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Christa - Edwina Sandys, 1974, bronzo su croce di lucite, 4 x 5 piedi, collezione dell'artista. Foto: Adam Reich. Per gentile concessione di Edwina Sandys, tratta da researchgate.net


Perché Gesù è morto in croce?

di Dario Culot

Quando ci troviamo davanti a una domanda, una risposta che innesca una seconda domanda non è una risposta valida, perché non è stata esauriente. È esauriente, e quindi valida, solo quella risposta che pone definitivamente fine alla domanda, nel senso che acquieta completamente chi ha fatto la domanda. Spesso però, nella vita, ci sono domande (dei perché?) più grandi di tutte le risposte, nel senso che nessuna risposta è mai di per sé totalmente esauriente. Credo che una domanda senza risposta univoca sia ancora questa: ‘perché Gesù è morto in croce?’

Nel caso della morte in croce non guardiamo ovviamente al mero fatto, ma alle interpretazioni che si sono date a questo fatto, e vediamo subito le contraddizioni che si trovano già nei vangeli canonici che hanno permesso a due versioni contrapposte di restare entrambe vive e presenti nella dottrina cristiana, anche se da punto di vista logico le due interpretazioni non possono coesistere, essendo fra di loro del tutto incompatibili.

La cosa forse più curiosa in quella vicenda sembra comunque questa: il sinedrio vuole uccidere Gesù ma non ha il potere giuridico per farlo e quindi non riesce a farlo. Pilato vuole salvare Gesù per umiliare il sinedrio, ma ragioni politiche gl’impediscono di farlo. Entrambi faranno ciò che non vogliono.

1. In Marco e Matteo, la morte di Gesù finisce col grido straziante: “Perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34; Mt 27,46).

Possono dirci fin che vogliono che questo è solo l’inizio del Salmo 22, nel quale si rende lode a Dio non per quello che Egli è, ma per quello che ha fatto (Sal 22, 22-26): non lo ha respinto, lo ha ascoltato ed ha raccolto il suo grido di aiuto, tanto è vero che poi lo risuscita. E siccome in allora tutti conoscevano come finiva il salmo[1] non si dovrebbe pensare a un grido di abbandono, ma a un inno di lode. Però, se così fosse, come mai chi era vicino al crocifisso pensava che Gesù stesse chiamando Elia e gli ha dato da bere un po’ di aceto, oppure è rimasto a vedere come andava a finire? (Mc 16, 35s.; Mt 27, 47ss.). Se cioè Elia arrivava per davvero? Come mai nessuno dei presenti ha riconosciuto che Gesù stava pregando e lodando Dio, dicendolo chiaramente? Eppure anche i giudei presenti facevano parte di quei tutti che dovevano conoscere bene quel salmo. E ancora, come mai Gesù grida a gran voce? Quando si prega non si grida. I vangeli più volte dicono che Gesù pregava, ma mai – neanche nella notte sul monte degli ulivi (Mc 14, 35; Mt 26, 39),- si dice che Gesù pregava gridando.

Ora, se nel Getsemani Gesù aveva accettato, anche se controvoglia, di morire pensando che questo fosse il disegno del Padre (Mc 14, 36;Mt 26, 39; Lc 22, 42:“non la mia, ma la tua volontà”), in croce sembra non avere più la sensazione di morire per volere di Dio. Infatti, proprio in quel momento di maggior necessità, si sente abbandonato da Dio. Forse, non sentendo Dio vicino a sé, ha proprio l’impressione di star morendo per volontà di uomini malvagi, come del resto nella storia è capitato a migliaia e migliaia di vittime. Ma allora sta forse morendo per nulla? A me sembra chiaro che qui Gesù muore nel dubbio, perché nel momento cruciale si sente abbandonato; il che dimostrerebbe una volta di più che Gesù è uomo, visto che in quel momento traballa tutto il suo Credo. Se Gesù fosse stato Dio non avrebbe potuto avere dubbi di sorta.

