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I sessanta anni del Concilio



di Dario Culot



Recentemente in tutto il mondo si è visto un profluvio di articoli per ricordare il 60mo anniversario del concilio Vaticano II. Ad esempio, sul New York Times è stato pubblicato un articolo di Ross Douthat dal titolo “How Catholics Became Prisoners of Vatican II” (Come i cattolici sono rimasti prigionieri del Concilio Vaticano II), in cui sostanzialmente egli dice che: il Concilio era assolutamente necessario, il Concilio è stato un fallimento, ma dal Concilio non si può tornare indietro.

È proprio così? Sotto un certo aspetto si capisce perché si afferma che il Concilio ha fallito: nelle decadi successive le chiese si sono svuotate, e la Chiesa ha subito un’emorragia di fedeli. Nell’articolo del New York Times si sostiene che il fallimento non è astratto, ma dolorosamente reale. È vero, ma le cause sono molteplici: tanto è vero che, in questo ultimo mezzo secolo, si sono svuotate anche le chiese dei protestanti, i quali non hanno avuto il nostro concilio. In cambio, però, c’è stata una crescita enorme delle Chiese in Africa e Asia. È che noi occidentali continuiamo a considerarci l’ombelico del mondo, per cui continuiamo (erroneamente) ad attribuire a livello mondiale quello che succede solo qui da noi, in Occidente. Se quello che succede da noi non corrisponde alle nostre aspettative, pensiamo che tutto il mondo soffra come soffriamo noi. Non è così.

Non concordo neanche sul fatto che siamo prigionieri del fallimento conciliare. I documenti usciti dal Concilio hanno ancora molto da dire in punto ricchezza della dottrina, a cominciare dalla libertà[1].

Per la prima volta dopo centinaia di anni è accaduto che l’assemblea dei vescovi ha respinto in massa i documenti già belli e pronti che la curia aveva predisposto in anticipo, confidando nella sua indiscussa autorità. Inoltre, va ricordato che questo concilio è stato il primo a non essere convocato per condannare errori o eresie, ma per rispondere in modo nuovo alle esigenze dell’Uomo.

La Chiesa, fino al Vaticano II, era strutturata piramidalmente. Si vedeva come una società perfetta perché veniva da Dio, e Dio aveva comunicato la sua stessa autorità al papa, che era la massima autorità della Chiesa; poi i vescovi; poi i preti; infine, i laici, quali avevano il solo compito di dire ‘amen-sì’. Chiesa docente e Chiesa discente, senza fare domande. Nel tempo, la curia romana si era inserita fra il papa e i vescovi. Immaginate dunque lo sconcerto dei vescovi curiali nel vedere negata l’autorità che essi erano convinti di avere per diritto divino[2].

Dobbiamo poi riconoscere che proprio grazie al Concilio è stato abbandonato il passato cattolico anti-ebraico[3] e si è cominciato il dialogo interreligioso. Il Concilio ci ha fatto capire che se chiudiamo il nostro rapporto di comunione con un qualsiasi settore dell’esistenza, quindi anche con le altre religioni, automaticamente c’impoveriamo, siamo meno liberi, siamo più condizionati, e ci rinchiudiamo nelle valve primitive della nostra morale come molluschi. Ogni persona che non riconosce la dignità di fedele nel credente di un’altra religione, si priva della possibilità di conoscere più a fondo la realtà divina.

Siamo arrivati, 60 anni fa, alle stesse conclusioni del grande maestro andaluso sufi Ibn al-Arabi (1165-1240), grande fautore del dialogo interreligioso, ma con un ritardo di settecento anni rispetto a quel grande pensatore musulmano. Già allora questo grande teologo sosteneva che nessuna religione è in grado di esaurire la Verità tutta intera, potendone catturare solo frammenti. La varietà delle credenze è ricchezza, mentre l’unicità finirebbe per condizionare Dio a una singola religione, rinunciando a captare le dimensioni del Mistero[4]. Tutti coloro che s’incollano alla divinità delle convinzioni dogmatiche si fanno prigionieri delle loro stesse limitazioni, e cessano di percepire la Divinità come assoluta che, come tale, non può essere delimitata da nessun contenitore religioso umano.

