ci servono per tranquillizzare la coscienza e ci aiutano a farci sentire soddisfatti e persone rispettabili, la cosa migliore che può accadere è che questo modello di religione sparisca quanto prima[10].




NOTE

[1] Il n. 1069 del Catechismo chiarisce che «liturgia» significa «servizio da parte del popolo e in favore del popolo». E il papa emerito ha aggiunto: “Se la teologia cristiana prese questo vocabolo del mondo greco, lo fece ovviamente pensando al nuovo Popolo di Dio nato da Cristo che ha aperto le sue braccia sulla Croce per unire gli uomini nella pace dell’unico Dio. «Servizio in favore del popolo», un popolo che non esiste da sé, ma che si è formato grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di Dio non esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre dall’opera del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci ottiene” (Papa Benedetto XVI, Udienza Generale, 26 settembre 2012, in www.vatican.va). Dunque, la liturgia riguarda qualcosa di più grande di noi; riguarda Dio. La liturgia della Chiesa cattolica romana è la stessa in tutto il mondo. Questo significa che si può seguire la Messa dovunque, anche se non si comprende la lingua: tutti i gesti e le azioni rimangono le stesse.

Sarà vero, ma secondo me anche la liturgia sa spesso di vecchio e stantio. Ad es. se invece di dire “Non son degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato” (il che è in linea con le continue ed insistenti richieste di perdono che il fedele deve dire durante la messa: cfr. l’articolo Ma come facciamo a sapere di essere perdonati? al n.468 di questo giornale) non potrebbe essere sostituita con un “Signore, ho timore di avvicinarmi alla tua mensa, ma dimmi una sola parola e serena sarà l’anima mia’?

[2] Il n. 1140 del Catechismo chiarisce: «Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è "sacramento di unità", cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi. Perciò [tali azioni] appartengono all'intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli uffici e dell'attuale partecipazione». Per questo «ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria con la presenza e la partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata degli stessi».

[3] Pertanto andavano bene le preghiere scritte del foglietto, tipo: ‘Per il Papa, il nostro vescovo, i sacerdoti, i diaconi e quanti ci accompagnano nel cammino della fede, perché siano guide sicure per tutti noi e portino a compimento l’opera della fede che il Signore ha iniziato in noi. Noi ti preghiamo’ oppure ‘Per il nostro mondo bisognoso di pace, benevolenza e fraternità, perché sempre più persone impegnino la propria vita per il bene di ogni uomo. Noi ti preghiamo’.

[4] Cfr. il primo articolo di quest’anno su questo giornale, Amici, non servi, https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-642-2-gennaio-2022/dario-culot-amici-non-servi.

[5] Così ha correttamente scritto della Madonna Balasurya T., Mary and human liberation, ed. Mowbray, Londra, 1997. Superfluo aggiungere che per questo libro scritto nel 1990, che semplicemente esprimeva cose che noi tutti pensiamo, questo teologo cingalese è stato messo sotto processo dal Sant’Uffizio nel 1994 e censurato.

[6] Romano Guardini diceva: «Diventare cristiani vuol dire diventare umani» Umani e cristiani non si “è”, ma si “diventa” ogni giorno! (riportato da Don Vinco R., Non è il battesimo a renderci cristiani, ma il nostro stile di vita, 13.1.2019).

[7] §32 del Documento preparatorio del Sinodo dei vescovi.

[8] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 163.

[9] Esortazione apostolica Evangelii Gaudium del 24.11.2013 §95. E sempre l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, §159 aggiunge che è buona cosa che sacerdoti, diaconi e laici si riuniscano periodicamente per trovare insieme gli strumenti che rendono più attraente la predicazione! Cioè, perfino nell’omelia il prete dovrebbe farsi aiutare dai laici.

[10] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 261.