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Cristianesimo e religioni del libro


di Dario Culot

Fermate per strada un cristiano, convinto credente o anche non tanto convinto, e domandategli se la sua è una religione monoteista. Vi dirà certamente di sì: lo sanno tutti che cristianesimo, ebraismo ed islamismo sono le tre grandi religioni monoteiste. Beh! forse tutti proprio no: infatti se rivolgete la stessa domanda a un musulmano, convinto credente, vi dirà che i cristiani non sono affatto monoteisti, in quanto sostengono la dottrina della Trinità,[1] per cui sono politeisti. Per gli ebrei ortodossi l’adorazione di Gesù costituisce un gravissimo problema che mette in crisi proprio il monoteismo. Abbiamo fatto solo una domanda, e già ci troviamo davanti a tre opposte verità teologiche, sostenute da tre persone che magari sono intimamente dei veri credenti.

Ognuna di queste tre religioni rivelate si rifà poi al proprio Libro sacro, che ovviamente è esclusivo della propria religione e diverso rispetto a quello di ogni altra religione. Il possesso del Libro crea la convinzione e anche la pretesa di essere l’unica assoluta rivelazione della divinità, a riprova della quale rivendica appunto il possesso del suo testo sacro rivelato, cioè comunicato o scritto direttamente da Dio. Dunque, ogni religione monoteista, anche quando cerca di non esprimersi violentemente, vive quanto meno con un senso di superiorità; compresa la nostra[2]. Per ogni religione monoteista vale allora l’equazione: differente religione eguale religione inferiore. Una persona che si autostima perché osservando scrupolosamente le norme della propria religione è convinta di essere gradita a Dio, si trasforma in persona religiosamente orgogliosa: è una persona che non dubita e non può dubitare; inevitabile che questa persona priva di dubbi avverta un inconfessabile senso di superiorità per tutti quelli che non sono come lei (Lc 18, 11: “perché lui non è come gli altri”): i grandi osservanti sono i grandi disprezzatori[3]. Nulla di nuovo: anche nella Scrittura, mentre i profeti dubitano (Mt 11, 2: Giovanni Battista, ad esempio, dubita che Gesù sia il Messia), i sacerdoti, che non hanno mai dubbi e sanno già tutto, disprezzano Gesù (Gv 9, 24: noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore). E i sacerdoti di tutte le religioni sono felici quando una persona abbandona la sua religione inferiore per aderire all’unica vera: la loro. Peccato che Gesù non abbia mai chiesto a nessuno di abbandonare la propria religione; anzi ha riconosciuto la grande fede di persone che seguivano altre religioni: pensiamo alla donna cananea (Mt 15, 28) o al centurione romano (Mt 8, 10).

Il magistero di ogni religione rivelata, ed il cristianesimo lo è (n.2244 Catechismo[4]), assicura di essere l’unico in possesso esclusivo della vera risposta divina, mentre nega che in un’altra religione possa esserci un vero portavoce di Dio, per cui nega che in un’altra religione si possa trovare una risposta divina. Per ogni religione, la parola e la norma divina giunge unicamente attraverso il proprio libro sacro, e non si deve cercarla altrove: è convinta che, altrove, Dio tace.

Ma sentiamo ora cosa ha da dire in proposito chi non è affatto credente: “Ho sempre pensato che essere intimamente credenti non possa essere troppo diverso dall' essere intimamente liberali, o socialisti, o vegani. Si tratta di amare e riconoscersi in delle idee, in una visione della società e del mondo, e le idee non sono sacre e intoccabili solo perché noi crediamo così fortemente in esse; vivono nel dibattito pubblico, confrontandosi e dovendo convivere con idee diverse e a volte opposte. Spero di non offendere nessuno se affermo che l’esistenza di un creatore, l’inferno, il paradiso, l’immortalità dell’anima, il giorno del giudizio eccetera siano, fino a spettacolare prova contraria, soltanto delle idee, delle opinioni che si è liberissimi di sostenere, purché non si tenti di imporle agli altri come un tabù inviolabile”[5]. Mi sembra non ci sia proprio nulla da opporre razionalmente a questo modo di ragionare.