Solo grazie al concilio la Chiesa ha cominciato a incoraggiare la lettura della Bibbia, ed ha anche cercato la collaborazione dei “fratelli separati” per nuove traduzioni[5] finalmente ammettendo che anche chi è fuori del suo ovile può essere uno studioso serio. Sempre solo dopo il concilio la Chiesa-istituzione, almeno a parole, ha cominciato a battere sul tasto che Dio è amore, e che ci ama tutti, e non è quel giudice tremendo e implacabile al quale nulla sfuggiva (neanche quando eravamo sotto le coperte o al gabinetto). Altra novità emersa dal concilio è che conseguentemente si deve usare più il balsamo della misericordia che l’arma della condanna severa.

Il Concilio si è anche posto una domanda fondamentale: che intesa vuol stabilire la Chiesa con la storia? Ancora nel proemio del concilio Vaticano I si affermava che la storia è corruzione progressiva dell’uomo, causata dalla negazione del principio di autorità. La Chiesa non era inserita nella storia e non ne veniva toccata, e per questo era immutabile. Un aspetto innovativo dell’ultimo concilio, invece, è proprio l’attenzione per la storia:[6] non solo si riconosce che la mentalità scientifica ha modellato in modo diverso la cultura e il modo di pensare, ma si riconosce anche che il genere umano è passato da una concezione piuttosto statica dell'ordine delle cose, a una concezione più dinamica ed evolutiva[7]. Ovviamente l’evento storico è avvenuto una volta per tutte, ma l’interpretazione che se ne dà può cambiare, sì che siamo attraversati dalla storia. Una «cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate»[8]. Solo con la concezione dinamica può realizzarsi quel “balzo in avanti,”[9] separando sostanza (che può mantenere lo stesso senso e la stessa portata) e formulazione, perché la comunità può tradurre in modo nuovo l’esperienza che vive oggi. A questo punto anche la Rivelazione è necessariamente qualcosa di dinamico ed evolutivo, mai di statico, sì che siamo all’opposto dell’infallibile dogma, eterno ed intoccabile dopo essere stato enunciato. Infatti, non è detto che quello che abbiamo capito oggi sia qualcosa di assolutamente definitivo, da preservare cristallizzato con cura; domani forse capiremo meglio. Proprio su questa base, il concilio Vaticano II ha potuto ammonire i credenti a stare costantemente in ascolto del linguaggio degli uomini del proprio tempo, siano essi credenti o non credenti[10]. Quando mai in passato la Chiesa invitava ad ascoltare anche gli atei?

È stato poi sempre il Concilio a mettere al centro la persona, la dignità di ogni persona, e – volenti o nolenti - il Concilio ci costringe da allora a confrontarci sul come ci comportiamo verso gli altri, non essendo più possibile sentirci a posto con Dio solo perché seguiamo il culto e la tradizione. Il concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes[11] ha anche innovato l’idea di peccato, affermando che il peccato è una diminuzione per l'uomo stesso,[12] in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. In altri termini, il peccato è la disumanizzazione della persona (mancanza di rispetto verso gli altri, intolleranza, umiliazione e sopraffazione dell’uomo forte sul più debole, eccetera); è il pessimo rapporto che uno ha con sé e/o con gli altri. Dunque, quando l’uomo pecca non offende Dio, ma danneggia sé stesso e normalmente altri uomini. Se il peccato non offende Dio, resta una offesa che l’uomo fa a sé stesso, una diminuzione del suo processo di crescita. Chiamati a crescere per diventare figli di Dio, il peccato, la colpa, è uno stop a questo processo di crescita.

