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Elevazione alla Messa Solenne celebrata secondo il rito del 1954. La Messa è stata officiata il Giovedì Santo del 2017 da Padre Robert C. Pasley presso la Chiesa Mater Ecclesiæ di Berlino NJ. Foto tratta da commons.wikimedia.org.

Suddiacone


di Stefano Sodaro



C’è mica forse un po’ di “gesuitica astuzia” ad improntare il Motu Proprio Spiritus Domini di Francesco Papa? L’esortazione presente al capitolo 10, verso 16, del Vangelo di Matteo – “siate dunque prudenti come i serpenti e candidi come le colombe” – sembra effettivamente essere stato il motore di una iniziativa pontificia che, mentre ribadisce fermamente l’asserito divieto dogmatico alle ordinazioni femminili, apre, improvvisamente, all’istituzione di lettrici ed accolite.

Francesco non ratifica una prassi già in uso da decenni, come pure in molti commenti si legge, ma consente che la storicamente assai ricca simbologia del rito liturgico di istituzione – con camice bianco, traditio instrumentorum (libro delle Scritture per il lettorato, patena e calice per l’accolitato) e benedizione episcopale – riguardi ora a pieno titolo anche candidate donne ai due ministeri. Ministeri che sin dal 1972 (il 15 agosto, “nella solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria”) Paolo VI, con il primigenio Motu Proprio Ministeria quaedam (Mq) – ora innovato da Francesco -, aveva reso laicali, abolendo i corrispondenti ordini minori e consentendone l’accesso ai laici.

Riporta il n. III di quel documento di quasi cinquant’anni fa: I ministeri possono essere affidati anche ai laici, di modo che non siano più considerati come riservati ai candidati al sacramento dell’ordine. Paolo VI non parla di “chierici” – dal momento che il precedente n. I di Mq dispone che “l’ingresso nello stato clericale è annesso al diaconato” – ma di “candidati al sacramento dell’ordine”, da ciò derivando che la diffusissima prassi di istituire lettori ed accoliti quasi esclusivamente seminaristi era ed è in contrasto con la previsione voluta dal medesimo Paolo VI.

Francesco è intervenuto su altra previsione – non su questa, per appunto già vigente benché quasi completamente disapplicata e disattesa -, abolendo il disposto del n. VII di Mq che dispone(va): L’istituzione del lettore e dell’accolito, secondo la veneranda tradizione della Chiesa, è riservata agli uomini. Era la grundnorm del § 1 del canone 230 del Codice di diritto canonico, che recepiva tale riserva, ma che ora – quanto meno alle ore 20:17 di sabato 16 gennaio 2021 – compare, sul sito della Santa Sede, nella seguente forma grafica:

Can. 230 - §1. ⁿ I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa.

Il vistoso ingrandimento del segno è nostro, ad attestazione di una modifica del diritto canonico su questione specificamente di genere, aspetto su cui si è espresso, con la consueta maestria di approfondimento, il liturgista Andrea Grillo (https://www.cittadellaeditrice.com/munera/riconoscere-un-segno-dei-tempi-lautorita-femminile-in-due-testi-di-rilievo/).

Che non si tratti di semplice assestamento di un nonnulla giuridico ce lo confermano niente poco di meno che, ad esempio, Cristina Simonelli, Presidente del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI) - https://re-blog.it/2021/01/13/11-gennaio-2021-lettrici-e-accolite/, ove l’insigne patrologa ricorda che «Decenni di pratiche, decine di interventi anche autorevoli, alcuni proposti al Concilio, altri da Sinodi di vescovi: niente, tutto si spuntava contro un muro apparentemente invalicabile. Qualcuno magari non aveva remore a spiegare – fuori onda – il motivo: alle donne, se dai un dito, ti prendono non solo il braccio, ma tutto. All’altare non si dovrebbero proprio avvicinare, altrimenti poi non le cacci più da lì.» -, e l’ecclesiologa Serena Noceti, nella sua intervista alla Radio Vaticana - https://www.vaticannews.va/it/podcast/rvi-programmi/la-finestra-del-papa/2021/01/la-finestra-del-papa-seconda-parte-13-01-2021.html -, che si raccomanda per chiarezza esemplare di delineazione dei termini della questione.