2. In Giovanni, invece, Gesù non sente affatto la disperazione dell’abbandono, e dopo aver dato tranquillamente istruzioni alla Madonna e al discepolo prediletto (Gv 19, 25-27), conclude: “è compiuto!” (Gv 20, 30). E cosa è compiuto? Il fatto che il mondo è stato salvato da lui, come Gesù aveva chiaramente detto a Nicodemo (Gv 3, 17: ‘Dio ha tanto amato il mondo da mandare suo figlio per salvarlo, non per giudicarlo’)[2]. Si è anche realizzata la profezia che all’inizio aveva fatto Giovanni Battista: “Ecco l’agnello di Dio…” (Gv 1, 29), ed è chiaro che l’agnello verrà alla fine sacrificato come venivano sacrificati gli agnelli pasquali, per salvare il popolo[3].

Ovviamente non è pensabile che il fatto storico si sia verificato i questi termini, come racconta Giovanni. Anche solo vedere dal vivo una crocifissione doveva essere per qualsiasi persona un’esperienza brutale e traumatizzante, a meno che non fosse un sadico. Subirla poi da vittima implica che la sofferenza della persona crocifissa doveva essere talmente spaventosa che sicuramente non è credibile che questa persona avesse tempo e voglia di dare istruzioni ai suoi discepoli.

In ogni caso, in tutti i vangeli Gesù muore perché fino alla fine ha seguito il piano di Dio. Ma mentre nei due sinottici muore nel dubbio, perché nel momento cruciale si sente abbandonato, nel quarto vangelo muore sentendo di aver compiuto questo piano divino.

È consequenziale, allora, che sul punto si arrivi a due interpretazioni diverse.

1a) La prima porta a concludere che Gesù è un uomo, nel quale Dio si è prepotentemente manifestato. Ma come tutti gli uomini anche Gesù non è esente da dubbi.

Gesù non si è autoproclamato Figlio di Dio,[4] ma la predilezione di Dio per Israele si è concentrata in questo figlio di Israele quando Gesù ha liberamente scelto di farsi battezzare e iniziare un certo percorso. È Dio, a quel punto, che ha scelto Gesù facendolo suo figlio, ma non lo ha precedentemente spinto a battezzarsi: la scelta di farsi battezzare da parte dell’uomo Gesù è stata del tutto libera. Gesù non si è mai fatto Dio, anche se i giudei, vedendolo perdonare i peccati, gli contesteranno appunto che lui, uomo, si è fatto Dio (Gv 10, 33: “ti lapidiamo per bestemmia, perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”).

Alla fine muore contro la volontà di Dio, perché gli uomini di potere non sopportano che si tocchino i loro privilegi e il sistema sociale da essi costruito. Gesù muore per decisione umana, semplicemente perché il giusto viene rifiutato, e il Padre non interviene nella storia umana[5] pur stando a fianco del giusto. Teniamo anche presente che con la crocifissione non solo Gesù, ma anche quel Dio che Gesù ha manifestato è stato rifiutato da chi lo ha condannato. Tuttavia il progetto di Dio prosegue, tant’è che ancora oggi, dopo duemila anni, anche se l’insegnamento di Gesù è stato disatteso mille volte, il messaggio non è affatto scomparso, anzi continua. Come mai? Forse perché il Dio di Gesù[6] è uno che ci permette di rialzarci anche se cadiamo non una, ma mille volte. “Vieni, sognatore devoto, vagabondo, poco importa… anche se hai infranto i tuoi voti mille volte…” sono le parole del grande poeta persiano Rumi, non un cristiano ma un musulmano sufi,[7] il quale aveva capito già nel 1200 che in ogni cuore alberga soprattutto un grande desiderio di accoglienza, mentre poco ci interessa come uomini un Dio che applica una giustizia divina perfetta, che è Altissimo, Santissimo, Saggissimo. Sapendo di essere sempre accolti, di trovare la porta di casa del Padre sempre aperta, Gesù ci ha veramente consegnato una Buona Novella.

