La prima Veglia Pasquale onnigamica
di Stefano Sodaro
Pasqua - Disegno originale per questo numero di Rodafà Sosteno
Donna del Tibet con i due suoi mariti - immagine generata da IA - soggetti inventati
Con quel cognome – Danaro – che si tramandava da generazioni e generazioni, il prete di cinquantasette anni fa aveva pensato bene di battezzarlo con il nome proprio di “Festoso”.
Solo che, con il tempo, complici gli elenchi e le liste da continuamente compilare o consultare, i dati anagrafici si erano invertiti: il cognome era diventato il nome e viceversa.
Vi era stato un lungo corteggiamento ecclesiastico perché Danaro Festoso si facesse prete, non era chiaro perché, ma lui, ad ogni buon conto, non ne era mai stato particolarmente convinto. E adesso, prossimo alla terza età, tornava con la mente a tre luoghi, sconosciuti a tutte e a tutti (come appare preferibile esprimersi oggi), che avevano plasmato la sua esistenza: il sobborgo di Sembel, alla periferia di Asmara, capitale dell’Eritrea; il quartiere triestino di Roiano e il minuscolo paesino dolomitico di Casal di Zoldo, una manciata di case che i racconti popolari narravano essere le briciole residuate nel sacco dell’Angelo della Creazione allorché, all’inizio degli inizi, era volteggiato lassù dispensando vita e tepore.
Ma per Danaro Festoso le cose cominciavano a farsi difficili, complicate, ingarbugliate.
Trovò in casa una serie di volumi, di grossi tomi, che lo inquietarono perché non ricordava di averli mai prima notati. Anche perché presentavano una singolarità un po’ assurda: non si capiva quale fosse il titolo e quale l’autore. Come la storia del suo nome e cognome.
Lasciò i volumi un attimo da parte – fra l’altro intonsi e bisognosi di un tagliacarte – e, sorseggiando il caffè dell’alba, pensò alla Veglia Pasquale nella notte appena trascorsa. Si erano incrociate due candele, piuttosto esili, quasi filiformi: la sua e quella di una sconosciuta, compagna di banco in chiesa, dagli occhi color cielo, lo sguardo dolcissimo ed il sorriso capace di stendere un battaglione di armati pronti per l’attacco con la baionetta in bocca. Seppe poi che, per lei, quella era stata la prima Veglia Pasquale cui partecipava, la Prima Veglia Pasquale della sua vita. Danaro Festoso ne fu come frastornato.
Gli era parso – ma forse aveva avuto le traveggole – che quel volto, della compagna di banco in chiesa, si fosse cangiato in una specie di sintesi, di riassunto, di sommatoria, di mosaico di altri volti, altre identità, altri nomi (e cognomi). Quell’incrocio di candele, al canto dell’Exsultet, lo aveva mandato, come si dice, “fuori di melone”.
Una sensazione “onnigamica”, che forse solo Charles Fourier, inventore di quel termine bizzarro, avrebbe compreso, ma probabilmente anche rovinato con un eccesso di razionalismo.
Tornò ai suoi volumi. Ne accarezzò le copertine come fossero le mani di persone reali. Di fronte a ciò che stava per leggere non sapeva se commuoversi o mettersi a ridere follemente.
Primo volume: Alleata Poso Incenso.
Sì, Danaro Festoso, aveva una passione, un po’ malata – come quella di tutti i collezionisti e cultori di passioni di nicchia – per la cultura dell’incenso, soprattutto quello a grani da bruciare lentamente su un carboncino rovente. Ma che significava “Alleata”? Rifletté che ogni amore, in fondo – o anche in superficie, in effetti – è un’alleanza. Lo stesso Dio biblico è il Dio dell’Alleanza.
Secondo volume: Anatra Milton.
Sembrava il personaggio di una favola per bambine e bambini. Ma anche no. Se di autore si trattava, il cognome induceva timore reverenziale, “Milton” addirittura, ma il vocabolo che lo precedeva - “Anatra” – suscitava tenerezza e ammirazione. Del resto, l’anatra per gli Egizi era simbolo della dea Iside, per gli Ebrei di immortalità, per Celti e Greci della creazione del mondo.
Terzo volume: Clan Prona Haifa.
E la parola “Haifa” compariva anche su un altro volume. Non poteva che trattarsi della città israeliana, pensò il nostro Danaro Festoso. Doveva essere un libro di bruciante attualità. Ma non tutto tornava. “Clan”? Perché “Clan”? Al maiuscolo poi. Forse era un riferimento alle dottrine identitarie che stanno avvelenando popoli e nazioni. Si fece ansioso. Sulla copertina del volume, Haifa era “Prona”. Cioè? Le dinamiche mediorientali erano un reciproco, disperato, affannoso, tentativo di assoggettamento di clan opposti. Così pensò, con inquietudine crescente.