Ora, però, torniamo al nostro passante musulmano e proviamo a fargli una seconda domanda: il cristianesimo è una delle religioni del libro? Questa volta vi risponderà decisamente di sì. Probabilmente anche la maggior parte dei cristiani vi darà la stessa risposta positiva, avendo almeno qualche volta sentito dire che cristianesimo, ebraismo ed islamismo sono anche ricordate come le tre grandi religioni del libro, dove per religione del libro si intende per l’appunto un libro rivelato o scritto da Dio stesso, e perciò sacro, nel quale è fissato in maniera definitiva e immutabile ciò che gli uomini devono o non devono fare. Ma se per i musulmani il cristianesimo è una religione del libro,[6] secondo la dottrina cristiana ufficiale non lo è affatto. Dunque, quando il cristiano afferma che il cristianesimo è una religione del libro ha semplicemente assorbito, magari senza rendersene conto, un principio islamico. Non c’è da stupirsi: fra occidente e islam gli scambi sono sempre stati intensi, molto più di quanto oggi immaginiamo. C’è ad esempio un verso del nostro sommo poeta dell’inizio del 1300 che dà un’immagine stupefacentemente puntuale e attuale di cosa sia l’islam: E ‘in la sua voluntade è nostra pace[7]. Islam deriva dalla radice slm (al pari dell’ebraico, anche questa lingua semitica scriveva solo le consonanti, senza vocalizzare), da cui deriva sia islam che significa sottomissione[8] alla volontà di Dio, ma anche salam[9] che significa pace, benessere. Forse nel medioevo, che noi semplicisticamente cataloghiamo come l’era dei secoli bui, i popoli si conoscevano meglio di oggi. Perché oggi la maggior parte di noi sa veramente poco dell’islam.

Tutte e tre queste religioni, che solo i cristiani qualificano come monoteiste, rivendicano di essere nate dalla rivelazione divina (soprannaturale), in quanto Dio si è rivelato agli uomini attraverso un suo portavoce: Mosè e gli altri profeti per l’ebraismo, Gesù per il cristianesimo, Maometto per l’islamismo[10]. Bibbia, Vangelo e Corano sono conseguentemente i grandi libri in cui Dio ha espresso la sua rivelazione. Nelle altre religioni, invece, la ricerca del divino avviene partendo dalla ragione umana, per cui sono considerate religioni naturali, anche se poi la ragione umana arriva a scoprire un valore assoluto cui dare la propria adesione. Si parlerà di religione trascendente quando questo valore assoluto è esterno al mondo: si pensi il buddhismo. Per alcuni, però, il buddhismo non è neanche una religione giacché non parla di Dio: in effetti avendo capito che Dio è trascendente (cioè al di là dei limiti ultimi ai quali la mente umana può arrivare), il buddhismo ritiene più logico restare ancorati a quello che si può sapere, all’interno delle possibilità umane immanenti. Se Dio è trascendente non è infatti possibile stabilire alcun rapporto con Lui, perché noi abbiamo accesso solo alla realtà immanente. Invece in ognuna delle tre religioni rivelate, anche se Dio è trascendente, si è sicuri di sapere cosa ha detto e cosa vuole Dio, convinti che Lui stesso ce lo ha comunicato.

