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Che cos’è la religione?


di Dario Culot

Se nessuno ce lo chiede, tutti sappiamo cos’è la religione. Tutti sappiamo che ogni religione parla di Dio. Abbiamo tante volte sentito dire che Gesù ha fondato la religione cristiana. Ma cosa intendiamo esattamente col termine “religione”? Se non diamo tutti lo stesso significato al termine che stiamo usando, finiremo col parlarne, discutere, magari anche litigare senza alcuna possibilità di intenderci. Quindi, quando si usano certi termini, per prima cosa è essenziale stabilire cosa s’intende con quel termine. Cosa intendiamo, allora, per religione?

Se andiamo a consultare un dizionario teologico, resteremo probabilmente sorpresi dallo scoprire che la voce religione è totalmente assente in oltre la metà dei testi[1]; alcuni autori la indicano solo per rinviare ad altri termini;[2] altri la richiamano solo per far notare che il termine non esiste nel Nuovo Testamento[3]. Come mai, se il cristianesimo è ufficialmente definito come la religione della Parola di Dio (n. 108 Catechismo)?

La risposta è piuttosto semplice: il termine religione non si trova nei vangeli[4] per cui normalmente non si trova neanche nei dizionari teologici, i quali sono quei libri che commentano le parole presenti nei vangeli. Questo implica che Gesù non ha mai parlato di religione, né alle folle, né ai suoi discepoli. L’insegnamento di Gesù non è dunque una religione[5] perché se Gesù non ha mai parlato di religione, non può neanche aver fondato una religione. Anzi: è stato ammazzato perché il magistero di allora era convinto che Gesù cercasse di demolire la religione d’Israele, l’unica vera.

Come però è stato ben ricordato dall’amico Silvano Magnelli, il chirurgo fondatore di Emergency (Gino Strada) da anni in prima linea nelle zone di guerra, è stato uno che si dichiarava ateo ma si è sempre attivato a favore delle vittime. Se uno ama come lui aveva amato i sofferenti, se anziché voler primeggiare si mette al servizio degli altri alleviando le loro sofferenze è di per sé solo un seguace di Cristo, anche se areligioso, cioè indifferente rispetto alla religione. E, come diceva don Milani, è probabile che Dio non guardi queste sottigliezze... cioè se uno si dichiara ateo, non è dei nostri e quindi non può essere gradito a Dio.

Anni fa, a Milano, alla fine di una conferenza pubblica affollata, uno dei presenti, un fedele cattolico intransigente, di quelli che sanno tutto di Dio e indicano agli altri qual è la Verità cui tutti devono aderire, essendo incapace di immaginare che chi non crede in Dio possa fare del bene, gli aveva domandato in nome di quale fede ideale o religiosa faceva quello che faceva. Gino gli ha risposto con disarmante semplicità che lo faceva perché, quando vedeva un ferito guarire, un bambino salvarsi, una persona riprendersi, lui era semplicemente felice. Ecco perché a Gesù interessavano questi portentosi e amabili fratelli (che – al pari dell’eretico ed extracomunitario buon samaritano - difficilmente s’incontrano nelle nostre chiese, ma per fortuna esistono nel nostro mondo sgangherato), e diceva alla gente stupefatta che queste sono le persone ci precederanno nel Regno dei Cieli.

