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Papa Francesco nel disegno di Donkey Hotey - immagine tratta da commons.wikimedia.org




Non vorrei essere al posto del Papa


di Dario Culot

Papa Francesco si trova al momento in piedi come un funambolo al centro di una corda tesa che viene tirata da una parte dalla Chiesa americana, e dall’altra dalla Chiesa tedesca, cioè dalla due Chiese che probabilmente sono – al momento - le più ricche del mondo. Questo significa che queste due Chiese da sole sono le maggiori contribuenti per le finanze del Vaticano, notoriamente oggi in sofferenza.

Ma il problema, oltre ad essere finanziario, è preminentemente teologico. La Chiesa americana cerca di proibire la comunione a coloro che non si schierano senza se e senza ma contro l’aborto (in testa alla lista di proscrizione c’è l’attuale presidente Biden). La Chiesa tedesca discute nel sinodo se benedire le coppie omosessuali, se ammettere preti sposati e se ammettere all’ordine sacro sacerdotale le donne (come del resto già fanno molte Chiese protestanti). Entrambe le Chiese si trovano poi impantanate in una difficoltà comune, a causa di una serie interminabile di abusi sessuali che stanno venendo in continuazione alla luce.

Il cardinal tedesco Marx, da sempre un sostenitore di papa Francesco e uomo di gran peso nella Chiesa tedesca, il 21.5.21 ha dato le sue dimissioni,[1] respinte dal papa il 10.6.21,[2] ritenendo che le riforme che ci si aspetta dal Vaticano sono troppo lente e del tutto insufficienti. Forse sono state anche una risposta immediata al tentativo del Vaticano di frenare la corsa del sinodo verso soluzioni che corrono troppo in avanti (almeno secondo tanta parte degli ambienti cattolici).

Il papa sta in mezzo fra l’incudine e il martello, e anche se già nel 2019 aveva affermato di non temere uno scisma, forse oggi non ne siamo molto lontani. Per molto meno i lefebvriani si staccarono ai tempi di papa Paolo VI non accettando le novità apportate dal concilio Vaticano II.

Dopo che il Vaticano aveva invitato ad abbassare la temperatura del dibattito americano con la lettera del 7.5.21, ricordando che “sarebbe fuorviante dare l’impressione che l’aborto e l’eutanasia da soli siano gli unici temi centrali della Dottrina Sociale cattolica, che richiedono il più alto livello di rendiconto da parte dei cattolici” che invece di pensare alle scomuniche è meglio confrontarsi nel dialogo, e che – come detto proprio negli USA da papa Francesco nel 2016 - non ci possono più essere guerre per affermare princìpi non negoziabili,[3] in data 21.6.21 la conferenza episcopale americana ha emesso un documento, reso pubblico qualche giorno più tardi, in cui chiarisce in maniera esplicita che non intende adottare a livello nazionale provvedimenti ad personam, pur riservandosi di specificare la responsabilità di tutti i cattolici nel dover vivere in accordo con l’Eucaristia; perciò la guerra sulla comunione, cavallo di battaglia dei conservatori su chi è degno (cioè merita) di ricevere la comunione e chi no, sembra rinviata ad autunno inoltrato.

Sul punto ho già espresso la mia opinione. La proposta di escludere dalla comunione il presidente Biden o anche tutti i politici pro choice la ritengo ambigua[4] e pericolosamente sbagliata non per quello che significa in punto aborto, ma per l’eucaristia, la quale verrebbe strumentalizzata per fini politici. La Chiesa non può infatti controllare i risultati politici scelti democraticamente da uno Stato, men che meno usando la leva dei sacramenti. Il problema è che in quella Chiesa a stelle e strisce, sempre più vicina all’oltranzismo del mondo protestante degli evangelici e sempre più in sintonia col radicalismo dell’ex presidente Trump, forse rendendosi conto di non avere più in mano le leve giuste per convincere pacatamente la gente, la gerarchia ecclesiastica si butta sull’unica cosa che ancora controlla pienamente: l’accesso ai sacramenti. Sennonché proprio un’esclusione spaccherebbe l’unità della Chiesa perché si fonderebbe sulla meritevolezza o meno di ricevere l’eucaristia, quando l’attuale dottrina della Chiesa (Evangelii Gaudium n.47) ricorda che l’eucaristia non è un premio per chi è perfetto, ma un nutrimento per i deboli. Se cattolico vuol ancora dire universale e la nostra Chiesa si presenta come cattolica, il cattolico dovrebbe unire il più possibile gli esseri umani, come ha fatto sempre Gesù; una Chiesa che non unisce, ma separa ed espelle, non segue Gesù è non può essere universale.

