Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Gerusalemme - foto tratta da commons.wikimedia.org



Avere Gerusalemme come direttrice spirituale



di Stefano Sodaro



Siamo alla vigilia settimanale – per così dire – dell’uscita del nostro numero 600, che sarà pubblicato domenica prossima, 14 marzo 2021.

Sono dodici anni di nostra storia personale e comunitaria, durante i quali è poi fiorita l’idea di dare avvio ad una associazione culturale – denominata “Casa Alta” – che seguisse un percorso parallelo e contiguo al cammino della nostra Rivista online di liturgia del quotidiano.

Confidiamo di presentarci domenica prossima con un nutrito gruppo di contributi generosamente preparati da circa venti care amiche e cari amici.

Ed oggi, domenica 7 marzo, siamo invece alla vera e propria vigilia di una data dalla valenza simbolica ed evocativa sempre potente, benché siano costanti i tentativi di ridimensionarla e banalizzarla. Magari metafisicizzando una presunta essenza femminile ed abolendo così la pluralità delle storie, delle esperienze e delle identità femminili nella corsa affannosa verso il riduzionismo delle donne in una monade indistinta, nel tentativo – soprattutto, e con grande preoccupazione angosciata – di rintuzzare, se non di mandare al macero, l’aggettivo “femminista”, da sostituirsi per appunto con quello assai più tranquillizzante di “femminile”.

Il Papa è in Iraq e rientrerà a Roma proprio domani, 8 marzo.

Nella celebrazione eucaristica – in rito romano – celebrata ad Erbil il pomeriggio di quest’oggi sono comparse accanto al Vescovo di Roma due giovani donne vestite in abito liturgico e (aspetto che non pare essere stato notato da alcun commentatore) con il capo velato, quasi fosse questo il segno di una differenza non ignorabile. Senza peccare di presunzione – o almeno provandoci -, osserviamo poi che nessuno ha rilevato che mentre nel rito latino è possibile ora l’istituzione di lettrici ed accolite, dopo la promulgazione del motu proprio Spiritus Domini di Francesco papa, simile possibilità non è invece presente negli ordinamenti giuridici delle Chiese Cattoliche Orientali. Ma l’obiezione sarebbe facile: in tali ordinamenti, tuttavia, il diaconato femminile non risulta essere stato mai abolito, anche se qualche pervicace canonista potrebbe argomentarne l’intervenuta desuetudine (che per il diritto ha la stessa efficacia costitutiva di un’abolizione formale) quanto meno per le Chiese sì d’Oriente, ma Cattoliche.

Però vediamo di non complicare troppo.

E leggiamo, nella Lettera ai Romani, al capitolo 16, v. 6, una singolare esortazione di Paolo. Prima in greco: ἀσπάσασθε Μαριάμ, ἥτις πολλὰ ἐκοπίασεν εἰς ὑμᾶς. Quindi in latino: Salutate Mariam, quae multum laboravit in vobis. Infine in italiano: Salutate Maria, che ha faticato molto per voi.

Nella versione testuale di Mariam, e non di Marian, il nome appare senza dubbio di matrice ebraica.

Commenta Daria Pezzoli Olgiati, in un contributo dal titolo Donne (e uomini) in Rm 16: alcune provocazioni per oggi?, all’interno del volume Donna e ministero, a cura di Cettina Militello, Edizioni Dehoniane Roma, anno 1991: «A riguardo di Maria Paolo mette in rilievo l’impegno e il lavoro svolto a favore dei destinatari della lettera. Il verbo greco che esprime l’azione compiuta da Maria è kopiao. Questa forma verbale descrive il duro lavoro fisico, intellettuale, emotivo, la fatica di colui che è impegnato nell’attività di missione e di diffusione del Vangelo. (…) La fatica di Maria è quindi la stessa di quella di Paolo: entrambi si impegnano in attività simili.» (p. 480 Op. cit.).

Paolo, di fede ebraica, appartenente anzi proprio al gruppo dei Farisei, era di casa a Gerusalemme.