Se andiamo a scavare appena un po’ più a fondo, scopriamo anche che, sempre secondo l’islam, le religioni del libro non sono affatto le sole tre di cui noi abbiamo sentito parlare. Basta leggere l’enciclopedia elettronica Wikipedia: «Col termine Ahl al-Kitab, letteralmente “Gente del Libro”, la giurisprudenza islamica si riferisce ai fedeli di quelle religioni che fanno riferimento a testi ritenuti di origine divina dallo stesso Islam: Torah[11] per gli ebrei, Injil (Vangelo) per i cristiani, Avesta per gli Zoroastriani o Veda per gli Induisti». Come mai noi abbiamo sentito parlare solo di tre religioni? Forse perché fra noi e l’India c’è il cuscinetto dell’islam, gli induisti non li abbiamo mai presi in seria considerazione, non avendo con loro alcun contatto: eppure sono un miliardo e passa di persone, e alla fin fine sono monoteisti pure essi,[12] visto che credono in Brahman, la realtà assoluta che tutto abbraccia. “Ma come?” ci chiediamo stupiti “non ci hanno sempre insegnato che l’induismo è politeista?” La realtà è che l’induismo appare politeista a livello del popolino, mentre a livello colto mira ad un unico Dio[13]. Ma se è per questo anche il nostro popolino prega più spesso i singoli santi che Dio, per cui dall’esterno anche il cristianesimo può apparire politeista: i santi hanno sostituito gli dèi dell’antico pantheon politeistico. E perché abbiamo questa tendenza a pregare i santi piuttosto che Dio? Perché con le miriadi di santi è stato riprodotto nel cristianesimo il rapporto utilitaristico sacro che era proprio del Mediterraneo pagano politeista: “tu mi fai la grazia, io ti do l’offerta…”. Uno scambio di favori che non ha nulla a che fare col vero cristianesimo[14]. E gli zoroastriani? Neanche sappiamo chi sono, dove vivono e in cosa credono: per noi è come se non esistessero. E i sikh? Il loro guru Nanak Dev Ji, stufo delle sanguinose faide fra induisti e maomettani, che invece vivevano gomito a gomito e facevano fatica a sopportarsi nell’India di allora (ma non molto è cambiato oggi), cominciò a predicare che solo la via dell’amore permette a tutti di convivere pacificamente. Anch’essi sono decisamente monoteisti, e si ispirano dal 1699 a un libro sacro. Ma noi occidentali, anche di questa che costituisce la quinta religione nel mondo per numero di credenti, non sappiamo praticamente nulla: non a caso negli Stati Uniti, dopo l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre, alcuni bianchi cristiani avevano ammazzato dei sikh convinti che fossero musulmani solo perché portavano il turbante[15]. Insomma, sulle altre religioni del mondo, noi cristiani abbiamo poche idee, ma in compenso confuse.

Possiamo dire di avere idee chiare almeno sul cristianesimo? I ferrei tradizionalisti cattolici sono certi di sì; io ho più di qualche dubbio, e sono convinto che soprattutto nel campo religioso non bisogna mai annegare nella certezza assoluta dei risultati o delle verità che si pensano già saldamente acquisiti, perché ogni conoscenza è sempre e solo approssimativa. Che del Dio Trascendente non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita, appartenendo noi a un ambito diverso, lo riconosce perfino il nostro stesso papa emerito,[16] ancora l’unico vero papa secondo i nostri pii conservatori. Se Dio trascende tutti, vuol dire che nessuno lo può abbracciare, né comprendere, né descrivere, né analizzare,[17] (conseguentemente: né conoscere, né possedere) per cui è bene abituarsi all’idea che, nel campo religioso, la cosa di cui normalmente si è assolutamente sicuri difficilmente è anche vera, sì che è opportuno diffidare di chi sostiene di aver capito tutto, di avere già la Verità in tasca, magari tacciando di relativismo tutti i dubbiosi che per lui mancano di fede. Forse dovremmo imparare a porci domande, a coltivare dubbi, a metterci in discussione, e a guardare con sospetto l’uniforme monocoltura che la Chiesa ha voluto imporci per secoli dall’alto del suo potere autoritario. Secondo voi, infatti, è più bello un giardino con tanti tipi di fiori e piante diverse, oppure una monocoltura? E come non ricordare che, se libertà e dignità sono certamente anche valori cristiani, solo la tolleranza completa la libertà, e la tolleranza in Europa è emersa piuttosto tardi, come salutare reazione alle guerre di religione imposte da implacabili credenti fondamentalisti che si vedevano come gli unici veri cristiani, e che una volta preso possesso delle istituzioni negavano ogni spazio alla critica e all’opinione diversa: quando la povera gente, stufa di ammazzarsi in nome dello stesso Dio, accettò di relativizzare le rispettive Verità, si cominciò finalmente a vivere meglio[18]. Invece chi si rifà a un dio che sta dalla sua parte, e che gli ha conferito l’autorità per imporre la vera Verità, è portato istintivamente a dividere le persone in buone e cattive, e a sostenere che i cattivi bisogna combatterli[19]. Autorità e potere sono stati per secoli i pilastri su cui si è appoggiata la gerarchia della Chiesa cattolica, con conseguente apartheid per chi non si sottoponeva all’autorità del magistero e non accettava il suo insegnamento. Ed è indubbio, purtroppo, che l’autorità[20] ha prevalso sulla misericordia.