Altra specifica novità conciliare: la Chiesa non coincide più con la gerarchia. La Chiesa non è fatta solo dal clero. Il Popolo di Dio è la Chiesa (1Pt 2, 10), e tutti gli uomini sono chiamati a formare il Popolo di Dio[13]. Il popolo, non più il clero, diventa il centro, mentre la gerarchia deve limitarsi ad essere al servizio del popolo di Dio. Questa è la proclamazione, anche se è sotto gli occhi di tutti quanta strada sia ancora da compiere in questa direzione, visto che, ad esempio, anche se il concilio ha ricordato alla Chiesa che essa è popolo di Dio, tanti nostri vescovi continuano a importare preti da tutto il mondo – che seguiranno senza fiatare le loro disposizioni - senza chiedere nulla al popolo di Dio, che continua a subire passivamente.

Anche papa Benedetto XVI ha poi riconosciuto che il concilio Vaticano II ci ha insegnato che per la struttura della Chiesa è costitutiva la collegialità; che il papa può essere soltanto un primo nella condivisione e non un monarca assoluto che prende decisioni in solitudine e fa tutto da sé[14]: dunque anche nella Chiesa cattolica ci si rende conto che il papato così com’è adesso avrebbe bisogno di urgenti modifiche. nel mondo cattolico c’è da tempo una forte corrente che spinge nella direzione della collegialità[15]. Col concilio Vaticano II[16] – è stato detto – fondamentalmente si deve intendere la Chiesa come una comunità di eguali, di credenti, di seguaci di Gesù, nella quale chi occupa un posto o l’altro perde importanza di fronte a questa comune dignità. Sono le comunità locali a dare consistenza alla Chiesa universale, non il contrario, giacché Cristo è veramente presente in tutte le legittime assemblee locali dei fedeli, le quali, aderendo ai loro pastori, sono anch’esse chiamate chiese (comunità) già nel Nuovo Testamento. La Chiesa cattolica deve allora vivere in circolarità e orizzontalità più che in verticalità piramidale. Tutti ne sono corresponsabili, ognuno a partire dal suo carisma e dal proprio posto, anche i laici e anche le donne,[17] anche se poi il concilio ha sostanzialmente glissato sul problema delle donne nella Chiesa. Eppure, sono bastate queste poche affermazioni innovative per indurre i lefebvriani allo scisma, in seguito fatto rientrare[18].

Papa Giovanni XXIII, aprendo il Concilio, aveva riconosciuto che la Chiesa doveva prepararsi a un mondo che non era più sotto il suo quasi totale controllo, e il concilio ha iniziato a preparare la Chiesa a questa novità. E forse la novità più grande è stata quella d’invitare la gente a vivere evangelicamente, il che è molto diverso dal praticare una religione.

In conclusione, mi sembra non si possa proprio dire che l’ultimo concilio non ha portato – almeno come seme - grandi cambiamenti. Ciò è indiscutibile, però, è che dopo 60 anni non tutti i cristiani vogliono ancora accettare queste novità.

Se oggi molti conservatori si struggono per i bei tempi passati, e molti progressisti vogliono allinearsi fin troppo col mondo secolare, va ricordato che la secolarizzazione[19] non può essere fermata, ma occorre capire come vivere il cristianesimo in un mondo ormai fortemente secolarizzato e spesso ostile (o almeno indifferente) verso ciò che sa di religioso.

Anche nella nostra piccola Trieste si è visto come gli stessi cattolici siano - dopo 60 anni - capaci di dare letture opposte sul Concilio, e come non vi sia unità di pensiero.

Riporto come esempio un caso di dissidio cominciato dopo la pubblicazione di una lettera di apprezzamento del concilio, dal titolo “Concilio Vaticano II sempre attuale,” avvenuta sul quotidiano locale di Trieste “Il Piccolo” il 3 ottobre 2022, a cura di Silvano Magnelli. In questa lettera si leggeva:

a) «C’era una volta il Concilio Vaticano II, che ancora ci precede…

All’inizio di ottobre di 60 anni fa cominciava un evento di una rara portata storica nella Chiesa, ovvero il Concilio Vaticano II. Lo si vede ormai a tanta distanza di tempo da far pensare ad un evento del passato, ma non è così. Quel Concilio è stato uno spartiacque tra un prima e un dopo, ed è ancora oggi un fuoco perennemente acceso, che ha cambiato, non a sufficienza purtroppo, ma in modo non reversibile, l’immagine della Chiesa e del suo Popolo. Tanto da far dire al famoso Cardinale Carlo Maria Martini che esso, quel Concilio, “sta davanti a noi” e quindi ci precede.