2a) In Giovanni, più volte Gesù – con quel “Io sono” - sembra farsi divino perché nel roveto ardente (Es 3, 14) Dio si presenta appunto con “Io sono”, verbo che in realtà abbraccia non solo il presente, ma anche il passato e il futuro[8].

Gesù stesso sembra intendere la sua missione alla luce di Is 53, e identificandosi con questo servo obbediente accetta di morire per portare a termine la sua missione, perché la sua morte è utilmente prevista da Dio come nel caso del servo sofferente. Gesù, come il servo, dà la sua vita per tutti. La sua è una morte vicaria – cioè al posto nostro,- per noi empi peccatori.

Ovvio che in quest’ottica giovannea Gesù non passa le ultime ore prima della cattura angosciato (Mt 26, 37ss.; Mc 14, 33ss.) e non suda sangue (Lc 22, 44). La morte diventa la sua apoteosi. Ma ricordiamoci che, nella mentalità dell’epoca, la croce non era sicuramente vista come sacrificio rituale,[9] bensì come una morte infamante, tanto che per i primi tre secoli non ci si fa il segno della croce: si provava ancora troppa vergogna.

Paolo, da buon fariseo, spiega che il perdono dei peccati può avvenire solo nel Tempio, attraverso i sacerdoti che offrono il sacrificio di sangue, e aggiunge che senza sangue non ci può essere perdono (Eb 9, 22). Si sa che nel sangue c’è la vita (Gn 9, 4) per cui solo la vita cancella la morte. La vita del servo cancella la morte secondo la teoria giudaica dei sacrifici. Per render accettabile la morte infamante di Gesù, Paolo ha cercato di spiegarla come un sacrificio, concetto che gli ebrei ben comprendevano.

Ma allora, per concludere, se crediamo che la Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento) sia stata scritta sotto dettatura da Dio, dovrebbero prima spiegarci come si può arrivare a due conclusioni diametralmente opposte, visto che in Dio non ci può essere contraddizione. Se invece pensiamo che la Bibbia sia stata solo ispirata da Dio, siamo allora davanti a un lento cammino di conoscenza del volto di Dio, ad opera degli uomini. Non siamo davanti a un libro assertivo, ma a un libro che continua a interpellarci ogni giorno, e ogni giorno possiamo trovare risposte nuove e più convincenti di quelle di ieri. In altri termini, la Bibbia non è tanto un libro che dà risposte, quanto un testo che pone tante domande alle quali poi noi uomini possiamo dare la nostra risposta. Ecco allora che la prima interpretazione della morte (quella sinottica) ci permette di affermare che con Gesù c’è un altro modo per perdonare i peccati: è sufficiente accogliere la Parola di Dio per cancellare il peccato del mondo. È attraverso quel tipo di vita vissuto dal Gesù terreno che si può superare la morte. La morte di Gesù è solo un incidente di percorso, che può capitare a tutti coloro che mantengono ferma la rotta, scontrandosi col potere.

Del resto questa linea era stata già sostenuta anche da alcuni profeti biblici:

- Osea ricorda che Dio vuole misericordia, non sacrifici (Os 6, 6);

- Michea (Mi 7, 19) ricorda che Dio avrà di nuovo pietà di noi: calpesterà le nostre colpe e getterà i nostri peccati in fondo al mare, così mostrando ancora la sua fedeltà e il suo amore, senza alcun spargimento di sangue. Dio non ha bisogno di niente, neanche delle nostre penitenze, dei nostri sacrifici, dei nostri atti di dolore; tanto meno del nostro sangue.