Ma a questo punto vorrei soffermarmi su una questione che sta a monte, in quanto la Chiesa dovrebbe ormai fissare una volta per tutte un principio che è ancora dibattuto.

Ci hanno insegnato da piccoli che esiste un rapporto fra merito e ricompensa: i nostri genitori ci sgridavano (o anche picchiavano) se ci si comportava male, ci elogiavano se ci si comportava bene. Abbiamo anche imparato che lo sforzo nello studio e l’impegno nel lavoro portano normalmente a benefici e vanno premiati. Nulla di strano, allora, che questo criterio sia passato anche nel campo religioso, dove si è sostenuto (e da una parte del magistero ancora si sostiene) che in base ai meriti e demeriti guadagnati in vita si otterrà nell’aldilà la ricompensa o il castigo sovrannaturale, perché Dio premia e castiga, con assoluta giustizia, secondo i meriti. Vi ricordate l’atto di dolore al termine della confessione? Si diceva che peccando avevamo meritato i castighi di Dio, perché avevamo offeso l’Infinitamente Buono, e ogni cosa non buona indignava l’Infinitamente Buono. Con ciò era sottinteso che, solo se non si peccava, si meritava l’amore di Dio; peccando si meritavano soli i suoi castighi. Per paura di Dio i farisei cercavano di acquisire in vita tanti gettoni di merito capaci di superare il peso dei peccati, e così pensavano di guadagnare la salvezza attraverso i propri meriti. Noi, cattolici, abbiamo finito per pensare esattamente come i farisei: i buoni meritano l’amore di Dio, i cattivi periranno nel fuoco eterno. Insomma, in base all’insegnamento della religione, ci è rimasto indelebilmente impresso che Dio ama i buoni, ma odia i cattivi peccatori, per cui il suo amore (a questo punto sarebbe più appropriato parlare al massimo di benevolenza) va meritato. E come si merita questo amore? Come ai tempi dei farisei, con le preghiere, con un tipo di vita attento a non offendere Dio, con le offerte, con la penitenza, col digiuno, con i sacrifici, combattendo l’aborto e altre cose del genere. Tutti gli uomini sono peccatori, e nessun uomo può stare alla presenza di Dio proprio perché è peccatore sì che, se non accumula tanti meriti, mai potrà salvarsi. L’amore di Dio resta accessibile solamente a chi lo merita perché rispetta le regole. Dal momento che c’è una legge, è la legge stessa che divide gli uomini tra meritevoli e no, tra buoni e cattivi, tra puri e impuri, tra peccatori e non peccatori. È la legge stessa che permette ai sacerdoti di stabilire con tanta sicurezza: “tu sei nel peccato, tu sei a posto.” E addirittura fra coloro che “sono a posto” il premio finale sarà diverso a seconda dei meriti acquisiti in vita.

Dopo il Concilio Vaticano II comincia a prevalere una nuova impostazione e, interpretando in modo nuovo i vangeli, si sostiene che Gesù ha cercato di spiegarci la differenza fra religione e fede: se nella religione l’uomo deve meritare l’amore di Dio, nella fede deve semplicemente accoglierlo. L’amore di Dio non è perciò frutto dei meriti dell’uomo, ma è una azione divina che scende gratuitamente su tutti. Solo con Gesù si inizia a sostenere che Dio è amore per tutti e non viene affatto attratto dai meriti dei singoli. “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi”, viene ribadito fin dall’inizio del cristianesimo (1 Gv 4,10; cfr. anche Rm 5,8). Come si è arrivati a questa interpretazione che ancora tanti pii credenti non accettano?