Quando il cardinale Biffi afferma che il cristianesimo è anche una religione perché stabilisce una regolamentazione del culto, propone una legge morale, ma è essenzialmente un avvenimento dove il Figlio di Dio si fa uomo, muore in croce e risorge, per cui ci coinvolge se ci lasciamo coinvolgere,[6] mette in rilievo un aspetto formale (il culto creato dall’istituzione e le leggi da essa emanate) e un aspetto sostanziale (la sequela di Gesù se ci si lascia coinvolgere). Va però sottolineato che l’aspetto sostanziale di sequela non rientra nel concetto di religione. Gesù aveva semplicemente proposto un modo totalmente nuovo di intendere il rapporto tra gli uomini e Dio, cambiando l’immagine di Dio che si aveva in allora: il cuore del messaggio del Gesù storico sta nell’accesso diretto a immediato di qualsiasi essere umano a Dio, nell’amore incondizionato di Dio per tutti,[7] e poco altro. Se ci concentrassimo su queste poche cose, e buttassimo via la maggior parte delle incrostature che la Chiesa ha aggiunto nel corso dei secoli, forse sarebbe più facile accettare il messaggio. Inoltre Gesù ha anche cambiato la nozione di credente e quella di culto: l’istituzione religiosa in allora gridò allo scandalo e si stracciò le vesti. Ma neanche l’istituzione di oggi sembra aver digerito questo cambiamento: ancora oggi continua a dire, come già insegnavano i sacerdoti ebraici, che per essere graditi a Dio bisogna fare come dice lei; che l’uomo deve essere sottomesso e assoggettato a una legge che lei sola interpreta e, che in base a questa sua perfetta interpretazione, sempre e solo lei decide chi può fa parte del gruppo dei graditi a Dio e chi ne resta fuori. Così ha creato una religione che Gesù non aveva fondato. Ha creato una religione perché si è arrogata il potere di dire: “Tu sei a posto e puoi entrare, tu sei impuro e devi stare fuori”. A questa pretesa si può obiettare che non basta vivere nella Chiesa e seguire il suo insegnamento per essere fedeli al Vangelo[8]. Ma ancor peggio per coloro i quali sostengono che se non si seguono le norme d’etica e di morale[9] fornite da Gesù (e approfondite dalla Chiesa) non ci si salva, che se si pecca contro Dio non ci si salva, che se non si obbedisce in sottomissione alla Chiesa non ci si salva, ricordo che – come dimostra l’episodio della prostituta perdonata (Lc 7, 36ss.),- si può essere graditi a Dio anche vivendo in una situazione che la Chiesa è convinta sia peccaminosa, perché per Gesù la sofferenza umana è molto più importante del peccato[10].

A questo punto, allora, sorge spontanea una domanda: perché, se ci chiedessero di che religione siamo, i più risponderebbero senza esitare che siamo di religione cattolica, mentre se ci chiedessero subito dopo cos’è la religione, avremmo tutti un attimo di incertezza e non sapremmo dare una risposta immediata?

In Italia, oltre l’80% degli intervistati si dichiara cattolico, anche se poi meno del 30% va a messa la domenica; il 25% non ci va mai, e il resto ci va saltuariamente, e solo il 22% riconosce alla Chiesa cattolica il monopolio della verità di fede, mentre il 45% ritiene che non ci sia bisogno della Chiesa e dei preti[11]. Semplicemente crediamo che la nostra sia una religione perché ci hanno sempre detto che la nostra è una religione. Ma allora cosa è in realtà una religione?

In antropologia, anni addietro prevaleva l’idea che la religione fosse nata per allentare le tensioni che inevitabilmente sorsero quando i cacciatori-raccoglitori, a causa del riscaldamento del clima (fine dell’ultima era glaciale attorno al 9600 a.C.) divennero agricoltori. Una vegetazione e una selvaggina più abbondante permise la fine del nomadismo e un insediamento in villaggi, per cui si pensò che la religione era nata al fine di favorire una collaborazione sociale, tanto più indispensabile quanto più il gruppo diventava grande e quindi più fragile, con maggior possibilità di attriti e scontri. La religione, inoltre, sarebbe forse servita anche a giustificare le gerarchie sociali che si creavano in una società sempre più complessa: a chi deteneva il potere veniva riconosciuto un legame speciale con gli dei. Negli ultimi tempi, però, anche grazie alla scoperta del più antico sito di architettura monumentale di Göbekli Tepe, in Turchia, risalente sempre attorno al 9600 a.C., con i suoi blocchi di calcare di oltre 5 tonnellate abbondantemente scolpiti, si è cominciato invece a pensare che l’agricoltura nacque per sfamare le grandi quantità di persone che si radunavano nei luoghi sacri al fine di realizzare le costruzioni e poi per partecipare ai riti. Quindi, non più la religione come conseguenza dell’agricoltura, ma esattamente l’inverso: l’uomo ha sentito prima il bisogno di radunarsi per partecipare a riti sacri[12]. Dunque tutto torna in discussione. Cos’è allora la religione? Sicuramente è un termine ambiguo, e come tutti i termini ambigui può significare tante cose.

Un pastore protestante, di cui sfortunatamente non ricordo il nome, ha dato questa stupenda definizione poetica: la religione è l’uomo che cerca Dio mentre il vangelo è Dio che cerca l’uomo. Indubbiamente questo teologo sta dicendo qualcosa di vero, ma la sua definizione non corrisponde al concetto che normalmente si ha della religione. Meno poetica, ma altrettanto sintetica, è la definizione di religione come il darsi del divino nella storia umana,[13] dove sembra che l’iniziativa spetti al divino, con l’enorme problema di capire quanto l’uomo, essere finito, coglie e quanto invece fraintende dell’infinito.

Se sfogliamo un dizionario moderno, la religione è definita come il rapporto, variamente identificabile in sentimenti e manifestazioni di omaggio, adorazione e venerazione, che lega l’uomo a quanto egli ritiene sacro[14]. Secondo un’altra definizione, la religione è l’insieme di credenze e manifestazioni con cui l’uomo riconosce l’esistenza del soprannaturale, ma anche ognuna delle varie forme storiche in cui la fede nella o nelle divinità si è incarnata.[15] C’è poi chi più genericamente definisce la religione come un fatto universale e collettivo che permette all’uomo di mettersi in comunicazione con forze invisibili e superiori.[16] Insomma, in termini forse più semplici, potremmo dire che la religione è una creazione dell’uomo per entrare in contatto (in comunione?) con Dio. All’uomo, infatti, non basta cercare Dio; lo cerca per qualcosa, perché spera di ottenere qualcosa da questo contatto, come ben emerge dal termine greco.

Il termine italiano di religione deriva dal latino religare, che significa vincolare, legare insieme: siamo un gruppo legato e ri-legato dalle medesime credenze in qualcosa. Diceva un Omero piuttosto pessimista (Iliade VI, 146): “Tal e quale la stirpe delle foglie è la stirpe degli uomini”. Invece la religione porta una ventata di ottimismo: non siamo proprio come foglie che cadono al vento, perché il legare tutte le foglie a un unico albero dà un senso alla vita, senso che si perde se uno guarda solo alle foglie autunnali ormai sparse e abbandonate sul terreno. Così c’è chi definisce la religione appunto come la risposta che l’uomo dà al problema del senso della vita[17].