Uno dei maggiori teologi evangelici, il francese Henri Blocher, ha focalizzato un punto in comune fra le tre grandi religioni, impropriamente da noi definite come le uniche monoteistiche e che dovremmo più esattamente definire abramitiche avendo tutte Abramo come padre comune: «Ebrei, cristiani, mussulmani sono accumunati dall’autorità che esercita il Libro»[21]. Teniamo ben a mente questo termine essenziale, perché il cristianesimo che ci è stato insegnato è inscindibilmente legato al concetto di autorità, e ciò che distingue l’autorità religiosa è l’assenza di dubbi: se il libro è ispirato o dettato da Dio, ivi deve essere contenuta l’immutabile volontà di Dio per tutte le generazioni; di qui l’autorità del libro che diventa sacro e, ovviamente, l’obbligo di obbedire alla volontà di Dio e alle sue leggi divine. Ma chi interpreta queste leggi divine e la volontà di Dio? L’unica autorizzata a farlo è sempre l’autorità religiosa,[22] il magistero. Certo, ogni interpretazione vuol catturare la realtà oggettiva, ma qui l’obbedienza si risolve nel credere voluto da Dio ciò che ha semplicemente deciso il magistero.

Ne consegue che ogniqualvolta un gruppo di persone interpreta in regime di monopolio le asserzioni di un libro che si proclama sacro, questo gruppo diventa automaticamente un centro di potere, per lo meno fintanto che riesce a convincere gli altri di essere l’unico a possedere le chiavi della verità custodita nel libro sacro, al quale bisogna obbedire seguendo appunto le indicazioni che solo il gruppo di sapienti privilegiati sa dare. Il potere, infatti, è nient’altro che la probabilità che una persona o un gruppo riesca a far prevalere la propria volontà anche di fronte a una opposizione,[23] e l’autorità serve a legittimare il potere e a renderlo stabile. In questo senso nessuno può negare che l’istituzione gerarchica vaticana, la quale si presenta come rappresentante di Dio in terra (con il papa vicario di Cristo e sotto di lui i vescovi successori degli apostoli[24]), e pretende di esprimere la sua volontà (perché lei sola è autorizzata a farlo), sia un centro di potere[25]. A conferma del fatto che l’istituzione Chiesa è stata da subito intesa come centro di potere sta il fatto curioso che, fino al secolo scorso, si può dire che nessuno aveva scritto un trattato teologico sulla chiesa. Erano i giuristi che si occupavano della Chiesa, scrivendo trattati de auctoritate et potestate ecclesiastica. Ciò vuol dire che, per l’appunto, si pensava nella Chiesa al problema del potere: chi è legittimato ad esercitare quel potere, come si esercita, come ci si coordina col potere civile (e non è un caso se anche la curia romana è presto diventata uno dei grandi poteri politici in Europa: l’opposto di quanto aveva fatto Gesù in vita).

Poi ci dicono e ci vogliono convincere che comunque tutti questi libri sacri parlano di amore, spiegando che il mondo non è nato dal caso, ma da una precisa volontà superiore. Nonostante le apparenze (perché oggettivamente i libri sacri non parlano solo di amore), evidentemente il tentativo riesce, forse anche perché, come diceva Gandhi, se la somma delle attività umane desse un totale distruttivo, il mondo sarebbe già finito da un pezzo; per fortuna l’amore, anche se non fa notizia, continua a sostenere questo pianeta[26]. Nel pensiero biblico in particolare emerge la concezione che la trama ambigua delle vicende del mondo sia sempre intessuta di una promessa originaria di bontà, di uno sguardo sorgivo favorevole, di una parola benedicente[27] e riconoscente, che senza negare la presenza del male, assegna però un limite e un confine al suo dilagare. In questo caso l’uomo virtuoso è colui che stringe alleanza con questa origine promettente e sovrabbondante di vita e si mantiene fedele ad essa, anche nelle avversità. La scaturigine della vita è talmente ricca e traboccante che ripropone sempre nuove forme di alleanza all’uomo peccatore, a prescindere dalla situazione nella quale egli si sia andato a cacciare[28].

