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Augusto Pinochet - Archivo General Histórico del Ministerio de Relaciones Exteriores - foto tratta da commons.wikimedia.com 

Monumento che ricorda la Strage di Peteano - foto del direttore scattata venerdì 8 settembre 2023, in occasione di una visita a commemorazione del golpe fascista cileno


A 50 anni dal golpe di Pinochet, il carcere per i minori


di Stefano Sodaro


 

Accadde 50 anni fa, l’11 settembre 1973.

Salvador Allende, assediato dai militari, bombardato dall’aviazione, muore nel Palazzo Presidenziale de La Moneda.

E diventa Presidente del Cile – suo Dittatore, Duce – il Generale Augusto Pinochet.

Non c’è niente da fare, non può essere salvato in alcun modo quel medico marxista, anzi un certo compiacimento, se non proprio plauso, si nota tra molti rappresentanti dei movimenti politici di destra ed estrema destra del mondo intero. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, non sono rimasti acquattati come quattro gatti in esilio, ma hanno conservato e consolidato una presenza importante, di grande, profonda influenza, anche verso le masse popolari che pure hanno scelto la lotta armata per la resistenza. Se no, non si capirebbe nulla di cosa stia accadendo adesso: oggi, 10 settembre 2023, cinquant’anni dopo appunto.

L’idea, al tempo, era un po’ questa: che cosa scegliamo? La barbarie comunista del Patto di Varsavia o, come che sia, la ricca libertà capitalista delle cosiddette democrazie occidentali? Non c’è neppure partita! Quindi, faccia pure Pinochet quel che deve fare. Non si sa se dargli un vero e proprio benvenuto, ma il suo golpe diventa utilissimo agli equilibri non solo geopolitici, ma anche agli assetti politici interni dei singoli Paesi non comunisti. (Fra l’altro, detto tra parentesi, il Partito Comunista Argentino non fu mai soppresso e dichiarato fuori legge dalla Giunta Militare di Videla…, benché tra Pinochet e Videla non sia mai corso buon sangue, pur vero anche questo…).

Ed oggi l’estrema destra è trionfante pressoché dappertutto. Vittoriosa. Applauditissima. Orgogliosa di una tale riviviscenza e di un tale successo, che nessuno, in Italia, avrebbe mai ritenuto possibili proprio negli anni Settanta dello scorso secolo.

La causa di tale successo non è però più, ormai, la barriera antisovietica – anzi le simpatie destrorse verso il fascismo in versione putiniana sono arcinote, benché ora accuratamente taciute -. La Destra vince perché, alla buon’ora, addita l’Alternativa. Il Capovolgimento.

Un esempio quasi elementare, plastico, nella sua materialità: il borseggiatore di una signora novantenne non va assicurato ad una inesistente, misconosciuta, funzione giudiziaria dello Stato, ma va giustiziato all’istante, per strada, finalmente. Perché la Legge sono Io.

Il fascismo odia, ha proprio in abominio, qualunque ragionamento che s’incarichi di qualsivoglia complessità culturale. Perché – anche questo è noto – ha in abominio pure l’aborrita, orrida, casta degli (e non parliamo delle) intellettuali. Bisogna fare e non pensare. “Costruiamo l’azione” era uno dei gruppi eversivi di destra attivo tra la fine degli Anni Settanta e tutti gli Anni Ottanta del Novecento.

Soprattutto non vanno ammesse debolezze. Fanteria ed aerei conducono Pinochet al ruolo di condottiero che gli compete. Anche Allende muore con il mitra in mano.

Quando l’8 settembre del 1943, ottant’anni fa pure esatti, venne ordinato alle Forze Armate d’Italia, in esecuzione dell’Armistizio di Cassibile, di cambiare alleanze militari, la scelta di aderire alla RSI viene tutt’oggi indicata – quando non celebrata – come una scelta di coerenza, di fedeltà, di integerrima univocità di quello stesso stare in armi. Mussolini lo aveva voluto, Hitler prima di lui, non c’era da discutere. Loro erano le fonti del diritto vivente, mica il Maresciallo Pietro Badoglio, non scherziamo!

In questo nefasto quadro dell’orrore, fa davvero impressione che il Governo della Repubblica Italiana, il cui Premier ha militato nella forza politica – il Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale – che ebbe come proprio Segretario il capomanipolo della RSI Giorgio Almirante (la cui imputazione di favoreggiamento, nella ricerca dei colpevoli della Strage di Peteano, non poté essere accertata in pubblico dibattimento per una intervenuta amnistia), fa impressione, si diceva, che l’attuale Governo Italiano abbia adottato, solo pochi giorni or sono, il cosiddetto “Decreto Caivano”, che facilita il ricorso al carcere per la criminalità minorile, vanificando decenni e decenni di conquiste sociali e culturali al riguardo.

Esattamente: non vi è alcuna complessità socio-culturale dentro la quale inoltrarsi, sporcandosi gli eleganti vestiti, per capire. Ci vuole il carcere. Punto e basta. Ci vuole, caso mai, lo sport, per far sfogare questi ragazzi a rischio di emarginazione. Epperò basta.

La Comunità Ecclesiale italiana, con i suoi rappresentanti ufficiali, anche questa volta preferisce la prudenza. Vediamo un po’. “Non ci compete”. Eppure non sembrerebbe di per sé così destabilizzante porre la domanda: perché non solo uomini maschi adulti, ma ragazzi nemmeno adolescenti aggrediscono una loro coetanea, una ragazza, una donna? Ma domande così non sono opportune. Rischiano di far evitare il carcere. Ed è la repressione che si vuole e si invoca. La punizione.

11 settembre 2023, 11 settembre 1973, 8 settembre 1943.

Oggi, domenica 10 settembre 2023, è la Giornata Europea della Cultura Ebraica.

Se ottant’anni fa qualcuno avesse osato affermare, sulla scena politica, davanti alle masse che acclamavano a Trieste l’annuncio delle leggi razziali, che, sì, esiste una Cultura Ebraica sconosciuta in Europa, sarebbe finito male, malissimo. Non si potevano assolutamente dire cose simili, pena la morte. Benché la sola ipotesi di una “legge razziale” appaia un mostro giuridico: alla stessa stregua di una dichiarazione di liceità dell’omicidio.

Ma oggi possiamo dire che il carcere ai minorenni fa malissimo sempre e comunque? Ce la sentiamo?

Non solo possiamo: dobbiamo dirlo. Qualunque sia il nostro orientamente politico, filosofico, culturale.

Pensavamo che a 50 anni dal golpe di Pinochet potessimo sperare in società diverse, migliori, attente, capaci di analisi profonde, dotate di competenze necessarie. Invece ci ritroviamo di nuovo a sbattere i tacchi e a compiacerci perché i cancelli dei penitenziari si aprono.

Invece di capire le cause, agiamo sulle conseguenze. Agire già. Passare all’azione.

Una tristezza unica.

Che fa piangere.

Buona domenica.


Numero 730 - 10 settembre 2023