Leggiamo l’episodio della samaritana al pozzo (Gv 4, 6-11). Mentre Gesù si siede sulla sorgente, la donna parla del pozzo. Perché? Perché il pozzo, simbolo della legge, è profondo. Da dove Gesù prende quest’acqua viva? Dalla sorgente. E qual è la differenza tra la sorgente e il pozzo? Nella sorgente l’acqua scaturisce e si può prendere facilmente, nel pozzo no. Il pozzo richiede fatica, richiede impiego di energie. La donna pensa che l’acqua debba essere attinta con le sue forze, faticando. La donna non conosce, né immagina la possibilità di bere l’acqua senza fatica. La donna non conosce l’immagine di un dono gratuito da parte di Dio. Tutto ciò che viene da Dio in qualche maniera bisogna pagarlo, bisogna comprarlo, bisogna meritarlo perché nulla nella religione è gratis: tutto ha un prezzo. Invece, Gesù presenta una sorgente, un’acqua che sgorga a disposizione di tutti: ecco il dono di Dio. «Sei tu forse più grande del padre nostro Giacobbe che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?» Come spiega Alberto Maggi, la donna conosce il dono di Giacobbe: il pozzo che richiede lo sforzo, ma non conosce quello di Dio: la sorgente, che è il dono gratuito. Ecco ancora una differenza fra religione e fede.

Oppure pensiamo al cambio dell’acqua in vino nelle nozze di Cana (Gv 2, 1), è il cambio dall’antica alla nuova alleanza, è il cambio dalla religione del merito alla fede del dono. Nella religione, i sacerdoti avevano fatto sì che l’uomo si sentisse sempre impuro e indegno nei confronti di Dio, e bisognoso di purificarsi in continuazione con l’acqua. Per questo servono enormi giare di acqua. Con Gesù, arriva il vino, il simbolo dell’amore e della gioia. Nelle nozze di Cana si cambia l’alleanza, si passa dalla religione alla fede: non più quello che l’uomo deve fare per Dio, ma quello che Dio fa per l’uomo. L’amore di Dio non va più meritato per gli sforzi dell’uomo, ma va accolto come dono gratuito da parte di Dio.

O ancora teniamo presente il ladrone sulla croce accanto a Gesù (Lc 23, 43): Gesù non si ricorderà di lui in paradiso, ma lo porta il giorno stesso con sé, perché il Dio che si manifesta in Gesù non è il Dio che guarda i meriti: il ladrone è, per la legge un pericoloso bandito, un terrorista; per la religione uno che non ha neanche chiesto perdono dei suoi peccati e non ha fatto nessuna penitenza. Se non ha nessun merito e va dritto in paradiso, vuol dire che Dio non guarda i meriti; se non ha nessuna particolare virtù, vuol dire che Dio non guarda le virtù.

Che Dio non guardi i meriti ma offra il suo amore gratuitamente si può intendere ad es. anche dalla parabola del pubblicano e del fariseo (Lc 18, 9ss.). Anche il fariseo della parabola si compiace dei propri meriti e delle proprie virtù, ma alla fine, chi ottiene il perdono e l’amore di Dio? Il pubblicano, pieno di peccati. Che meriti ha il pubblicano peccatore? Nessuno.

Nel Vangelo di Luca (Lc 9, 44) c’è un evidente passo a conferma che l’amore è slegato dal merito: dopo la guarigione del bambino epilettico che ha suscitato stupore ed entusiasmo nella folla, Gesù chiama in disparte gli apostoli e rammenta loro per la seconda volta che sta per essere ucciso. Con ciò vuol calmare il loro entusiasmo, e vuole che comprendano la poca consistenza del successo e l’aleatorietà della folla. Tuttavia Gesù, pur sapendo quanto sia effimero il sostegno popolare e pur non avendo fiducia in esso, non smette di occuparsi dei bisogni della folla. Dimostra così un amore per gli uomini che non si basa sui meriti. Né si scoraggia per la mancanza di risposta. Sta presentando l’amore gratuito di Dio[5]. Allora dobbiamo riconoscere che dove si manifesta un’espressione di amore non interessato, di amore gratuito, lì si può parlare di manifestazione visibile di Dio. Dunque, Dio non lo dobbiamo cercare lontanissimo nell’alto dei cieli: più terra terra, una presenza di Dio la possiamo toccare con mano in ogni mamma che ama il proprio figlio, in ogni coppia che si ama teneramente.

Inutilmente del resto Gesù aveva avvertito i suoi discepoli dal “guardarsi dalla dottrina dei farisei e sadducei” (Mt 16, 12). Cos’è questa dottrina dei farisei e dei sadducei dalla quale Gesù prende le distanze? È proprio la dottrina del merito. Già l’infallibile magistero di allora era riuscito a convincere la gente che l’amore di Dio ognuno se lo doveva meritare con fatica attraverso determinati stili di vita, attraverso le preghiere, attraverso le offerte che andavano nel Tempio. Anche per buona parte del magistero di oggi l’amore di Dio va meritato: devi essere bravo, devi essere obbediente; per essere il più grande devi osservare la legge e soprattutto obbedire ai rappresentanti di Dio in terra: ai vescovi.

Il rifiuto di questo nuovo indirizzo salta evidente all’occhio nella parabola dei lavoratori a giornata (Mt 20, 1-5). Gesù spiega che Dio non si relaziona con noi secondo il criterio di pagare ad ognuno secondo i suoi meriti, ma chi crede alla vecchia dottrina pensa che Dio sia ingiusto nel non pagare di più chi ha lavorato tutta la giornata.

E perché mi sembra molto più convincente questa nuova interpretazione rispetto a quella storica che viene ancora preferita da tanta parte del magistero, ad es. da quello americano che vorrebbe impedire a Biden di accedere alla comunione perché indegno?

Nella società è scontato che una madre debba amare il proprio figlio “a prescindere”. Cosa diremmo, invece, di una mamma che non accarezza e non coccola mai il suo bambino, ma anzi lo cresce con la convinzione che potrà forse amarlo solo se si sforzerà di obbedirle sempre, perché solo così meriterà il suo amore? Cosa penseremmo di una madre che subordina il suo amore alla condizione di non essere mai ferita ed offesa dal comportamento del suo bambino? O che ordinasse perentoriamente al suo bambino di volerle bene? Cosa diremmo di una mamma al cui cospetto il bambino non potesse neanche presentarsi se prima non si fosse pentito di ogni disobbedienza, se prima non si fosse umiliato con una congrua penitenza, se prima non avesse fatto almeno qualche fioretto di penitenza? Diremmo sicuramente che è una madre indegna, perché in realtà sta disprezzando il figlio che non corrisponde alle sue aspettative e lo elimina dalla sua vita. Per fortuna, la maggior parte delle madri ama i propri a figli a prescindere da quello che (di buono o cattivo) combinano nella vita: le mamme, di solito, offrono gratuitamente il loro amore ai propri figli. Non c’è da cercare una causa del loro amore: amano il proprio figlio così com’è, anche se è un delinquente, anche se ne combina una più di Bertoldo, e basta.

Ma allora, com’è possibile che l’amore di Dio, il non plus ultra dell’Amore, ci venga prospettato in termini che, se manifestato da una madre terrena, catalogheremmo immediatamente come indegno? Com’è possibile che l’amore di Dio non sia elargito gratuitamente a tutte le sue creature, buone o cattive, se così fa una qualsiasi normale madre di questo mondo? Com’è possibile che Dio faccia ai propri figli quello che un genitore mai farebbe al proprio figlio (es.: “se mangi un panino al prosciutto di venerdì non voglio vederti mai più.” “Se non vieni a messa una domenica non voglio vederti mai più”)? Evidentemente non è possibile. Se così non si comporta un genitore appena appena normale,[6] così non può comportarsi neanche Dio.

È chiaro, allora, che, prospettato in questi termini, è ben difficile credere all’asserito amore di Dio verso tutti gli uomini quando poi la Chiesa ci fa vedere un dio peggiore di una madre appena passabile. Perché? Ma perché avendo fortunatamente la maggior parte di noi sperimentato l’amore materno in modo tangibile, sappiamo che l’amore non ha nulla a che fare col merito, esattamente come l’amore non ha nulla a che fare col denaro: l’amore non si merita e non si compra. È vero che ci sono anche dei ricconi che pensano di compare col denaro l’amore di una donna, ma sappiamo che sono degli illusi. Sappiamo anche che ci sono tanti genitori che si sentono in colpa perché non stanno abbastanza tempo con i propri figli, e allora cercano di compensare questa loro assenza comprando loro un sacco di regali, ma sappiamo che i soldi non compensano veramente una carenza affettiva.

Se poi arriviamo alla conclusione che l’amore delle mamme (offerto gratuitamente) è migliore dell’amore di Dio (che lo elargisce solo a chi lo merita), è scontato che, quando l’uomo si scopre migliore del dio al quale viene invitato a credere rifiuta questo dio che appare inferiore a noi nella capacità di amare. Se un amore non migliora la nostra esistenza, non ci fa più contenti di essere nati, non ci fa almeno più sereni, non è amore.

Conclusione? Se Gesù viene a portare questa buona notizia secondo cui Dio ama gratuitamente le persone così come sono (anche se peccatrici) e la salvezza non viene attraverso i meriti, la spiritualità cristiana non dovrebbe allora consistere nello sforzo di acquisire la perfezione morale accumulando meriti su meriti.

Ulteriore conseguenza? Non si può escludere nessuno dalla comunione ritenendo che non abbia meriti sufficienti.

Detto questo che a me sembra molto chiaro, non so proprio come il papa, in questa complicata situazione di tanti alti prelati che gli remano contro, riesca a dormire di notte. Non resta che pregare per lui, come del resto lui stesso spesso chiede.



NOTE

[1] In “www.erzbistum-muenchen.de” del 4 giugno 2021 (traduzione rivista da: www.finesettimana.org).

[2] In www.vatican.va/Sommi pontefici/papa Francesco/Lettere 2021.

[3] Vedi più ampiamente per l’intera vicenda l’articolo Biden e la comunione al n. 612 de “Il giornale di Rodafà”, https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-612.

[4] Ovviamente non è che l’idea di chi vuol escludere Biden sia campata letteralmente in aria. Il canone 915 del codice di diritto canonico stabilisce che ‘non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto’. Quanto all’aborto, il canone 1398 stabilisce che ‘chi ricorre all’aborto, conseguendone l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae’ e il canone 1329 estende tale scomunica i ‘complici’ di un delitto. Per i conservatori, un politico ‘pro choice’ rientra nel novero dei complici, per i progressisti no, tanto più quando un cattolico come Biden è personalmente contrario all’interruzione di gravidanza, ma rispettoso della giurisdizione laica statale.

[5] Mateos J. e Camacho F., Il figlio dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 93 s.

[6] È di quale anno fa la storia di un padre, a Treviso, finito sotto processo per maltrattamenti perché, volendo che il figlio diventasse un campione di nuoto, lo costringeva ad estenuanti allenamenti e dall’esito delle gare faceva dipendere le sue dimostrazioni di affetto (Se non vinci non ti voglio bene, “Il venerdì di Repubblica”, n. 1337/2013, 48). Il Dio che la dottrina della Chiesa ci ha spesso mostrato dovrebbe essere processato per maltrattamenti.