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Viaggio in Italia


di Stefano Agnelli


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9. Il mio amico A.



Viaggio in Italia di Stefano Agnelli

9. Il mio amico A.

Ho conosciuto A. nellestate del 2015, quando faceva il volontario presso la biblioteca comunale di Zocca, sull'Appennino modenese. Aveva allora 85 anni e camminava a fatica, trascinando un po’ i piedi. Eppure ogni giorno, con una puntualità degna di un treno svizzero, arrivava in perfetto orario e prima di me, ed io, che venivo a piedi come lui, attraversando a piedi il paese, non riuscivo mai ad arrivare per primo, nonostante abitassimo a poca distanza l’uno dall’altro. Non c’era un obbligo nell’orario, essendo il nostro volontariato puro, non retribuito, inoltre non dovevamo aprire la biblioteca, quindi ognuno di noi due, sceglieva il momento in cui iniziare la mattinata.

Ma per quanto anticipassi il mio ingresso in biblioteca, pur nei limiti d’orario di una vacanza, poiché mi trovavo pur sempre li per riposare, il mio futuro amico arrivava sempre per primo, un po’ come il tormentone, del colore delle magliette del drappello degli esploratori, in “Gunny”, un vecchio film militarista, ma divertente, con Clint Eastwood.

Il mio amico A. ha diverse malattie invalidanti, di cui mai si lamenta, piuttosto ne parla, con grande tranquillità, ma soprattutto è capace di parlare un po’ tutte le lingue europee, avendo accompagnato per tutta la vita gruppi turistici, per conto del comune di Modena. Ha inoltre una solida – e mai sbandierata – cultura generale, fatta in anni di viaggi e di letture.

Dall’avere percorso in bus (lui lo chiama ancora “torpedone”), tutta l'Europa e parte del Medio Oriente, deriva invece la sua incredibile capacità di sopravanzare ed integrare qualunque navigatore o schermata di Google Maps. A. conosce strade e percorsi alternativi più veloci di quelli proprosti dai moderni strumenti informatici, e sa adattare ed aggiornare qualunque cartina stradale, integrandola con le sue conoscenze ed i suoi ricordi. Si definiva allora, in quella torrida estate, un po’ umoristicamente, un modesto “impiegato tecnico di concetto”, ovvero la dicitura che i vecchi uffici di collocamento solevano mettere sui cartellini dei periti disoccupati, e lui come me, lo è. Un perito meccanico (mentre io sono chimico), formato in tempi in cui tale diploma valeva, in termini di preparazione, quasi una moderna laurea breve in ingegneria.

Causa naturale predisposizione al sociale e reciproca simpatia, io ed A. siamo diventati da subito ottimi amici, e spesso, la sera – mai dopo le dieci però – si intavolavano lunghe discussioni davanti ad una pizza o ad un caffè.

In quei momenti si rivelava tutta la sua allegra gioia di vivere, la sua immensa modestia, vera umiltà che mai giudica, ma piuttosto sorride bonaria. A. in quelle sere mi ha raccontato, fra le altre cose, dei primissimi viaggi oltre cortina, in Unione Sovietica, stretto nella torretta di un bombardiere bimotore Ilyushin, a cui era stato tolto l'armamento.

Ed io che da ragazzino ne studiavo le caratteristiche tecniche, appassionato com’ero di velivoli da combattimento della seconda guerra mondiale, lo invidiavo moltissimo. A questi racconti, sulle abitudini e la vita sovietica degli anni Cinquanta, il mio amico ha poi aggiunto il dono finale di molti opuscoli e materiale turistico – a dir poco imbarazzante, per l'evidente falsità ideologica – dell’Associazione Italia – Urss, che ancora oggi conservo come fossero reliquie d'un antica chiesa ortodossa.

Ma il tratto che forse interesserà maggiormente i lettori di “Rodafà” è la profonda e cristallina fede di A. Mai una volta in tutti questi anni l’ho sentito lamentarsi di qualcuno o di ciò che il Signore gli ha riservato, compresa la recente perdita dell'unico figlio, oramai un maturo signore in ètà da pensione, che ha comunque lasciato moglie e figli.

Da oramai tre anni, a causa di gravi problemi circolatori, A. non cammina più: deambula, grazie a quel triste – ma ahimé indispensabile – supporto, che in gergo sanitario è chiamato “girello”, proprio come quello che un tempo usavano i bambini piccoli per muovere i primi passi. Il mese scorso si è trasferito a Cuneo (dove, come da famosa battuta, Totò ha fatto il militare, diventando così “uomo di mondo”), poiché non ha più nessuno qui in Emilia che lo possa seguire.

Mi intristisce pensare che, durante uno degli ultimi pomeriggi trascorsi assieme, nel rincasare A. mi aveva espresso tutto il suo desiderio di tornare, almeno una volta prima di passare a miglior vita, a Rio de Janeiro, sulla spiaggia assolata di Copacabana. A volte me lo immagino lassù, al Nord, sotto al Pian del Re - dove nasce il fiume Po - al freddo e solo in quella città di montagna, lontano dalle piazze aperte della sua Modena.

Nell’immaginare ora quei luoghi, mi aiuta il fatto che, mentre scrivo, fuori impazza un nebbione padano – tropicale quale si potrebbe trovare soltanto in una versione di “Amarcord” prodotta da Bollywood.

Credo proprio che prima o poi riempirò una borsa da viaggio di lambrusco DOC e prenderò il primo treno per Cuneo.

Per concludere dirò che stare con A., o parlare con lui al telefono è l’unico modo (sic) in cui sento ancora possibile un futuro, personale o collettivo che sia. Ma soprattutto, lo confesso, “da grande” vorrei proprio diventare come lui.