Posso facilmente accettare una simile immagine di un Dio misericordioso, mentre mi fa orrore quella di un Dio che chiede sangue e sofferenza, per poter essere in seguito felici nell’al-di-là. A me sembra inaccettabile qualunque pretesa di spiegare la sofferenza a partire da Dio, perché simile spiegazione finisce per dire che la sofferenza è qualcosa di buono, che profuma di divino, il che – almeno per me,- è del tutto incomprensibile. L’unica sofferenza che Dio accetta è quella che scaturisce dalla lotta terrena contro la sofferenza, come ha dimostrato Gesù, con la sua vita. E mi sembra che Gesù, con la sua vita, abbia anche chiaramente dimostrato che si può effettivamente essere perdonati senza ricorrere allo spargimento di sangue (pensiamo a come si è comportato con Zaccheo o con l’adultera): almeno lui credeva in questo Dio. Nella sua vita terrena è apparsa la profondità divina dell’amore, le cui caratteristiche essenziali sono soprattutto due: la totale disponibilità al dono di sé e la certezza che il dono di sé porta la vita. È questo, e nessun’altra, la via per incontrare Dio[10].

Il Dio di Gesù non chiede e non porta sofferenza. Accettando questa immagine di Dio, ricavabile dai sinottici, non c’è più bisogno del Tempio, dei sacerdoti e dei sacrifici (ecco perché è una via che non piace molto all’alta gerarchia, che grazie alle sue regole vive bene in questa vita con i suoi privilegi). La via della croce, con tutto il suo sangue, è una via che si attaglia al servo sofferente, ma non è stata scelta da Gesù. La fine di Gesù corrisponde alla fine di centinaia di altri martiri che per coerenza con la loro vita tesa a predicare uguaglianza, pace, solidarietà, sono stati uccisi dal potere, non da Dio. Del resto sarebbe assurdo che questo Dio vieti l’omicidio (5° comandamento), chieda perfino conto del sangue umano versato dall’omicida visto che anche l’uomo ucciso è fatto a immagine e somiglianza di Dio (tanto che la Bibbia impone che l’omicida sia a sua volta ammazzato e che il suo sangue sia a sua volta versato - Gn 9, 4s.);[11] ma poi, inopinatamente, Dio per primo si smentirebbe e progetta che il suo figlio prediletto sia ammazzato. Allora, per essere coerenti fino in fondo, se la Bibbia fosse stata dettata da Dio si dovrebbe spargere anche il sangue di questo Dio omicida, perché mandante dell’omicidio di Gesù.

E ancora, se la morte di Gesù fosse stata decisa e organizzata da Dio, che razza di vero uomo ne verrebbe fuori? Che esempio potrebbe offrire questo Gesù per coloro che vogliono seguirlo? Infatti vorrebbe dire che anche chi vuol seguirlo deve essere a sua volta vittima in totale sottomissione e obbedienza, in quanto tutti dobbiamo placare l'ira di Dio per restituirgli l'onore che gli abbiamo tolto con i nostri peccati?[12]

Certo, guardando le cose da lontano, se è già inaccettabile che il più grande profeta di Dio sia sconfitto dagli uomini, è evidentemente ancor più inaccettabile l’idea che il figlio di Dio possa essere sconfitto e possa essere condannato a morte come un qualunque malfattore umano. Ma abbiamo visto più volte che i pensieri di Dio non corrispondono ai pensieri degli uomini[13]. Tutti i vangeli continuano a dirci che Dio è venuto, ma non è stato accolto, proprio perché si è manifestato in maniera talmente nuova e diversa da risultare assai poco digeribile non solo al potere, ma in genere alla società.



NOTE

[1] A quell’epoca per citare un testo, un salmo, bastava richiamare il solo versetto iniziale: tutti sapevano a cosa ci si riferiva. Allora quel salmo che inizia “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”, è la preghiera di sofferenza di un uomo giusto condannato a morte, ma non è l’urlo di sconforto e di disperazione di un uomo che si sente abbandonato da Dio: si deve leggere tutto il salmo, che finisce in un ringraziamento e in un riconoscimento di lode: “proclamerò il tuo nome all’assemblea”. Dunque se il salmo inizia con un lamento disperato, ma termina con un accento trionfale, si può pensare che Gesù, pur crocifisso, stia rinnovando completamente la fiducia nel Signore, e non si dispera per l’abbandono.