E se la Maria del capitolo 16, v. 6, della Lettera ai Romani, era una donna ebrea, come sembra del tutto verosimile, nulla ci impedisce di immaginare – anche fantasticando, perché no? – che si siano conosciuti a Gerusalemme.

Ieri, in un emozionante pomeriggio in dialogo con Serena Noceti, ecclesiologa di fama mondiale, organizzato proprio dal nostro settimanale insieme con l’associazione “Casa Alta”, ci siamo lungamente confrontati sul tema delle donne nella Chiesa. La registrazione del video su Youtube è raggiungibile a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=ijOakxvvd6s

Mentre non cessano polemiche, e comunicati e controcomunicati, sulle dolorosissime vicende della Comunità Monastica di Bose (questa settimana è intervenuta la Santa Sede, con apposito comunicato dopo l’udienza papale del Delegato Pontificio p. Amedeo Cencini e del Priore Luciano Manicardi, https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/03/05/0134/00301.html, cui è seguito il comunicato del Fondatore Enzo Bianchi, https://www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/114743/comunicato-di-fr-enzo-bianchi-fondatore-di-bose), la voce delle donne sembra ancora o non ascoltata e silenziata o, bisogna riconoscerlo, assente. E nolente nell’assenza magari proprio per una preponderanza di protagonismo tutto maschile. che purtroppo affiora con evidenza anche nel dramma di una Comunità Monastica che ha segnato la storia del post-concilio in Italia assieme a chi fin dalle origini l’ha presieduta.

E la domanda si fa allora ancora più profonda ed a tratti addirittura inquietante: ma che cosa andiamo a cercare – se ci andiamo, beninteso – nei monasteri, siano di uomini o di donne?

Forse, ed anche a costo di distogliere dal suo impegno totalizzante chi lì ha scelto di vivere nel silenzio e nella preghiera, vi andiamo in realtà per un disagio psichico, esistenziale, biopolitico – per dirlo alla Foucault –, che pensiamo possa essere curato soltanto da qualcuno o qualcuna che sia in grado di assicurarci un nuovo, rinnovato controllo, diciamo “spirituale”, sulle nostre vite, che noi temiamo di non avere più, di avere smarrito. La cosiddetta direzione spirituale si situa in questa linea, anche quando sia nobilissima e delicatissima arte di discernimento delle plurime interiorità personali.

Potrebbe essere nondimeno arrivato il momento di congedarci da ogni direzione spirituale, per tornare ad una molto diversa fraternità-sororità-sponsalità amicale che, mentre si fa sempre più spirituale – nel senso della ricerca sempre più nitida di senso, di significato -, non rifugge dal carattere ben concreto, immediato, materiale, tattile, palpabile di ogni nostra ora e giornata. Un nuovo monachesimo? Chissà. Raimon Panikkar provò a scrutare l’orizzonte sul tema (https://books.google.it/books/about/Beata_semplicit%C3%A0_La_sfida_di_scoprirsi.html?id=pE-iPQAACAAJ&redir_esc=y) ed oggi la teologa Antonietta Potente usa accenti assai simili.

Forse è dunque davvero necessario ritornare a Gerusalemme, anche con Papi, cardinali, vescovi e monsignori d’ogni provenienza e sensibilità. Assumendo che nella Città Santa vi sia una “strana coppia”, composta da Paolo di Tarso e tale Maria, coppia che destruttura le architetture spiritualiste e riconsegna la vita, ogni vita, alla sua propria responsabilità, di cui non aver paura e d’assumere anzi come causa di sogni da non smettere mai, da non deporre per nessuna ragione.

Sarà Gerusalemme – anche per Rodafà – la sua propria direttrice spirituale, sia come traiettoria di viaggio, sia, chissà, come presenza paolina da cercare (ahi, ricaduta nel maschilismo, non c’è niente da fare…), anzi no, gerosolimitana: presenza inclusiva del proprio e del proprio altro.

Buona domenica, buona settimana.