Quarto volume: Codeina Zirli.
“Zirli” era di necessità un cognome, non poteva essere altro. Ma “Codeina”? Chi mai avrebbe messo ad una figlia il nome “Codeina”? Eppure, con qualche imbarazzo, Danaro Festoso ebbe una sensazione saporosa di profumo d’oppio, anzi – più precisamente – di papavero, padre dell’oppio. Un’altra dimensione. Un trip giovanile. Ma la codeina, la sostanza chimica, è anche un ottimo antidolorifico. Che Codeina Zirli fosse il nome di un farmaco? Di una strega? Di una fata? Ripeté dentro di sé più volte le due parole di seguito – Codeina Zirli – ed ebbero un effetto tranquillizzante. Da ansiolitico potente.
Quinto volume: Neumi Baciano Luce.
Beh, sì. Concordava Danaro Festoso. Le antiche note musicali messe per iscritto – i neumi – erano davvero un bacio alla luce. Un bacio verginale, purissimo, casto. Si emozionò, questa volta ritenne – magari a torto – di aver capito, anche se rimaneva l’enigma della sovrapposizione tra autore, autrice (“Neumi”? Ad esempio, un nome femminile africano?), ed oggetto. Un, chissà, possibile titolo arcano.
Sesto volume: Sbranai Haifa.
Ancora Haifa. Ma, per questo libro, c’era qualcuno, o qualcuna, che l’aveva sbranata. Passato remoto, prima persona singolare. Sbranai. Forse, di nuovo, era stata sbranata da qualcuno di preciso – se si trattava di un titolo – la tracotanza identitaria, che ha raggiunto misure di contenimento ben oltre ogni soglia in Medio Oriente. Un titolo, non poteva che essere un titolo. “Haifa” come cognome poteva anche starci, ma “Sbranai” quale nome? Forse un uomo o una donna che avessero divorato una città ebraica mai nominata nella Bibbia? Un cenno al terrorismo islamico od alle virulente opposizioni a Netanyahu nello stesso Stato di Israele contemporaneo? Ripose il libro con i suoi misteri.
Settimo volume: Sesso Minimale.
A Danaro Festoso venne davvero da ridere. Se di lui si diceva che fosse, appunto, una specie di stravagante moneta gaudente, quel “Sesso Minimale” aveva in sé una dimensione gioiosa, persino ludica, del tutto estranea alle sempiterne sessuofobie, ma, dall’altro, era come un appello filosofico, un’invocazione a qualcosa di diverso dalla semplice felicità. Il nostro ne rimase affascinato. Un “Sesso Minimale” – un po’, absit iniuria verbis, come l’Etica Minima di Pier Aldo Rovatti, filosofo artefice, con Gianni Vattimo, del cosiddetto “pensiero debole” – era una proposta inaudita ed inedita. “Minimale” non vuol dire “assente”, anzi. Pare, piuttosto, un invito alla sobrietà, all’essenzialità. Ed anche la gioia sessuale ed addirittura il piacere sessuale, per essere tali – gioia e piacere -, esattamente all’opposto di spensieratezza e lussuria, postulano essenzialità, stilizzazione solenne e seduttiva del gesto, esemplarità dell’abbraccio più forte ed avvinghiato. Il Risus Paschalis era un’antichissima celebrazione nelle chiese, per la Pasqua, della meraviglia del sesso, senza preoccupazioni moralistiche, matrimonialistiche e familistiche.
Danaro Festoso era esausto. Aveva visto al cinema il film FolleMente di Paolo Genovese, con Pilar Fogliati ed Edoardo Leo e gli parve di riviverlo, con altro copione, nella sua casa. I nostri fantasmi, le nostre proiezioni, le nostre pulsioni ed i nostri sentimenti, le nostre responsabilità e la nostra stessa coscienza, Io e Super-Io, convenivano assieme a casa sua, nel mattino di Pasqua.
Chi sposare prima d’ogni altro coniuge? Chi riconoscere come propri alleata ed alleato, come inseparabili compagni? La propria vita, il proprio sé, il proprio corpo. Che, tuttavia, non esistono, neppure sono possibili, senza gli altri. Senza Alleata Poso Incenso, Anatra Milton, Clan Prona Haifa, Codeina Zirli, Neumi Baciano Luce, Sbranai Haifa e Sesso Minimale.
Di quei volumi, per così dire (ma anche senza troppe esitazioni), divenuti persone, ci sarebbero state tracce, memorie, attese, presenze – Danaro Festoso lo intuiva -, a Sembel, periferia di Asmara, a Casal di Zoldo, lassù in Val Zoldana, e a Roiano, appena dopo Barcola e il Castello di Miramare, svoltando a sinistra (che Rodafà svolti sempre a sinistra? Mah…) per chi entra a Trieste.
Risurrezione. Adesso.
Buona Pasqua!