Ed ancora la teologa Assunta Steccanella, https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/ministeri-istituiti-alle-donne-non-e-cosa-da-poco/.

E la grande storica della Chiesa Adriana Valerio - https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2021/01/ancora-troppo-poco-la-chiesa-resta-in-mano-agli-uomini-int-adr-valerio-rep.pdf – che sottolinea come “«Si tratta di un importante passo istituzionale; si parla, infatti, di “ministeri istituiti” dando visibilità a un servizio che le donne possono ufficialmente svolgere e che avrà anche un importante impatto simbolico. Vedere le donne sull’altare con paramenti liturgici, dopo aver ricevuto con apposito rito gli ordini minori di lettorato e accolitato, cambierà certamente la percezione del femminile che non sarà visto più come impuro e incompatibile con il sacro».

Qui vorremmo accennare, tuttavia, ad un ulteriore profilo che può far sobbalzare di sorpresa, ma che un’analisi dei testi, condotta nemmeno con troppa acribia, effettivamente consente. Dispone Paolo VI al n. IV di Ministeria quaedam: “I ministeri che devono essere mantenuti in tutta la Chiesa latina, adattati alle odierne necessità, sono due, quello cioè del lettore e quello dell’accolito. Le funzioni, che finora erano affidate al suddiaconato, sono demandate al lettore e all’accolito, e, pertanto, nella Chiesa latina, non si ha più l’ordine maggiore del suddiaconato. Nulla tuttavia impedisce che, a giudizio della Conferenza episcopale, l’accolito, in qualche luogo, possa chiamarsi anche suddiacono.

Grassetto e sottolineatura sono di chi qui scrive, ma risulta chiaro e coerente che, consentendo l’accesso all’accolitato alle donne, anche le accolite possano chiamarsi, secondo il giudizio dei Vescovi, suddiacone.

Il diaconato femminile “clericale” sino ad ora sospeso, e non si sa sino a quando, viene per così dire quasi superato dal “suddiaconato femminile laicale”, con buona pace di distinguo e cautele. L’astuzia evangelica di Matteo fa sorridente capolino.

Per non mettere a dura prova la pazienza di lettrici e lettori ci fermiamo qui, ma l’investigazione storico-teologica e e storico-canonistica dell’articolazione del suddiaconato, nella sua complessa simbologia liturgica, conduce ad ulteriori risultati altrettanto sorprendenti se ora estensibili alle donne presenti sull’altare con il camice (“od altra veste liturgica”) a norma del n. 339 dell’Ordinamento Generale del Messale Romano. Ad esempio, il secondo capoverso del n. 28 del Cerimoniale dei Vescovi dispone che “nelle celebrazioni presiedute dal vescovo è opportuno che servano accoliti istituiti” e dunque traducendo: che “nelle celebrazioni presiedute dal vescovo è opportuno che servano accolite istituite”, che possono essere chiamate “suddiacone”.

Ogni ministero liturgico ha portata e significato che coinvolgono una duplice dinamica, in cui vita quotidiana vissuta e mensa eucaristica condivisa costituiscono i due poli di un continuo e reciproco movimento di andata e ritorno.

Compare, tuttavia, una grave perplessità se non un dubbio vero e proprio: la corsa al rito ad ogni costo pur in tempo di pandemia, anche a costo dell’amputazione della liturgia e del suo stravolgimento in ottica di necessaria cautela anti-contagio – con tratti di arbitrarietà teologica assai critici e problematici -, sembra aver di molto ridimensionato la consapevolezza che i laici, come riconosce il Vaticano II al secondo capoverso del n. 34 della Costituzione dogmatica Lumen Gentium – “consacrano a Dio il mondo stesso”.

Sapranno le suddiacone – o forse le coppie suddiaconali, soggettività pastorali e liturgiche inedite, del tutto nuove, formate da uomini e donne che condividono lo stesso ministero laicale -, rimettere al centro, riconsegnare alla coscienza ecclesiale, tale consecratio mundi, senza la quale ne va della stessa fede cattolica? È una sfida ed un compito, da far tremare vene e polsi, anche sotto rubri abiti talari.

Ma è così, “nonostante qualunque cosa in contrario”.

Buona domenica.