[2] Gesù vuole offrire una vita piena (Gv 21, 30), e spiega a Nicodemo (Gv 3, 16-18) che Dio non pensa a condannare, ma a dare pienezza di vita attraverso una scelta d’amore totalizzante. Come aveva spiegato don Carlo Molari, Gesù salva perché Dio in Lui si fa presente ed opera; Gesù è stato costituito Messia e Signore (cfr. At 2,36) perché ha svelato, nella sua esistenza terrena, i tratti essenziali dell'azione e della parola divine che salvano.

La efficacia salvifica dei suoi gesti di perdono, di compassione, di misericordia ha la medesima efficacia dell'Amore creatore di Dio. Per questo Gesù è stato chiamato «icona di Dio» (2 Cor 4,4), «l’immagine del Dio invisibile» (Col 1,15).

[3] Ma per salvare l’umanità non occorreva certamente che Gesù morisse sulla croce: non si può negare che Dio avrebbe potuto perdonarci i peccati per qualunque azione di Cristo (e tale perdono sarebbe già redenzione), se così fosse piaciuto a Lui (Rahner K., Saggi di cristologia e di mariologia, ed. Paoline, Roma, 1965, 73 e 75). Quindi un sorriso di Gesù bambino in culla avrebbe potuto già portare lo stesso risultato. Insistendo nel dire che la croce è stata necessaria per la salvezza, si torna all’idea di un Dio sadico e crudele.

[4] Ci sono due passi nei vangeli sinottici nei quali lo stesso Gesù si attribuisce la qualità o la condizione di profeta (Mc 6,4; Lc 13,34s.). Anche la gente pensava che Gesù fosse uno dei profeti (Mt 16, 14; Mc 8, 28; Lc 9, 19). Convinzione che si ripete anche in Gv 6, 14s. È stata la Chiesa, dopo vari secoli, a dire che era Dio.

[5] Ricordiamo di quel che si è detto della visione eteronoma e autonoma del mondo, al n.639 di questo giornale.

[6] Il Dio di Gesù è diverso dal Dio che di solito preghiamo, quello che sta lassù sopra il cielo. Il Dio di Gesù è quel Dio che sta in terra, “avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25, 42s.)

[7] Riportate da Bonanti G., Vieni, chiunque tu sia, “Fraternità di Romena”, n.2/2014, 10.

[8] Vedi comunque quanto detto in proposito nel mio articolo rispondendo alla domanda su “Io sono” al n.598 de Il giornale di rodafà.

[9] Occorreva seguire un rituale sacro, in un luogo sacro, da parte di un sacrificante sacro: Gesù muore invece fuori delle mura della città, senza alcun rituale sacro, inchiodato da soldati pagani sulla croce. Se proprio si volesse ancora parlare di sacrificio, non si deve parlare di un sacrificio rituale, ma al più di un sacrificio esistenziale, cioè uno stile di vita improntato alla fraterna relazione con gli altri: ‘Non dimenticate di fare il bene e il reciproco aiuto, perché sono questi i sacrifici graditi a Dio’ (Eb 13, 16) (Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 192s.).

O come si legge in Isaia: «Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero?» dice il Signore «imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova» (Is 1, 11 e 17).

[10] Maggioni B., Dio nessuno l’ha mai visto, Vita&Pensiero, Milano, 2011, 119.

[11] Da qui, per secoli, l’uomo ha inflitto la pena di morte.

[12] Castillo J.M., Vittime del peccato, Fazi, Roma, 2012, 186.

[13] Is 55, 8: i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie.