Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

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I racconti a puntate di Rodafà


di Stefano Agnelli


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Martina e il diapason felino - II


Fu un attimo. Le sue gambe si mossero quasi da sole, prima ancora di aver completamente maturato una decisione, si trovò a scendere velocemente le scale, mentre Hector e Musetta trotterellavano decisi verso il basso, a pochi passi da lei, non prima però d’essersi infilata velocemente il diapason nella tasca del golfino che portava. La coppia di felini sembrava sapere con precisione dove andare, e percorreva una stanza dopo l’altra, dirigendosi alla porta che, dalla cucina di servizio, dava sul retro, nel grande parco piantumato. Giunti che furono davanti alla porta, si voltarono entrambi verso Martina, come a voler sincerarsi delle intenzioni della bambina, rinnovando così l’invito a seguirli, poi, uno dopo l’altro, si infilarono rapidi nella gattaiola, che emise un debole cigolio. Martina non perse tempo. Aprì la porta ed uscì in giardino, senza avvertire nessuno di casa, come invece avrebbe dovuto fare. Con suo malcelato stupore si accorse che Hector era nuovamente sparito, ad attenderla, accucciata a pochi passi dalla porta, c’era infatti la sola Musetta, che ora la fissava inclinando la testa, a destra, a sinistra e muovendo la coda nello stesso modo, all’unisono. Prima ancora che Martina potesse guardarsi attorno, alla ricerca di Hector, la sua compagna si alzò da terra e compiendo un elegante giro su sé stessa si diresse al centro del parco.

Forse non dovrei seguirla – pensò la bambina fermandosi.

Quasi le avesse letto nel pensiero, Musetta tornò sui suoi passi e, guardandola in un modo che si potrebbe dire interrogativo, alzò la testa emettendo impercettibili e continui miagolii, come fanno i gatti quando, a passo lento, si dirigono verso un avversario per azzuffarsi. In realtà aveva tutta l’aria di un rimprovero, forse di un invito a fare in fretta, almeno così sembrò a Martina che, abbandonando ogni dubbio, riprese a seguirla.

Giunsero così nei pressi di una vecchia e strana fontana circolare, con decorazioni in ferro battuto stile liberty, che stava esattamente al centro del parco. Anche questa zona, come del resto la soffitta, le era stata severamente vietata, perché qui come nel sottotetto, poteva farsi male – aveva detto sua madre – e nessuno se ne sarebbe accorto, dato che in entrambi i luoghi i genitori e la servitù non andavano mai.

Senza pensare più di tanto a queste raccomandazioni, la bambina si avvicinò alla fontana per guardarla meglio, poiché l’aveva vista una sola volta e dal margine della radura dove era collocata. Musetta, con un breve balzo e senza alcuno sforzo apparente, saltò sul bordo in cemento della grande vasca, senz’acqua da molti anni, e subito l’aria tutt’attorno al perimetro circolare della fontana divenne traslucida. Fu come se all’improvviso una piccola porzione d’atmosfera, circoscritta alla sola vasca, diventasse visibile, assumendo l’opacità del vetro. Martina rimase immobile, non aveva paura, anzi, avvertiva nuovamente la stessa sensazione di benessere provata in soffitta. L’aria attorno alla fontana, che nel frattempo aveva assunto la forma di una cupola, una semisfera geometricamente perfetta, inizio a vorticare, assumendo tutti i colori dell’iride ed emettendo suoni striduli e disarmonici. Musetta, per niente infastidita dai suoni in fastidiosa e continua variazione di tono e frequenza, se ne stava accucciata sul bordo della fontana, guardando ora verso l’interno e ora verso la bambina, come se aspettasse qualcosa da lei. Martina ebbe un’improvvisa intuizione. Estrasse dalla tasca lo strano diapason, che aveva trovato in soffitta, e lo avvicinò alla cupola d’aria, sino a toccarla con entrambe le lamine a forma d’orecchio felino. Tutto avvenne in un attimo. Non appena le lamine vennero a contatto con l’aria, translucida e iridescente, ci fu un rapidissimo bagliore accecante, come il flash d’una invisibile macchina fotografica, e i suoni, da stridenti e acuti che erano, divennero lenta melodia per pianoforte, mentre in sottofondo si poteva avvertire il gorgoglio dell’acqua: la fontana aveva ripreso a funzionare.

Musetta, come se non aspettasse altro, fece un altro giro su sé stessa e, ad iniziare dalla testa, si infilò completamente, con tutto il corpo – coda compresa - nella barriera d’aria traslucida che, da quando era stata toccata dal diapason, era divenuta opaca, d’un bianco lattiginoso. La melodia divenne allora più lenta, ed il gorgoglio dell’acqua lasciò il posto ad un cinguettio ininterrotto d’una moltitudine di uccellini. Martina, che a causa del lampo improvviso aveva fatto qualche passo indietro, si riavvicinò alla fontana. Spinta dalla curiosità, toccò la cupola con la punta delle dita della mano destra, e subito queste scomparvero all’interno della cupola, mentre lei provava un leggero solletico in tutta la mano. Ritirata che l’ebbe, decise di infilare la testa, allo scopo di guardare dall’altra parte. Così fece, e quello che vide superò ogni aspettativa. Si aspettava una vasca d’acqua, e invece stava guardando, da pochi centimetri di altezza, un prato ricolmo di erbe e fiori quali non aveva mai visto prima, e sì che sua madre, nella serra dietro casa, teneva molte varietà di piante. La maggior parte dei fiori erano color arancione, con striature viola o celeste, ma ve n’erano anche di blu e gialli, spiccavano fra tutti poi, alcuni dallo stelo gigantesco e dai petali a forma di grande campanula, completamente trasparenti, ma striati in rosa e bordati di rosso porpora. Il prato era inoltre occupato quasi interamente da grandi alberi a latifoglia, dal tronco massiccio e verde pallido – Martina ebbe come l’impressione che fossero vivi e l’aspettassero - sul quale la bambina notò subito delle grosse macchie color grigio scuro che, nonostante la distanza, le sembrarono formate da tanti granuli addensati. Nei tronchi, specie quelli più grossi, vide tanti fori di ogni forma e grandezza, ma la più parte ovali o circolari, che sembravano indicare delle tane. Erano proprio delle tane! Da una di queste la bambina vide spuntare un gatto dal pelo rossastro che, servendosi dei propri artigli, scese agilmente a terra. Allora concentrò meglio lo sguardo fra l’erba e notò subito, accucciati in gruppi di tre o quattro, decine di gatti di ogni razza e colore. D’improvviso qualcuno o qualcosa la spinse delicatamente da dietro, quel tanto che bastava per farle perdere l’equilibrio e passare completamente la barriera d’aria. Si ritrovò così dall’altra parte, stesa sul prato, la faccia a terra. Alzò la testa e vide Musetta che, immobile a pochi passi da lei, teneva gli occhi fissi nei suoi. Per la prima volta notò quanto fossero calmi e profondi, come mare al largo, ma in quiete. Nel frattempo, con un rumore somigliante ad una forte corrente d’aria, la barriera svanì, non prima però di aver fatto passare, proprio all’ultimo secondo, l’agilissimo Hector, il quale subito si avvicinò alla bambina, annusandola e leccandola. Mentre recuperava la posizione seduta e sentiva attorno a sé il profumo dei tanti fiori presenti in quel misterioso prato, un odore di cannella, spezie e arancia candita, Martina si chiese incuriosita:

Dove accidiamine sono mai capitata? -


(fine seconda parte)

Numero 692 - 18 dicembre 2022