Volendo ripensare ad alcuni temi nevralgici di quegli anni di grande riconversione ai valori evangelici, che hanno segnato in forme incancellabili la vita di generazioni di cattolici, vanno sottolineati, a mio avviso, tre aspetti essenziali.

Prima di tutto, la spinta poderosa, nata in quella sede, verso una comprensione più profonda della rivelazione cristiana per cercare di capire meglio cosa ha comunicato Gesù all’umanità. Le sue parole vanno infatti comprese più correttamente e innestate nella vita umana in un modo più concreto e più attento ai rapporti, che, grazie a quell’ispirazione, da gelidi, indifferenti, violenti, ostili, dominanti e disuguali, possono diventare più giusti, egualitari, liberi e persino fraterni. Una fraternità universale, beninteso, appunto cattolica, non certo ristretta, selettiva, escludente, settaria o solo localistica o nazionalistica. Niente di più lontano da quella sorgente.

La dimensione poi dei laici cristiani, immersi nel mondo, considerati non più sudditi di un ceto gerarchico dominante, ma fedeli liberi e responsabili, vincolati solo da quella visione nuova, fatta per incrociare gli uomini sulle strade del mondo.

E inoltre il mondo appunto, visto non più come un nemico di Dio, ma come il luogo teologico, dove impegnarsi in forme dialogiche, confrontandosi nel rispetto con le tante diversità presenti. La veste dei credenti nel Vangelo non può essere infatti né l’ostilità né il pregiudizio né l’odio e neppure l’indifferenza. Il messaggio cristiano è naturalmente unitivo e liberante dai pesi che ostacolano la libera circolazione della prossimità, dell’incontro di amicizia e della giustizia.

Credo che già questi richiami limitati, ma essenziali, spieghino, specie ai credenti cattolici, ma forse a tutti, perché quel Concilio ci preceda di molto e non si collochi anche oggi dietro, ma piuttosto davanti a noi».

b) Sempre su “Il Piccolo” del 12 ottobre 2022 - c’è stata una replica da parte del consigliere comunale Salvatore Porro dal titolo Concilio - Il Vaticano II non è “primavera”. La lettera comincia col richiamarsi a quanto affermato da Magnelli: “Quel Concilio è stato uno spartiacque tra un prima e un dopo ed è ancora oggi un “fuoco” perennemente acceso...”.

Mi chiedo” – scrive però Porro, “dove Magnelli veda tutto questo ardere di Fede: se guardiamo a chiese, conventi e seminari vuoti, l’attuale pronunciato secolarismo, l’indifferenza religiosa e l’ateismo pratico ‘di massa’ dovremmo concludere che le fiamme si sono quasi spente. Non sono un teologo, non ho grandi studi, a me interessa, come cattolico-mariano e praticante, la ricostruzione della società cristiana, di una vita incentrata sulla Fede. E in questo, purtroppo, il Vaticano II rappresenta un momento di grande discontinuità nella storia della Chiesa.

Lo affermo alla luce di alcuni fatti. Il 29 giugno 1972 Paolo VI pronunciò un’omelia memorabile, dai toni gravi e dolorosi, senza freni. Riferendosi alla situazione della Chiesa, il Santo Padre affermava di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio.

C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per chiedere a lui se ha la formula della vera vita».

Sono passati 57 anni e l’analisi di allora è perfettamente riscontrabile oggi. Ai “paladini” della primavera ecclesiale, che sarebbe venuta voltando le spalle alla tradizione della Chiesa, Paolo VI diceva anche questo: «Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la Chiesa.

È venuta invece una giornata di tempesta, buio». Le innovazioni del Vaticano II hanno disorientato non poco molti fedeli: la più evidente è quella liturgica con la messa “nuova” celebrata non più in latino con il rito tramandato dai secoli ma nelle lingue nazionali e secondo un rito simile al luterano.

Tra le novità più evidenti anche la posizione del celebrante: non è più “ad Deum”, verso Dio, ma versus popolum, in direzione dei fedeli. Come a dire che il centro non è più Dio ma l'assemblea degli uomini. Anche pulpito sarà messo in secondo piano. Tutto ciò ha tolto, volutamente, il senso del sacro e del trascendente, come le nuove chiese che stanno eliminando gli inginocchiatoi dai banchi”.

Questa lettera ha suscitato a sua volta svariate reazioni e diverse persone hanno controreplicato.

c) Il 19.10.2022 sempre “Il Piccolo” ha riportato la replica di Eliana Nardon, la quale si chiede se il sig. Porro abbia letto i testi conciliari e, in caso positivo, come li abbia interpretati. La scrivente nega che il Concilio sia la causa dello svuotamento delle chiese, che invece va ricercata piuttosto nella mancanza di coerenza e di testimonianza “di chi si professa cattolico, magari cattolico mariano. Mi sono sempre chiesta cosa significhi questa espressione, forse tra i cattolici ci sono le correnti?

Triste mi pare anche pensare che per dare gloria a Dio ci voglia una posizione specifica e che sia necessario che il celebrante volti le spalle ai fedeli, perché solo così si coglie il senso del sacro e del trascendente. Tristissimo credere che alla medesima funzione di sacralità collabori l’uso del latino per la messa: è meglio una tradizione superata e senza senso nel mondo d’oggi o la partecipazione convinta dei fedeli laici che comprendono la liturgia”. La scrivente ricorda anche quando, in passato, la gente a messa pronunciava veri strafalcioni in latino, perché non capiva ciò che diceva. “Gesù si faceva capire dagli uomini del suo tempo parlando nella loro lingua (l’aramaico). Poiché la Parola di Dio deve essere a disposizione di tutti, in ogni tempo, la Chiesa cura con sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue (Dei Verbum, n.22)”. Sicuramente va studiato e compreso quanto ci hanno trasmesso i Padri Conciliari, riscoprendone le esigenze di rinnovamento e autenticità evangelica. “Solo così potremo capire perché il card. Martini diceva che il Concilio non sta dietro di noi, come un evento del passato, ma ci sta davanti, per il nostro oggi e il nostro domani”.

c1) la mia personale controreplica, inviata ma non pubblicata dal quotidiano, è stata la seguente: “Tante sono le immagini che l’uomo si è fatto di Dio e, visto che non lo possiamo misurare, non possiamo costruire nessuna teoria scientifica su di Lui, ma solo avere delle opinioni. È evidente che l’immagine che si è fatto il sig. Porro non corrisponde a quella offerta dall’ultimo concilio.

Anche della fede si possono dare definizioni diverse. Si può ridurre la fede a verità dottrinale insegnata dal magistero e accettata in obbedienza, oppure credere all’immagine di Dio fornita da Gesù e bruciare la propria vita perché il Vangelo abbia realizzazione concreta nella nostra vita, operando ogni giorno, qui sulla terra, per ovviare alle sofferenze della gente, per ascoltare gli altri, per camminare e lavorare insieme agli altri.

Il sig. Porro pensa che Dio si offenda se non si fa la messa nella lingua sacra: il latino. Premesso che Gesù non parlava latino ma aramaico, il concilio ha chiarito che il valore assoluto attribuito al latino era problema della sola Chiesa di Roma. Gesù parlava la lingua dei suoi contemporanei... Tutte le lingue sono liturgiche, come dice il salmista: “Lodate il Signore, popoli tutti,” e Dio capisce sicuramente tutte le lingue (a Trieste di sicuro anche lo sloveno, l’ebraico e l’arabo). Dio non si offende neanche se il celebrante si volge verso i fedeli, perché Dio non sta nello spazio per cui non sta dietro al prete; e nemmeno se non ci si inginocchia al momento della comunione, perché - stando ai vangeli - Gesù non ha fatto inginocchiare gli apostoli nell’ultima cena prima di dare loro il pane, e l’ha dato perfino a Giuda che l’ha tradito e non si è confessato.