Ma è il greco che ci dimostra meglio come l’uomo non si accontenta di cercare qual è il senso della vita, o per il puro piacere della conoscenza. In greco, il termine che traduciamo con religione è deisidaimonìa composto dal vero ‘temere’ (déido) e dal sostantivo ‘demone’ (daimon)[18]. Piuttosto inquietante, vero? anche se daimon si traduce non solo con demone, ma pure con divinità:[19] nel paganesimo prevaleva infatti il sincretismo, per cui si faceva un calderone unico fra esseri angelici e demoniaci, alcuni amici degli uomini, altri pericolosamente nocivi. L’idea penetrò all’inizio anche nel cristianesimo. Ad esempio Giustino ricordava come nei tempi passati cattivi demoni violarono donne, corruppero fanciulli e mostrarono paurose visioni agli uomini; tutti ne erano spaventati, e incapaci di giudicare con il lume della ragione i fatti che succedevano, restavano in preda della paura; ma soprattutto, ignorando che quelli fossero demoni cattivi, li chiamavano dèi e ciascuno col nome che ciascun demone si assegnava[20]. E ancora il monaco Evagrio[21] rammentava che occorre saper individuare molto bene le diversità dei demoni, seguendo con tale termine il concetto greco che abbracciava tutte le forze che mediano fra Dio e l’uomo,[22] perché sono essi che alla fine ci impediscono di compiere l’effettuabile[23]. Il solo richiamo al significato originale di questo termine (deisidaimonìa) è però di per sé sufficiente per farci capire come i greci erano dell’idea che la religione fosse stata creata dagli uomini per ottenere la benevolenza della divinità: la paura degli spiriti, il desiderio di conciliarseli, o ancor di più la speranza di farseli alleati, aveva portato alla creazione della religione. Si era convinti che il soprannaturale esisteva veramente, ed era bene tenerselo buono. Anche lo storico greco-romano Polibio, pur dimostrando chiaramente di non credere più all’esistenza degli dèi al pari di un vero ateo moderno, sosteneva che la loro invenzione fin dai tempi più remoti da parte di una saggia classe politica era utile per la convivenza sociale: “Se fosse possibile che lo Stato fosse composto da soli filosofi, questi artifici non sarebbero necessari. Ma dal momento che le masse popolari sono incoerenti, piene di riottosi desideri, passionali e imprevidenti delle conseguenze, devono essere riempite di paura per tenerle a bada; per questo gli antichi ben fecero ad inventare gli dei e anche l'idea della punizione dopo la morte”[24]. Dunque la religione deve far paura per tenere a bada il popolo, e la paura è sempre un buon collante per tenere il popolo sul retto cammino[25].

Il concetto di religione non è cambiato di molto nel corso dei secoli. Ecco perché ancora oggi possiamo dire che, per chi crede all’esistenza del soprannaturale, per religione s’intende quell’insieme di atteggiamenti, di pensieri, di ideologie, di leggi che nascono dall’uomo per entrare in contatto con la divinità, ottenere la sua benevolenza,[26] e possibilmente anche la sua protezione. È stato osservato come ogni religione nasca dall’eccedenza della vita rispetto alla capacità di controllo che ne ha l’uomo, e ciò che non si controlla fa paura. La religione è, allora, il tentativo di venire a patti con una zona dell’essere fuori del controllo delle normali forze umane e che per questo è denominata abitualmente mistero[27]. È questa eccedenza della vita a generare nell’uomo il sentimento di essere inserito in una dimensione più grande da cui egli dipende[28]. Quando la divinità non è benevola nei nostri confronti, dobbiamo temere la sua ira, dice la Bibbia: c’è il rischio che faccia piovere sugli empi brace, fuoco e zolfo (Sal 11, 6). Siccome poi Dio è lontanissimo da noi, nella sfera della purità e santità assoluta, lontano dal male, mentre l’uomo vive nella sfera della materialità profana e del peccato, ecco che occorre sempre pentirsi della propria impurità, dei propri peccati che tanto fanno arrabbiare Dio, purificarsi e offrirgli sacrifici per cercar di riparare le proprie colpe e sperare nel suo perdono. È ovvio pensare che Dio sia soggetto all’ira, sostenevano già gli scrittori antichi che credevano nel soprannaturale: se non si adirasse con gli empi, non amerebbe neppure gli uomini pii e giusti[29]. Questo, però, è un ragionamento di maschio, perché normalmente una madre ama suo figlio anche se sa che non è proprio né pio, né santo. Freud[30], proprio partendo dal concetto che nel bambino la figura della madre viene presto sostituita dalla più forte figura del padre che dà sicurezza,[31] si riallaccia al pensiero antico chiarendo che l’uomo, non potendo sopportare di essere debole e solo di fronte a una natura crudele e a una società egoista, si rifugia in una regressione infantile proiettando sulla divinità (illusoriamente da lui creata) il suo bisogno di protezione e di sicurezza. Insomma, Freud è convinto che l’uomo crea la divinità a causa del suo intenso desiderio di consolazione, sì che tutte le dottrine religiose sono mera illusione.

In ogni caso è vero che noi siamo ancora intrisi dell’idea religiosa secondo cui si deve aver timore di Dio (Dt 6, 24; Prov 10, 27) (o degli dèi), bisogna obbedirgli (Es 32, 10; Lv 26, 3 e 14), sapendo che la disobbedienza scatena la sua ira. Ad esempio, vi siete mai chiesti perché c’è il digiuno religioso? È chiaro a tutti che il digiuno sarebbe del tutto inutile se fossimo veramente convinti di avere assicurato sempre e comunque a priori il perdono del nostro Dio, anche quando gli abbiamo disobbedito. Se si digiuna, lo si fa per ottenere crediti presso Dio[32]. Ma, a parte i pochi che cercano di avvicinarlo con una faticosa ascesi fatta di digiuni, preghiere, e quant’altro, come può l’uomo comune – che non può vivere, o che non ce la fa a vivere con lo spasmodico impegno dei santi eremiti – osare avvinarsi a Dio, toccare con le sue mani impure l’intoccabile, il puro, l’infinitamente santo? Ecco che ha bisogno di un mediatore,[33] un addetto al culto (sacerdote), il quale realizza questa mediazione con riti particolari (il culto), in spazi particolari e sacri (nel Tempio, nella chiesa), seguendo procedure appositamente studiate (liturgia), impartendo regole particolari (comandamenti, precetti). In ogni caso, per attirare l’attenzione di un Dio lontano e quindi disattento o quanto meno distaccato dai nostri bisogni, per sperare di meritare la sua benevolenza, il suo perdono e il suo favore, servono preghiere, penitenze e digiuni, sofferenze e sacrifici da offrirgli[34]. Riconoscendo la superiorità della divinità, l’uomo le si sottomette, ed esprimendo la propria piccolezza davanti alla sua riconosciuta superiore potenza, si mette in ginocchio. Gli dei della religione, ma anche il Dio unico della religione, si compiacciono di ricevere doni e sacrifici dagli uomini sottomessi. Ecco, allora, che viene fuori un’immagine della divinità perfettamente sovrapponibile all’immagine di un sovrano terreno che sta su un trono in alto: come nell’antichità il sovrano, persona che deteneva anche la condizione divina, veniva collocato al di sopra di tutti gli altri uomini,[35] così anche la divinità inaccessibile veniva necessariamente collocata in alto. Come era impossibile all’uomo comune accedere al re, o comunque per farlo doveva passare attraverso rigidi cerimoniali di corte, ugualmente non era possibile agli uomini comuni accedere alla divinità se non attraverso rigidi cerimoniali, culti, luoghi e spazi riservati a questo scopo.

Quando si radicano queste idee, si finisce per qualificare come credente o uomo religioso - che sono spesso, ma erroneamente, usati come sinonimi - colui che s’impegna ad osservare scrupolosamente gli insegnamenti della propria religione, perché quando uno è obbediente alla legge del suo dio accetta sottomesso anche la sua volontà espressa in leggi (divine). Poiché tutte le Chiese distinguono necessariamente i loro fedeli essenzialmente in base alle appartenenze e alle apparenze[36], lo stesso dizionario definisce credente colui che aderisce a una data religione. Per antonomasia, da noi, credente è chi dà adesione alla religione cattolica[37]. Non per niente l’art. 3 del vecchio Catechismo di Pio X così definiva il vero credente cristiano: vero cristiano è colui che è battezzato, che crede e professa la dottrina cristiana e obbedisce ai legittimi Pastori della Chiesa.

