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Lettera sulla pace tra uomini di pace



di Carlo Ridolfi



A leggere i titoli dei quotidiani o dei notiziari televisivi, da un anno a questa parte, ma negli ultimi mesi con toni sempre più accentuati, si rischia di provare un disorientamento che pare non vedere soluzione.

Non sono solo i drammatici aggiornamenti su ciò che dal febbraio 2022 accade in Ucraina, ma anche e soprattutto analisi più o meno disinvolte (più o meno imparziali) che parlano di quantità e tipologie di armamenti, di tattiche e di strategie militari, fino al derubricare l’uso di armi nucleari a scenario plausibile di un prossimo futuro e, soprattutto, a scelta che parrebbe avere effetti limitati nel tempo e nello spazio.

Purtroppo, lo sa chiunque mantenga un briciolo di lucidità sulle sorti del pianeta, non è così. E non corrisponde al vero neppure l’attribuzione, spesso fatta con un misto di condiscendenza e sberleffo, di un ruolo tra l’ingenuo, l’illuso e l’irresponsabile per chiunque provi a proporre argomentazioni diverse, che richiamano alla necessità di trovare una via diplomatica, per provare, almeno provare, a ristabilire una situazione di pace.

Fossimo un po’ meno distratti, un po’ meno ripiegati su una percezione di sicurezza che è quasi sempre un autoinganno, ogni tanto andremmo a riguardarci il sito https://www.atlanteguerre.it e l’aggiornatissimo “Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo”, coordinato dal giornalista Raffaele Crocco, per vedere quante e quali sono le zone del mondo interessate da conflitti armati.

Che della pace ci sia bisogno come dell’aria e dell’acqua buone e pulite – non uso l’esempio a caso – ce lo ricorda quasi ogni giorno papa Francesco. Che sia un tema presente con costanza nelle cose umane lo richiama un piccolo (solo nelle dimensioni e nel numero di pagine) e prezioso libro: Vocabolario della pace. Il carteggio tra Cesare Zavattini Aldo Capitini e Danilo Dolci. A cura di Valentina Fortichiari. Succedeoggi Libri. Roma, 2022.

Già alla fine dell’altr’anno Valentina Fortichiari, che sta procedendo ad una provvidenziale risistemazione di molti scritti zavattiniani, aveva curato: Cesare Zavattini: la Pace. Scritti di lotta contro la guerra. La nave di Teseo. Milano, 2021, nel quale sono riportati molti testi del grande scrittore e sceneggiatore di Luzzara, composti dal 1944 al 1986. Per ragioni editoriali in quel libro – peraltro fondamentale – era rimasto fuori il carteggio tra Zavattini e due giganti del pensiero e dell’azione nonviolenta come Aldo Capitini e Danilo Dolci, che viene qui recuperato e reso disponibile per chiunque volesse spendere qualche tempo della sua vita a guardarsi all’indietro per non perdere la visuale di ciò che ci potrebbe stare davanti.

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Cesare Zavattini inizia a interloquire con Aldo Capitini nel 1950. Avrebbero l’idea di realizzare un film – che il filosofo e attivista perugino vorrebbe intitolare Italia non violenta – ma non se ne farà nulla. Tuttavia Zavattini – che unisce alla sua pratica di scrittore e sceneggiatore cinematografico una instancabile propensione all’attivismo politico – dimostra con tutta evidenza che la “questione della pace” è per lui prioritaria in modo assoluto e sa che Capitini è un interlocutore necessario. (Va ricordato che Zavattini, pur non essendo militante diretto, era in buoni rapporti con il Partito Comunista italiano e anche con l’Unione Sovietica, mentre Capitini era tutt’altro che ben visto dai dirigenti del PCI, che lo consideravano nella migliore delle ipotesi un innocuo utopista).

Dieci anni dopo, all’inizio degli anni Sessanta – nel frattempo c’è stata la prima marcia per la pace da Perugia ad Assisi, ideata da Capitini (che viene documentata in un filmato che porta il commento di un altro comunista atipico come Gianni Rodari, reperibile su https://youtu.be/QxjfaSPKVls) e Capitini insegna all’Università di Cagliari – è in piena fase organizzativa il nascente Movimento Nonviolento e la testata che ne proporrà la causa Azione Nonviolenta, opere per le quali Capitini è affiancato da un gruppo di collaboratori, tra i quali vanno ricordati almeno il poeta siciliano Ignazio Buttitta e, soprattutto, quel Pietro Pinna che sarà il primo obiettore di coscienza italiano per motivi politici.

La corrispondenza con Zavattini è più di tipo progettuale e operativo, con il filosofo che incalza lo scrittore e lo scrittore che gli assicura puntuale e costante collaborazione, preso com’è da mille progetti.

Capitini muore il 19 ottobre 1968, non ancora settantenne.

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Sempre dell’inizio degli anni sessanta è la corrispondenza tra Zavattini e Danilo Dolci.

Anche sul lavoro del sociologo friulano che da tempo è andato a lavorare e a muover cose e persone in Sicilia c’è il progetto di fare un film, che dovrebbe avere Gianfranco Mingozzi come regista e Dino De Laurentiis come produttore. Fu realizzato e in seguito bloccato dal produttore napoletano. Ebbe comunque non poco risalto perché Con il cuore fermo, questo il titolo, forte anche di un commento di Leonardo Sciascia, vinse il Leone d’Oro al Festival di Venezia e fu candidato all’Oscar.

È Zavattini a scrivere di più, a incalzare, a proporre. In una lettera datata 29 settembre 1969 propone una riflessione sul senso della ricerca umana e sul rapporto teoria-prassi che val la pena di riportare per ampi stralci:

 

Caro Dolci,

(...)

Tornando a me, farò l’avvocato del diavolo, se me lo consentirai, e forse un po’ l’ho cominciato a fare all’aeroporto, e in automobile mentre vi andavamo verso, chiacchierando sui pericoli di una educazione naturalistica, che è poi quella delle scuole, per la quale decantando gli assoluti si perdono di vista i relativi della storia.

Non si tratta certo, come temi, di voler far perdere alla gente il senso poetico, universale delle cose, ma di non credere che vi sia fra conoscenza e poesia una contraddizione.

Tu difendi la meraviglia come i poeti; però è anche vero che più si conosce e più ci si dovrebbe meravigliare.

Bisogna moltiplicare i motivi di meraviglia perché si moltiplicano i motivi di ricerca, e non porre tra meraviglie e meraviglie dei compartimenti stagni, bensì avvertire le connessioni, in funzione della tanto bramata unità.

Come sempre sono le posizioni manichee che confondono, che ritardano, e tu del resto, se da un lato ti adoperi per farci udire la storia delle lumache di Sariddu (quella scoperta all’alba sotto i cespugli delle lumache coi loro lucori, così tante che pareva bollissero) per difenderne l’incanto individuale, dall’altro hai lavorato per la diga sullo Jato i cui benefici andranno anche a gente come quella delle Spine Sante.

Non c’è azione di pace che non sia, insieme, frutto di ricerca e scoperta di nuovi campi del sapere e del legame sociale nei quali ricercare.

E’ quella che un’ altro grande uomo di pace (generazioni del Novecento: Capitini, nato nel 1899, e Zavattini, nato nel 1902, ne sono i decani; Dolci è del 1924), Mario Lodi, nato nel 1922, avrebbe definito anni più tardi essere l’educazione un’armonia tra arte e scienza.

(O, forse, con acquisizioni che stanno alla base sia dell’educazione attiva, partecipata e democratica che dell’azione nonviolenta: il superamento della divisione, fittizia, strumentale e foriera di ingiustizie, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale).

Il che ci farebbe tornare ai tempi nostri, nei quali non abbiamo più fra noi né uno Zavattini, né un Capitini, né un Dolci (e neanche un Mario Lodi o un don Lorenzo Milani o un Bruno Ciari, tanto per rimanere nel solco di un centenario che abbiamo ricordato lo scorso anno e di due che ricorrono in questo).

Uomini che hanno attraversato il Novecento delle guerre mondiali e che anche per questo avevano fatto della pace non una tiritera per anime belle pronte a consolarsi con qualche buona intenzione, ma la via unica, in epoca di armamenti atomici, verso la quale orientare il proprio riflettere e il proprio agire. (Un altro uomo ancora, stessa generazione, 1922, Ernesto Balducci, ha scritto su questo tema pagine indimenticabili e che mai hanno perso valore).

Come scrive nella introduzione la curatrice Valentina Fortichiari (alla quale va tutta la gratitudine per la scoperta di una rete di relazioni fra gente di pace che avevamo colpevolmente ignorato o dimenticato):

“...Za è dilaniato dal dubbio che se una cultura non appartiene a Tutti non sia cultura, non sia frutto di un pensiero di Tutti, la cifra di un’autentica condivisione democratica, collettiva, universale”.

Zavattini che riecheggia Comenio (“omnia omnibus omnino”). Capitini e l’omnicrazia. Dolci e il metodo maieutico. (E l’uomo planetario di Balducci e la scuola grande come il mondo di Rodari e la speranza che c’è anche nelle più inattese zone della pianura padana di Lodi e la parola emancipatrice di Milani...).

Dicessimo che ci mancano gli esempi e i riferimenti saremmo o spergiuri o ciechi. C’è una strada verso la pace che questi uomini (e tanti altri e tante donne, Simone Weil o Etty Hillesum, solo per fare due giganteschi esempi) ci hanno indicato. Sta a noi scegliere di proseguire su quel cammino o di ignorarlo, ammaliati da qualche luccicore di vetrina o da qualche moda culturale.