In estrema sintesi, questo è il messaggio sotteso nelle Scritture. Però la scrittura ha sempre un grosso difetto: blocca il mondo e non lo lascia più scorrere, mentre lo Spirito deve avere sempre lo spazio per muoversi. Una parola, una volta scritta, resta cristallizzata, per cui fa più fatica a restare viva e attuale: ecco perché l’apostolo Paolo (2Cor 3, 2-3) dice che lo Spirito del Dio vivente non si vede sulle immutabili tavole di pietra della legge, ma nei cuori. Anche se nei libri sacri fossimo certi di trovare la rivelazione divina, ogni forma storica della rivelazione è sottoposta, per la natura delle cose umane, a un processo di progressiva degradazione. Dal momento iniziale, caratterizzato da una parola nuova che ridona vita a tutta la realtà appassita, si passa ad altri stadi di continua diminuzione dell’intensità originale: quello della sistemazione ideologica e moralistica, quindi quello dei riti, infine quello dove le parole dominano come succedaneo delle azioni e i precetti creando dei piissimi ma amorfi osservanti della religione, sì che la fede diventa più che altro devozione e pietismo[29]. Quando la spinta spirituale si esaurisce si allarga l’istituzione.

Papa Pio XII condannava per relativismo dogmatico quegli audaci[30] i quali ai suoi tempi avevano cominciato a sostenere che i misteri della fede non possono mai esprimersi con concetti immutabilmente ed eternamente veri, ma solo con concetti approssimativi necessariamente sempre mutevoli, con i quali la verità viene in un certo qual modo manifestata, ma anche deformata. Lo stesso papa vedeva inoltre «la massima imprudenza nel respingere o privare del loro valore i concetti e le espressioni che da persone di non comune ingegno e santità, sotto la vigilanza del sacro Magistero e non senza illuminazione e guida dello Spirito Santo, sono state più volte con lavoro secolare trovate e perfezionate per esprimere sempre più accuratamente le verità della fede».

Ancora oggi molti sentono la necessità di vivere secondo regole chiare e ben precise: o bianco o nero; servono punti fermi, statici, immutabili, non negoziabili. Con una pennellata illuminante, il Catechismo cattolico olandese,[31] uscito dopo il concilio Vaticano II, ha da tempo risposto a questa preoccupazione, chiarendo come un punto fermo non si identifica con un punto immobile ed immutabile: per un bambino molto piccolo «il punto fermo è sua madre, ma pure quanto mobile! Perché è viva! Essa, infatti, ora è nel cortile, poi in cucina, ora ha un aspetto lieve, ora grave». Perciò, quando gli integralisti con inflessibile intransigenza affermano che non si deve far nessun sconto sui principi, bisogna stare molto attenti a quali sono questi principi. Per fare un altro esempio, nel rapporto di coppia il punto fermo, il principio, è la necessità di avere un rapporto vero e profondo. Questo valore di fondo non cambia, sia che poi si ammetta il divorzio (come nelle Chiese ortodosse), sia che lo si neghi (come nella Chiesa cattolica) rendendo il matrimonio immobile e immutabile.

Perfettamente in linea con questa idea di dinamismo vitale, fondata sull’esperienza che in nessuna parte del mondo basta il già raggiunto,[32] e contrapponendosi all’idea che privilegia la granitica immobilità, il teologo protestante Blocher ha allora messo in evidenza questa differenza basilare nelle tre religioni abramitiche: mentre gli ebrei[33] ed i mussulmani considerano il loro Libro preesistente alla sua manifestazione storica, come una realtà trascendente perché il testo che oggi leggiamo esisteva da sempre presso Dio, per i cristiani il Libro è risultato di un’attività storica dell’uomo. I cristiani, pertanto, non sono «gente del libro, ma possono essere definiti come il popolo della Parola. Quel popolo creato dalla Parola annunciata come Notizia storica»[34]. Su questo è d’accordo anche il magistero cattolico, visto che il cristianesimo viene definito ufficialmente anche dal n. 108 del Catechismo della Chiesa Cattolica come la religione della “Parola di Dio” incarnata in Gesù, che continua a rendercela viva e attuale attraverso lo Spirito Santo, perché se Gesù è vissuto duemila anni fa, lo Spirito continua ad operare fra di noi in ogni generazione. Dunque, nel cristianesimo, non un libro, ma un uomo è la Parola di Dio[35]. Noi “crediamo a” Gesù, quando accettiamo la sua Parola, la sua testimonianza veritiera (Gv 6,30). “Crediamo in” Gesù, quando lo accogliamo personalmente nella nostra vita e ci affidiamo a Lui, aderendo a Lui nell’amore e seguendolo lungo la strada (Gv 2,11; 6,47; 12,44)[36].

Ne consegue che, per il cristianesimo ufficiale, i vangeli, per quanto venerati (n.127 Catechismo), non sono neanche oggi un prodotto definitivamente confezionato, un testo completo e immutabile con le istruzioni su tutto quello che la Chiesa deve fare. Gesù ha indicato semplicemente una via: camminate lungo la via dell’amore (2 Gv 6). Gesù ha dato semplicemente una spinta, ma poi l’energia continua a fluire grazie allo Spirito: siamo quindi davanti a un’energia della creazione che fluisce in continuazione e in continuazione chiede di essere accolta. Poi deve essere la comunità a vivere su questa via, ad avere la capacità di creare in ogni epoca quegli strumenti che favoriscono al meglio la crescita, l’amore, la serenità degli altri, a ri-vivificare continuamente un messaggio proclamato con parole di duemila anni fa, trasformando questi scritti in testi viventi. Tanto più che nel continuo evolversi della storia sorgono sempre nuove domande, alle quali occorre rispondere con parole nuove e vive, mentre non è possibile rispondere con parole vecchie ormai cristallizzate, pensate da altri, per altri problemi sorti nel passato. Non c’è allora da stupirsi se gli stessi credenti di una religione, che fino a ieri si servivano di un determinato strumento culturale, scoprono a un tratto che quello che fino a ieri serviva loro è diventato oggi un ostacolo posto sul loro cammino. Ecco perché occorrono sempre otri nuovi per il vino nuovo, perché se si usano gli otri vecchi il vino nuovo li fa scoppiare (Mc 2, 22). Se i vangeli non vengono continuamente attualizzati si ha inevitabilmente un impallidimento della fede.




NOTE


[1] “Gente del libro, non esagerate nella vostra religione, non dite di Dio altro che la verità, il Cristo Gesù figlio di Maria è un inviato di Dio…Credete in Dio e non dite «tre», smettetela, è meglio per voi, Dio è una sola divinità” (Corano, Sura IV - Le Donne, 171; analogo in Sura IX - Il pentimento, 9, 30). La sura è un capitolo del Corano (che viene dal verbo “recitare, salmodiare”). Ci sono 114 capitoli nel Corano, con oltre 6.200 versetti: a parte quello brevissimo introduttivo, gli altri sono per ordine di lunghezza decrescente. La rivelazione dell’angelo Gabriele a Maometto durò circa vent’anni, dal 610 al 632 d.C. La prima parte avvenne nei pressi de La Mecca (sure meccane, indirizzate soprattutto ai politeisti con inviti alla conversione); la seconda presso Medina (sure medinesi, legate alla necessità di costruire un nuovo sistema sociale).

[2] Virgil J., Credere come Gesù, in www.dimensionesperanza.it.

[3] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 131.

[4] Catechismo della Chiesa cattolica, Testo integrale e commento teologico, ed. Piemme, Città del Vaticano e Casale Monferrato (AL), 1992-93.

[5] Guzzanti C., “Il Fatto Quotidiano” del22/01/2013, 18.

[6] “In verità Noi abbiamo rivelato la Torah, che contiene guida e luce e con la quale giudicavano i profeti degli ebrei che erano sottomessi a Dio, e i maestri e i dottori con il Libro di Dio, del quale era stata loro affidata loro la custodia, del quale erano testimoni" (Corano, a cura di Ventura A., ed. Mondadori, Milano, 2010, Sura V – la mensa, 44) "Dì: Gente del Libro, voi non farete nulla di buono finché non agirete secondo la Torah e il Vangelo e quel che vi è stato rivelato dal vostro Signore” (Sura V, 68).

[7] Dante, La divina commedia, Paradiso, III, 85.

[8] È riduttivo intendere il termine come sottomissione degradante di servo, dovendosi pensare piuttosto a un consegnarsi con fiducia. Teniamo presente che per l’islam, come per l’ebraismo, Abramo è chiamato amico di Dio. Come nel cristianesimo, dunque, abbiamo questa oscillazione fra chi pone l’accento sulla servitù obbediente, e chi sull’amicizia collaborativa.

[9] L’arabo Salam, come l’ebraico Shalom, ricopre un’area semantica ben più ampia del nostro concetto di pace; è vita piena e abbondante (Bianchi E., In principio Dio… e pace non è stata, in Strappare un abbraccio difficile, ed. Cittadella, Assisi, 2006, 32; Ravasi G., Agli uomini che Dio ama, “Famiglia Cristiana”, n.52/2012, 129.).

[10] AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 12s.

[11] La Torah o Pentateuco è costituita dai primi cinque libri della Bibbia, è la cd. legge scritta consegnata da Dio a Mosè sul Monte Sinai. La Torah venne pubblicata all’inizio del IV secolo a.C. Nessun profeta pre-esilio babilonese nomina infatti Torah: ciò significa che, fino a quel momento, la Bibbia non esisteva ancora.

[12] Bhaktivedanta Swami Prabhupada, On the way to Krsna, ed. Bhaktivedanta Book Trust, Bombay, 1981, 62. Antonioli F., Un eremo è il cuore del mondo, ed. Piemme, Milano, 2011, 43: “la molteplicità delle raffigurazioni è null’altro se non la molteplicità del Dio unico. Serve per aiutare noi uomini a capire…ma Dio è uno solo…che non ha nome e non ha forma”.

[13] Per saperne di più sul dialogo cristiano-induista vedasi: Le Saux H., La contemplazione cristiana in India, ed. EMI, Bologna, 1984; Calza S., La contemplazione via privilegiata al dialogo cristiano-induista. Sulle orme di J. Monchanin, H. Le Saux, R. Panikkar e B. Griffiths, ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 2001; Panikkar R., Henri Le Saux. Diario spirituale di un monaco cristiano-samnyasin hindu, ed. Mondadori, Milano, 2002.

[14] Augias C. e Cacitti R., Inchiesta sul cristianesimo, ed. Gruppo editoriale L’Espresso, Milano, 2010, 212.

[15] Dio salvi gli USA, in www.fisicamente.net/Guerra.

[16] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 163s.

[17] Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n.3918/2013, 469; Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 76;

[18] Romano S., Radici cristiane dell’Europa, Erasmo e la Chiesa romana, “Corriere della sera”, 19.6.2013, 41. Vedasi nota precedente per quanto sostiene la PCI.

[19] Maggi A. e Thellung A., La conversione dei buoni, ed. Cittadella, Assisi, 2005, 39.

[20] Teniamo presente che l’autorità si basa sulla distanza fra chi comanda e chi deve obbedire. L’autorevolezza è un’altra cosa, e si basa sulla fiducia.

[21] Blocher H., Studi di teologia, reperibili in www.riforma.net/teologia/religionilibro.

[22] Enciclica Papa Pio XII, Humani generis, preambolo, § II e III, 12.8.1950: l’autentica interpretazione non spetta né ai singoli fedeli, né agli stessi teologi, ma solo al Magistero della Chiesa, istituito da Cristo Signore. Più recentemente, nello stesso senso, vedasi nn. 97-100 Catechismo.

[23] Secondo Weber M., Economia e società, ed. di comunità, Milano, 1961, vol. II, 248, il potere è una volontà manifestata (comando) dal detentore che vuole influire sull’agire altrui (dominato) e influisce effettivamente in modo tale che l’agire del dominato procede come se lo stesso avesse, per suo stesso volere, assunto il contenuto del comando per massima del suo agire (obbedienza).

[24] Fagiolo V., Il synodus episcoporum, in “La collegialità episcopale per il futuro della chiesa”, ed. Vallecchi, Firenze, 1969, 20.

[25] A chi storce la bocca basta ricordare che, in base al diritto canonico attuale, il papa accumula in sé una potestà suprema, piena e universale, che può esercitare liberamente, senza poter essere giudicato da nessuno (can.331-1404) e senza che nessuno possa fare appello o ricorso contro le sue sentenze o decreti (can.333.3).

[26] Scriveva il secolo scorso la viaggiatrice Freya Stark, che aveva visitato Paesi dove neanche gli uomini spesso si avventuravano: “Se mi si chiedesse di elencare i piaceri del viaggio, direi che questo è uno dei più importanti: che così spesso e inaspettatamente si incontra il meglio della natura umana, e vederlo così, di sorpresa e spesso in situazioni talmente improbabili, si arriva, con un piacevole senso di gratitudine, a realizzare quanto ampiamente siano sparse nel mondo la bontà, la cortesia e l’amore” (Marcenaro G., Avventuriera in Siria a dorso di mulo, “Il venerdì di Repubblica, n.1360/2014, 93).

[27]Quando (in Gn 17, 15) Dio cambia il nome di Sara e promette ad Abramo che avrà un figlio, viene usato il verbo al futuro; invece la benedizione è immediata, al presente. Occorre fare attenzione ai tempi verbali per una corretta interpretazione: donerò al futuro, io la benedico al presente, ma essa diviene, frutto della benedizione (dono di vita). La benedizione è trasmettere energia vitale: Io la benedico e perciò diviene, perché la benedizione è atto creativo, non è un augurio la benedizione, come ormai è diventato per noi, ma è comunicazione di vita (Eremo di Monte Giovo, corso su Genesi, La storia di Israele: I patriarchi, tenuta da don Frigerio S., nov.2011- aprile 2012).

[28] Grison D., Alle radici dei dilemmi etici, “Newsletter” Centro Veritas Trieste, 25.1.2013, 1.

[29] Vannucci G., Pellegrino dell’Assoluto, ed. Cens, Liscate (MI), 1985, 52.

[30] Enciclica Papa Pio XII, Humani generis, 12.8.1950, preambolo, in www.vatican.va.

[31] Il Nuovo Catechismo Olandese, ed. Elle Di Ci, Torino, 1969, 443.

[32] Boros L., Noi siamo futuro, ed. Queriniana, Brescia, 1973, 14. Anche per chi non è credente la vita è dinamismo: Gramellini S., Fai bei sogni, ed. Longanesi, Milano, 2012, 218: “Se da quando nasci a quando muori nella tua vita non è cambiato tutto o almeno qualcosa, significa che la vita non ti è servita a niente”.

[33] Per cui, essendo la Torah preesistente alla creazione, del tutto eretico doveva suonare agli ebrei l’affermazione paolina secondo cui la Legge è venuta dopo, nel tempo; e se è inserita nel tempo, è anche destinata a finire col tempo (Gal 3, 17).

[34] Blocher H., Il Cristianesimo e le altre religioni del libro, in Studi di teologia n. 10, 5 (1993) n. 2. Rivista dell'Istituto di formazione evangelica e documentazione (IFED) di Padova. Reperibile anche su internet: www.riforma.net/teologia.

[35] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in https://www.studibiblici.it/conferenze/Simon_Pietro_un_diavolo_in_paradiso.pdf

[36] Enciclica Lumen Fidei, §18, di Papa Francesco.