Quando, invece, le persone danno un’adesione distratta all’insegnamento religioso, o restano indifferenti rispetto ad esso, e non osservano i vari precetti, o non obbediscono alla dirigenza del clero, si dice comunemente che sono “senza religione,” “senza legge” o perfino “atei senza Dio.” Come mai? Perché, appunto, alla religione si abbinano indissolubilmente concetti come osservanza della legge divina, culto, liturgia, merito, castigo, penitenza, purezza, santità e altri, che - direttamente o indirettamente - fanno sempre pensare a tutto ciò che l’uomo deve fare per Dio e a tutto ciò che Dio richiede all’uomo. La religione trova la sua ragion d’essere nel servizio dovuto dagli uomini a Dio. Nella religione l’uomo è sempre un servo di Dio[38].

In estrema sintesi, da quanto fin qui detto, per religione possiamo intendere tutto ciò che gli uomini fanno per Dio[39], quell'insieme di atteggiamenti che l'uomo deve rivolgere a Dio per ottenerne l’attenzione, la benevolenza, il perdono, e augurabilmente anche la protezione. Teniamo però presente che il Dio della religione chiede sempre, in continuazione, tanto da apparire insaziabile. Hai detto 5 Ave Maria e 5 Padre Nostro? Se ne dicevi 6 o 7 Dio era più contento. Se snocciolavi tutto il rosario non solo Dio, ma anche la Madonna era più contenta. Hai digiunato un giorno alla settimana? Dio è contento; se però digiunavi due giorni, Dio era ancora più contento. Evidente che, in questo modo, la religione non lascia mai nella serenità e diventa un mostro insaziabile che chiede in continuazione di servire Dio. La religione non è una ricerca Dio fatta per amore, o per curiosità, o per il piacere di conoscerlo: la via della salvezza in ogni religione è lastricata di sacrifici: d’altra parte, per un servo non ci si può aspettare altro.

Ma ancor peggio è il fondamentalismo, presente in ogni religione, che si ha quando il credente neanche serve Dio, ma si serve di Dio,[40] convinto com’è di essersi appropriato della verità assoluta che è solo in Dio. La Verità diventa così una bandiera da sventolare, anche se obbliga a tradire spesso la propria coscienza. Ma molti che non si creano problemi a non usare la propria coscienza convinti che Dio, l’unico Giudice giusto, già abita in loro perché essi seguono tutti i suoi dogmi e precetti, si sentono autorizzati a giudicare prima del giudizio di Dio, e a tirare le pietre[41] di condanna o ammonimento agli altri, i quali non comportandosi come Dio vuole (e loro sanno cosa Dio vuole), vivono palesemente senza Dio e nel peccato. Quando una persona ritiene di essere l’unica ad avere Dio dalla propria parte, questa persona si fa assoluta e prende il posto di Dio,[42] mentre non si rende conto che la verità sta dovunque la si trovi[43] e non si deve mai confondere la Verità Assoluta con la difesa di alcuni principi.

Da qui la pericolosità di ogni religione.


NOTE

[1] Leon-Dufour X., Dizionario di teologia biblica, ed. Marietti, Genova-Milano, 2010; Canobbio G., Piccolo lessico di teologia, ed. Morcelliana, Brescia, 1989; Obermayer H. e al., Piccolo dizionario biblico, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1988; Rossano P., Ravasi G., Girlanda A., Nuovo dizionario di teologia biblica, ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1988; Monloubou L. e Du Buit F., Dizionario biblico, ed. Borla, Roma, 1987; McKenzie J.L., Dizionario biblico, ed. Cittadella, Assisi, 1981; Coenen L. e al., Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, ed. EDB, Bologna, 1976; Nolli G., Lessico biblico, ed. Studium, Roma, 1970; Bauer J., Dizionario di teologia biblica, ed. Morcelliana, Brescia, 1965.

[2] Proch U., Breve dizionario dei termini e dei concetti biblico-teologici più usati, ed. Elle Di Ci, Torino, 1988: la voce “religione” rinvia alla voce “religiosità”; Downey M., Nuovo dizionario di spiritualità, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 2003: la voce “religione” rinvia alle voci “devozione, pietà virtù cardinali”.

[3] Balz H. e Schneider G., Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, ed. Paideia, Brescia, 2004, 743.

[4] Il termine compare solo in At 25, 19 (Balz H. e Schneider G., Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, ed. Paideia, Brescia, 2004, 743) e riguarda la religione ebraica: «Essi avevano contro di lui certe questioni intorno alla propria religione». Ma, a loro volta, gli ebrei ritengono che l’ebraismo non sia una religione, perché affermano che l’esperienza di Dio non è catalogabile dentro la categoria della religione (Di Sante C., Tavola rotonda sulle religioni in dialogo, in AA.VV., E se Dio rifiuta la religione?, ed. Cittadella, Assisi, 2005,87 ss.).

[5] Fausti S., Chi ha paura del dialogo, in Popoli, n.6-7/2010, 80. Sul fatto che Gesù non ha fondato una religione vedi il mio articolo al n.474 di questo giornale.

[6]Biffi G., L’ABC della fede, ed. ESD, Bologna, 2012, 9.

[7] Il protestantesimo è nato puntando sulla Parola, e non sulla rivelazione mediata dalla Chiesa. Per il cattolicesimo, Gesù stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo, ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta. Per il protestantesimo la Chiesa non è affatto un ordine creato da Dio, perché l’uomo entra direttamente in contatto con Dio senza bisogno di un mediatore. Con quest’ottica, la Chiesa protestante è ovviamente più caotica di quella cattolica, completamente gerarchizzata, ma in cambio sembra più vicina ai principi evangelici.

[8] Sul fatto che Religione e Vangelo sono normalmente incompatibili, vedi il mio articolo al n. 518 di questo giornale.

Il n.848 del Catechismo arriva a sostenere che senza credere e obbedire al magistero è impossibile essere graditi al Signore.

[9] L’etica riguarda la sfera pubblica, la morale quella privata.

[10] Alla fine del racconto della prostituta la domanda basilare che esce è questa: è mai possibile continuare a vivere in una situazione che la religione considera peccaminosa, immorale, irregolare, e nello stesso tempo essere amati da Dio? E la risposta assolutamente pacifica che si trae dal Vangelo, anche se inaccettabile per tutte le persone pie e religiose di ogni tempo, è questa: sì, è possibile continuare a fare la prostituta ed essere gradita al Signore.

[11] Forte E., Se la fiducia nella Chiesa si ferma al 40 per cento, “Il Venerdì di Repubblica”, n. 1228/2011, 39. Vedasi anche l’interessante rapporto a cura di Naso P. e al., Un cantiere senza progetto. L’Italia delle religioni, ed. EMI, Bologna. 2012.

[12] Come nacque la religione, “National Geographic Italia”, giugno 2011, 3ss.

[13] di Nola A., Enciclopedia delle religioni, ed. Vallecchi, Firenze, 1970-76.

[14] Dizionario Devoti-Oli, voce religione, Torino, 1967, 757.

[15] Dizionario cd Giunti, voce religione, Firenze, 1997.

[16] Aegerter E., Le grandi religioni, ed. Garzanti, Milano, 1960, 7-9.

[17] AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 11.

[18]Theological Dictionary of the New Testament, a cura di Kittel G. e Friedrich G., ed. Edrdmans Publishing Company, Grand Rapids (USA), 1993, voce δεισιδαιμονία, 20.

[19] Vedasi, ad es., Platone, Apologia di Socrate, 31D e 40A, dove il demone ha chiaramente natura divina. Theological Dictionary of the New Testament, a cura di Kittel G. e Friedrich G., ed. Edrdmans Publishing Company, Grand Rapids (USA), 1993,Vol.II, Voce Daìmon, 1ss.: “È termine usato sia per deità, sia per la deità minore. Corrisponde generalmente a una potenza divina. Il concetto greco abbraccia le forze che mediano fra Dio e l’uomo”.

[20] Giustino, Apologia I, V, 2, in www.documentacatholicaomnia.eu, sotto l’autore Iustinus).