Lo svuotamento delle chiese non dipende dal concilio, ma dalla mancanza di coerenza della maggior parte di noi, dal fatto che non applichiamo il concilio nelle sue esigenze di autenticità evangelica, di riconoscimento degli errori passati, e di amore verso tutti gli altri nel mondo di oggi. Dimentichiamo che già allora il fumo di satana era entrato nel tempio di Dio, e che Gesù ha tolto la religione dalle mani dei sacerdoti, trascinandola fuori dell'ambito del sacro e unendola piuttosto nella vita, visto che i vangeli sono innanzitutto vita. Come ha infatti detto il concilio, non dimentichiamo che nella genesi dell’ateismo hanno contribuito non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, hanno nascosto piuttosto che manifestato il genuino volto di Dio e del cattolicesimo”.

c2) Un’altra controreplica è avvenuta anche da parte di Pietro Duosi, il quale ha scritto: “Scrive Salvatore Porro che il Concilio Vaticano Secondo, lungi dall’aver consegnato all’umanità una rinnovata fede cristiana, ha contribuito a svuotare chiese, sconvolto riti secolari, messo al centro del sacro non più Dio, ma l’uomo, disorientando i fedeli.

Porro vede solo un aspetto della realtà della Chiesa, la cui indubitabile crisi non è certo conseguenza di quanto il Concilio ha introdotto nella realtà ecclesiale. Le radici di tale crisi vanno di pari passo con la crisi che in questi anni ha sconvolto culture, alterato i rapporti fra generazioni e Paesi, sottratto speranze aspettative di una crescita ordinata nell’ordine mondiale. È insomma, parte importante dell’attuale crisi che genera violenza, guerre, morte e disperazione.

Tutto colpa della Chiesa e del Concilio? Non scherziamo, siamo di fronte a un mutamento radicale del convivere umano che probabilmente durerà decenni e dentro il quale c’è anche la Chiesa con le sue contraddizioni, sofferenze, specchio di una umanità ferita e da risanare. Magari con la preghiera costante e con lo sguardo fisso sul crocefisso, unico Salvatore dell’umanità”.

Ora, se neanche i cattolici vedono il Concilio da un unico angolo visuale, immaginiamo in quanti modi diversi lo vedranno gli altri.

Un paio di cose, però, mi sembra di poter ancora dire. Primo: se tanti laici senza alcun titolo ecclesiastico possono oggi far sentire la loro voce, già solo per questo il Concilio Vaticano II non ha fallito.

Secondo: se lo Spirito santo soffia dove vuole (Gv 3, 8) e non dove vorrebbero i fedeli del cristianesimo più ortodosso e tradizionalista, mi sembra pacifico che la Chiesa cattolica non detenga il copyright della Verità, neanche in punto morale. E visto che lo Spirito continua a soffiare dove gli pare, cioè ovunque, anche fuori della Chiesa cattolica,[20] i cristiani non devono temere di lasciarsi contaminare dall’esterno, perché l’identità della comunità-Chiesa non è data dalla difesa delle proprie roccaforti valoriali (come ritiene invece il sig. Porro), ma dalla disponibilità a lasciarsi modificare dallo Spirito, dovendo applicare l’unico comandamento lasciatoci da Gesù (“amatevi gli uni gli altri”). Non credo invece alla possibilità di una lunga sopravvivenza di chi ritiene di dover difendere a denti stretti la propria presunta purezza,[21] raggiunta grazie ai riti liturgici sacri (come già ben spiega il Vangelo di Giovanni con la purificazione delle enormi giare d’acqua nelle nozze di Cana).

