Dio s’incontra nelle relazioni umane
di Dario Culot
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/
5. - Non è semplice parlare di Dio; però, se credenti, non possiamo neanche evitare di parlare del rapporto che viviamo con Lui. Tutte le formule che noi utilizziamo quando parliamo di Dio, si riferiscono in realtà a questo rapporto, ossia al rapporto con Dio come noi lo viviamo nel nostro tempo.
Però, se l’immagine che possiamo farci di Dio resta quanto mai vaga, dobbiamo chiederci come possiamo relazionarci con Lui, essendoci precluso penetrare nell’identità della natura divina. Come possiamo relazionarci con un’entità fuori di noi che non conosciamo e non vediamo?
I farisei (il termine significava i separati;[1] oggi, a dimostrazione di come cambia il significato delle parole, è sinonimo di ipocrita - Lc 12, 1), ai tempi di Gesù, erano un gruppo religioso di laici, anche più progressista dei sadducei[2]. All’epoca il termine qualificava una categoria di persone particolarmente pie le quali, attraverso la scrupolosa messa in pratica delle numerose regole, dei precetti della Legge data da Dio (ne avevano individuati ben 613[3]), si separavano dagli altri per salire incontro al Signore, che stava in alto nei cieli. I farisei insegnavano il dovere di angelicarsi. I farisei erano gli scalatori del cielo, volevano veramente salire per incontrare il Signore ed erano fermamente convinti che il regno di Dio sarebbe arrivato solo se e quando tutti avessero osservato scrupolosamente la legge divina, come facevano essi stessi. Inoltre, vedendosi come gli unici giusti, erano conseguentemente intolleranti verso chi era impuro ritualmente (cioè la maggior parte della gente). Perché non arrivava il Regno di Dio? I farisei, che col Regno di Dio aspettavano la supremazia d’Israele che sarebbe durata in eterno, per cui lo chiamavano Regno di Davide (2Sam 7, 11-13), erano convinti che questo futuro glorioso non sarebbe arrivato fino a quando ogni famiglia non avesse osservato perfettamente tutte le norme e tutti i precetti della Legge divina. Del resto la Bibbia era chiara: osservate dunque le leggi e i comandamenti dati dal Signore perché sia felice il popolo che ascolta Mosè, i figli che verranno dopo di voi e perché questo popolo resti a lungo nel paese che lo stesso Dio gli ha dato per sempre (Dt 4, 39). Quindi la prima colpa del ritardo era dovuta all’immoralità delle prostitute, al ladrocinio degli impuri pastori e dei pubblicani collaboratori dei pagani invasori,[4] nonché all’impurità di tutta quella massa di gentaglia che non conosceva neanche la legge, per cui era gente maledetta (Gv 7, 49). Invece, stranamente, Gesù non riteneva affatto importante la legge per relazionarsi bene col Padre.
Quando oggi leggiamo che Gesù si scontrava con gli scribi (i teologi di allora) e farisei, pensiamo a fatti storici ormai superati, perché gli scribi ed i farisei non esistono più nella nostra società. E allora guardiamo a quegli episodi con sufficienza e distacco. Invece non si tratta di una polemica col mondo religioso di allora, per noi ottuso e chiuso, ma significa che anche nelle nostre comunità si possono sempre ricreare quegli stessi meccanismi perversi della religione: il lievito dei farisei (Mc 18, 15)[5]. C’è sempre, anche da noi, il pericolo del rigorismo legalista dei farisei. Per la mentalità dei farisei “si deve agire così,” perché loro – a differenza degli altri,- sanno che questa è la volontà divina, perché così sta scritto nella Scrittura: l’osservanza della legge viene prima di tutto, e non si discute. Il testo, e l’interpretazione che essi danno a quel testo, va applicato alla lettera nella vita quotidiana. Essi sanno che Dio vuole così.
Ora, visto che per il cristianesimo i vangeli devono essere sempre attuali, significa che ogni loro monito è sempre attuale, e deve valere anche per la comunità cristiana di oggi, affinché non ricada negli atteggiamenti incompatibili con gli insegnamenti di Gesù. Non dobbiamo allora leggere gli scontri nei vangeli come una polemica limitata alla comunità ebraica, che non ci riguarda perché ormai non esiste più la gerarchia ecclesiastica di allora e, soprattutto, perché noi cristiani ormai abbiamo capito tutto di Dio, mentre gli ebrei – contrapponendosi a Gesù - non avevano capito nulla. Del resto, quando sono stati scritti i vangeli, Gerusalemme era stata ormai distrutta dai romani di Tito (nel 70 d.C.) e gli ebrei si erano sparpagliati nel mondo. Il monito significa allora che nella comunità cristiana di oggi, come nella comunità giudaica di allora, c’è sempre la tendenza nelle persone a far prevalere il sentimento religioso, la legge divina, la bramosia del potere[6] a scapito dell’amore servizievole e misericordioso. Da tutti i vangeli traspare la pericolosità della mentalità del fariseo, cioè di quel tipo di uomo che antepone un’idea anche nobile ma astratta, un principio teorico al bene dell’essere umano concreto[7]. E il pericolo continua a sussiste tutt’oggi, ed è vasto perché l’astrattezza pura può essere anteposta non solo nella religione, ma anche nella scienza o in politica[8]. Insomma, la purezza astratta del tutto o niente, che disdegna ogni compromesso come fosse spregevole relativismo, porta spesso a restare con in mano il niente e a causare danni imprevisti ben più gravi[9]. Questo mi fa dire che io credo nelle battaglie di scopo, non di principio: non si può mai chiedere l’impossibile per ottenere il possibile.
Allora come si riconoscono i farisei di oggi? È semplice. Sono quelli che vivono inquadrando gli altri fra i peggiori e ovviamente classificando sé stessi come i migliori,[10] e per capire basta leggere la parabola di Gesù in cui il fariseo si compiace della propria santità e disprezza il pubblicano peccatore (Lc 18, 9-14). Santi e peccatori. Degni e indegni. Puri e impuri. Questa distinzione è fatta ancora valere nella Chiesa di oggi. Gesù chiede di uscire da tale ottica farisaica, perché siamo tutti dalla stessa parte: quella dei figli di Dio[11] rispetto al Padre, e dei fratelli rispetto a tutti gli altri.
“Eh! Ma come si può pensare di mettere un santo sullo stesso livello di un peccatore?” protesterà l’intransigente devoto. “Non è evidente a tutti l’abissale differenza fra Madre Teresa di Calcutta e una prostituta?” Invece sono tutti alla stessa distanza del sole, e la distanza non diminuisce se uno vive in cima a un grattacielo o al piano terra[12].
Eppure resta ancora una caratteristica della religione sostenere che l’uomo deve sforzarsi per innalzarsi e incontrare il Signore, percorrendo il sentiero che porta a livelli sempre più alti di santità[13]. Più uno sale i piani del grattacielo e più si avvicina al Signore. Ma tutto questo è sicuramente antievangelico, perché presuppone un Dio lontano come il sole, difficilmente accessibile, il che contrasta col Dio di Gesù che scende e sta in mezzo a noi. Con Gesù, Dio non si propone più all’uomo dal di fuori. In effetti, cosa succede con l’incarnazione? Succede che Dio ‘scende’[14]. