Settembre - aprire
Al volgere della stagione e con l’avvio delle lezioni scolastiche, le famiglie si trovano a riorganizzare la propria giornata sulla base del nuovo ritmo autunnale. Anche autobus e treni a settembre aggiornano i propri orari (e talvolta prezzi), mentre dalle curie si diramano gli avvisi per gli spostamenti dei parroci o per la programmazione pastorale annuale. Ci troviamo in un mese che parla di inizi, di progetti, di aperture. Anche chi non segue ritmi particolari percepisce comunque un passaggio dal clima più caldo e dal ritmo più “vacanziero”, al di là della permanenza fuori città.
Le aperture e gli inizi profumano sempre di buono, come quaderni dai fogli ancora non stropicciati o come strade nuovamente percorribili dopo manutenzioni o come un’opera d’arte che viene scoperta e si manifesta tutto il lungo lavoro nascosto. Aperture e inaugurazioni ci dicono il rischio dell’esporsi della vita che, quando il timore o le ferite portano a ripiegarsi, a chiudersi in difesa, inesorabilmente si spegne.
In queste domeniche la liturgia propone la lettura del vangelo di Marco nei suoi capitoli centrali: Gesù sconvolge le chiuse tradizioni sul puro e l’impuro riportando tutto a ciò che abita il cuore, mentre la gente e i discepoli si interrogano sulla sua identità e provano a dare qualche risposta. Il cammino da discepoli è difficile se ancora si vive di competizioni e di antagonismi o se non si lasciano andare elementi che ostacolano l’accoglienza piena del Regno.
In un modo o nell’altro tutti si trovano poco o tanto nella condizione di essere accanto a Gesù ma incapaci di ascoltare davvero e mettere in pratica la parola dell’evangelo, con tutta la sua dirompente novità; la fede tuttavia viene dall’ascolto e non si può aderire dichiarando la propria fede verso qualcosa che non si è ancora propriamente ricevuto. Non si può proclamare: “Gesù è Signore! a gloria di Dio Padre” (cfr. Fil 2,11), se gli occhi del cuore non si sono posati grati sul Salvatore che ha svuotato sé stesso assumendo forma d’uomo per farsi incontro ad ognuno.
Molti insomma si trovano nella condizione dell’uomo sordomuto nel territorio pagano delle Dieci città, pericope proposta dalla liturgia un paio di domeniche fa: piccoli, dispersi, spaventati da tante sfide e da tante ingiustizie, impotenti, incapaci di comunicare, di essere significativi, di dare un proprio contributo alla società, chiusi nel proprio piccolo mondo antico anche religioso. Gesù inizia un contatto con lui: «Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: "Effatà", cioè: “Apriti!”» (Mc 7,33-34). Una parola dal suono arcano che ricorda l’“Apriti sesamo” che spalanca la via del tesoro per Alì Baba o, in epoche più recenti, l’incantesimo Alohomora – che apre le porte chiuse a chiave – imparato dai giovani maghi che con Harry Potter frequentano Hogwarts.
La parola aramaica Effatà descrive in ogni battesimo il gesto e la preghiera affinché presto la Parola possa essere ascoltata e la fede professata e rimanda alla vicenda raccontata da Marco. Gesù sospira frustrato dalle mille chiusure che trova intorno a sé e si prende cura dell’uomo che gli portano: «E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”». Il rischio di essere frainteso è ancora molto alto, ma la gioia dell’apertura è troppo grande e va divulgata.
Il verbo greco corrispondente anoigo compare significativamente solo qui in Marco, mentre in molti passi di Matteo e Luca rimanda a cieli ormai definitivamente aperti (Mt 3,16; Lc 3,21); a porte a cui occorre bussare con la preghiera (Mt 7,7-8; Lc 11,9-10); a bocche di profeti che fanno giungere la Parola (Mt 5,2; 13,35); addirittura a tombe spalancate dopo la resurrezione di Gesù (Mt 27,52). Il significato generale tuttavia è espresso magistralmente nel quarto vangelo: Gesù a Natanaele che ha una fede prontissima anticipa che potrà vedere «il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» (Gv 1,51): il mondo divino comunica attraverso l’uomo Gesù di Nazareth il suo mistero più profondo. Raggiunge il suo compimento l’apertura da parte di Dio preparata da tutta la storia della salvezza. Da parte dell’essere umano troverà apertura e ascolto?
Tutte le altre volte che il verbo “aprire” compare in Giovanni si fa riferimento diretto o indiretto al cieco nato: non solo orecchi e bocche devono aprirsi per comunicare, ma occhi per troppo tempo al buio. Tutto il cap. 9 del vangelo sembra una meditazione dell’episodio dell’Effatà, a partire dal senso della vista. La richiesta indagatoria sulla modalità dell’apertura degli occhi, la testimonianza dell’ex-cieco, l’insistenza sull’identità del guaritore e il sospetto che lo circonda, descrivono da una parte la progressiva apertura di fede dell’uomo che riconosce in Gesù qualcuno che si fa accanto e lo aiuta nel suo bisogno, poi un profeta che agisce in nome di Dio e infine il Signore stesso: «“Tu, credi nel Figlio dell'uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”». Dall’altro lato ci sono invece cecità metaforiche, cioè durezze e chiusure che impediscono lo slancio gioioso del riconoscimento della fede.
Anche il libro dell’Apocalisse, con tutti i suoi simboli, parla dell’apertura dei sigilli che chiudono il rotolo che contiene il senso della storia e di ogni storia.
Abbiamo tutti bisogno di accogliere o rinnovare l’Effatà di Gesù sulle nostre vite, sulle nostre storie segnate a volte da fatiche o rigidità: si apriranno nuove vie anche nei deserti e ci ritroveremo presto in ottima compagnia.