Proprio come detto sul New York Times dal giornalista Ross Douthat, non si può tornare indietro, e devo dar ragione a Silvano Magnelli che richiama il cardinal Martini, il quale ha detto che il Concilio non è tanto dietro a noi, quanto davanti a noi, perché deve essere ancora in gran parte accettato e soprattutto attuato.



NOTE

[1] Il Concilio Vaticano II ha fissato un paletto nuovo e importante: l’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, e la libertà è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina. Si è dovuta aspettare la Costituzione dogmatica sulla Chiesa – Lumen Gentium § 13– del 21.11.1964 per veder eliminata la tesi cattolica (ancora sostenuta da Gregorio XVI nel 1832), secondo cui la pretesa di libertà di coscienza era semplicemente un assurdo delirio, e per veder finalmente riconosciuto il principio che «gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà», principio che del resto già Tertulliano aveva invocato per i primi cristiani nell’impero romano, ma che in seguito è stato completamente annullato.

Anche il diritto alla libertà religiosa è una novità del Concilio Vaticano II (Fuček I, I dieci comandamenti, in Catechismo della Chiesa Cattolica, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL), 1993, 1009). Come ricorda il cardinal Scola, la Dignitatis humanae, la Dichiarazione sulla libertà religiosa del 7.12.1965, è straordinaria perché trasferisce il tema della libertà religiosa dalla nozione di verità a quella dei diritti della persona umana. Se l’errore non ha diritti, una persona ha dei diritti anche quando sbaglia (“Famiglia Cristiana”, n.16/2013, 51).

[2] Ricordo che ai tempi dell’ultimo concilio l’allora capo del Sant’Uffizio, il cardinale Alfredo Ottaviani, sconvolto e impaurito dalle novità che irrompevano, aveva ripetuto più volte: “Spero di morire prima della fine del Concilio, così morirò da cattolico” (Grana F.A., Papa Francesco ha troppi nemici?, in

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/20/papa-francesco-ha-troppi-nemici-i-veri-problemi-sono-sulla-scrivania/3865827/ Oggi ci chiediamo: ma era veramente cristiano il suo modo di pensare?

[3] È stato il concilio Vaticano II a dire che quanto è stato commesso durante la Passione non può essere imputato indistintamente a tutti gli ebrei (Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane -Nostra aetate n.4 – del 28.10.1965).

[4] È stato recentemente ben ribadito questo concetto: "Dio non ha certamente bisogno di una religione esistente per manifestarsi e rivelarsi" (Higuet E.A., Fuori dalle religioni c'è salvezza, in "Per i molti cammini di Dio", a cura di Vigil J.M. e al., Pazzini, Villa Verucchio (RN), 2010, 158).

[5] Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione del 18.11.1965 - Dei Verbum, §22.

[6] Ruggeri G., Ritrovare il Concilio, ed, Einaudi, Torino, 2012. Pesce M., Chi ha paura di Gesù storico?, “MicroMega”, n.7/2012, 202.

Non posso perciò condividere quanto papa Francesco, che pur apprezzo tantissimo, ha detto circa l’errore dei protestanti è accettabile questa scelta, paragonando questo errore dei protestanti all’errore (https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-01/papa-francesco-udienza-ufficio-catechistico-cei-concilio-chiesa.htm). Mi sembra che sul punto proprio il Concilio Vaticano I ha ciccato completamente.

[7] Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes § 5 – del 7.12.1965.

[8] Discorso inaugurale al Concilio Vaticano II, del 12.10.1962, di Papa Giovanni XXIII, Gaudet Sancta Mater Ecclesia.

[9] Sempre dal discorso inaugurale di Papa Giovanni XXIII.

[10] Così al n.44 della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes – del 7.12.1965. Gilkey L., Lo Spirito e la scoperta della verità attraverso il dialogo, L’esperienza dello spirito”, ed. Queriniana, Brescia, 1974, 252, afferma che è disastroso per la teologia chiudere l’orecchio cristiano alla voce culturale, che è fatta di credenti e non credenti.