[21] Evagrio, La vita pratica – Precetti, in Simonetti M., Letteratura cristiana antica, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL), 1996, Vol 2, 441.

[22]Theological Dictionary of the New Testament, a cura di Kittel G. e Friedrich G., ed. Edrdmans Publishing Company, Grand Rapids (USA), 1993, Voce Daìmon, Vol.II, 11.

[23] Simonetti M., Letteratura cristiana antica, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL), 1996, Vol. 2, 439.

[24] Polibio, Storie, VI n. 56.

[25] Proprio in questi termini si esprime, senza parlar di religione, lo storico Sallustio, La guerra di Giugurta, Cap.XLI.

[26] Maggi A., Roba da preti, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 120.

[27] Mancuso V., Io e Dio, ed. Garzanti, Milano, 2011, 54.

[28] Ibidem.

[29] Lattanzio, La collera di Dio (De ira Dei), ed. Bompiani, Milano, 2011, 33 e 49.

[30] Freud S., Totem e tabù e L’avvenire di una illusione, vol. VIII e X, ed. Boringhieri, Torino, 1976-1980, passim.

[31] Lo psichiatra inglese Bowlby fu il primo a sostenere, nel 1900, che non è la pulsione sessuale a motivare il comportamento umano, ma la ricerca della sicurezza, che nel bambino si realizza con la vicinanza dell’adulto che si prende cura di lui. Tutta questa teoria cd. dell’attaccamento, che andava contro la psicoanalisi freudiana, fu a lungo avversata, ma oggi sta prendendo sempre più piede (Van der Horst F., John Bowlby. Dalla psicoanalisi all’etologia, ed. Raffaello Cortina, Milano, 2012).

[32]Diverso sarebbe se il digiuno venisse fatto per scombussolare la nostra vita impigrita dalle abitudini, per aprirci e rendere possibili nuove esperienze, per spostare l’attenzione dal materiale allo spirituale, in modo da cominciare a vivere un nuovo periodo di spiritualità.

[33] Come risulta da un titoletto dell’Enciclica del 20.12.1935, anche per la Chiesa il sacerdote è inteso come mediatore fra Dio e gli uomini (Pio XI, Ad catholici sacerdotii, in www.vatican.va/ Sommi pontefici/Pio XI/ Encicliche).

[34] All’inizio della storia dell’uomo anche umani, particolarmente graditi perché il sacrificante non tiene nulla per sé e offre tutto al suo dio.

[35] In Giappone questo è durato fino alla fine della II guerra mondiale.

[36] Ad es. nella nostra Chiesa, chi non appartiene alla Chiesa cattolica non è credente per definizione; chi non partecipa ai sacramenti non è credente per definizione. Per i musulmani, chi non pratica i cinque pilastri non è credente per definizione.

[37] Dizionario Devoto-Oli, ed. La Monnier, Firenze, 1974, voce credente, 697.

[38] Lv 25,55: «Poiché gli Israeliti sono miei servi; miei servi, che ho fatto uscire dal paese d'Egitto. Io sono il Signore vostro Dio».

[39] Maggi A. e Thellung A., La conversione dei buoni, ed. Cittadella, Assisi, 2005, 20 ss.

[40] Tant’è che mai si ammazza con tanto gusto come quando si uccide in nome del proprio Dio unico: che si chiami Yhwh, o Allah, o Signore, non fa alcuna differenza (Maggi A., Religione del libro o fede nell’uomo, relazione tenuta in Ancona, 2010, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze).

[41] Da Spinetoli O., La Giustizia nella Bibbia, “Bibbia e Oriente”, XIII, 1971, 246.

[42] Di Sante C., Tavola rotonda sulle religioni in dialogo, in AA.VV., E se Dio rifiuta la religione?, ed. Cittadella, Assisi, 2005, 107.

[43] Pensiero attribuito a Gandhi, in Juergensmeyer M., Come Gandhi, un metodo per risolvere i conflitti, ed. Laterza, Roma-Bari, 2004, 24.