[11] Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes – del 7.12.1965, § 13.

[12] Dopo 500 anni, il cattolicesimo ha sostanzialmente accolto l’idea luterana secondo cui la parola peccato, usata da Lutero prevalentemente al singolare, è uno stato in cui l’essere umano è ripiegato su sé stesso (incurvatus in se ipse), e quindi non aperto verso Dio (Kampen D., Introduzione alla teologia luterana, ed. Claudiana, Torino, 2011, 22s.).

[13] Costituzione dogmatica sulla Chiesa – Lumen Gentium § 13– del 21.11.1964.

[14] Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 107.

[15] “Ci sembra che una pura monarchia petrina o papale sia esclusa dal Nuovo testamento” (Congar Y., Sinodo, primato e collegialità episcopale, in “La collegialità episcopale per il futuro della Chiesa”, ed. Vallecchi, Firenze, 1969, 47.

[16]Costituzione dogmatica sulla Chiesa – Lumen gentium§26– del 21.11.1964.

[17] P. Casaldàliga e José M. Vigil, La spiritualità della liberazione, ed. Cittadella, Assisi, 1995, 326s.

[18] I lefebvriani sostengono – contro le indicazioni del Concilio Vaticano II - che la libertà religiosa distrugge la verità, che l’idea della collegialità nella Chiesa distruggerebbe il primato di Pietro, e che la riesumazione del messale di Pio V comporta anche la lettura di quei passi antisemiti che si pensavamo definitivamente cancellati.

[19] Una prima secolarizzazione è avvenuta ai tempi di Max Weber, quando si era detto che si può pensare a agire come se Dio non esistesse. Il credere fa parte della coscienza intima individuale, ma non deve più interferire con la sfera pubblica. La religione è considerata (o tollerata) tutt'al più come una mera questione soggettiva, ma ormai senza rilevanza pubblica. Siamo così entrati nel secolarismo (...) e anche nel relativismo etico. L’intromissione del potere religioso nella vita civile è stato visto sempre di più come un’interferenza indebita, anche se – in particolare in Italia - la Chiesa non ha mai smesso di farlo, almeno fino ai tempi del cardinal Ruini.

Se per la Chiesa l’uomo è un essere personale orientato a Dio, con la secolarizzazione l’uomo è un assoluto, il padrone di sé stesso e del mondo, senza più bisogno di Dio (Avvenire 18.2.2021, 3, un articolo di Sorge B.).

Una seconda secolarizzazione è avvenuta con la globalizzazione, il digitale e la finanza, e il suo simbolo è l’individualismo libertario, per cui ci si può comportare come se la comunità non esistesse. A furia di riconoscere sempre più diritti da tutelare in capo all’individuo, non si riconoscono più diritti alla comunità che possano prevalere sui diritti del singolo.

Anche il capitalismo, cioè organizzare la guerra di tutti contro tutti in modo che sopravviva il più forte senza lasciar crescere nulla attorno a sé (Cecas J., Terra Alta, Guanda, Milano, 2019, 143s.), è un’idolatria dei diritti del singolo. L’attuale ipercapitalismo globale, (copyright di Branko Milanovic) sta disgregando le vecchie classi sociali e le loro rappresentanze politiche – destra/sinistra – senza conoscere regole, se non quella del profitto senza limiti.

Per questo papa Francesco sta combattendo contro simili idee, richiamando in continuazione che nessuno si salva da solo e siamo tutti sulla stessa barca. Il problema reale è che non remiamo tutti assieme nella stessa direzione e per di più vorremmo buttar giù dalla barca tutti coloro che ci sono sgraditi e soprattutto non far salire stranieri, quand’anche chiedano di remare insieme a noi.

[20] Cfr. At 10, 34s., quando Pietro finalmente si converte perché capisce che Dio non fa preferenze, e accetta chiunque lo teme e pratica la giustizia.

[21] Cugini P., Il futuro della Chiesa: lasciarsi contaminare, “Adista” n.14/2022.


Numero 690 - 4 dicembre 2022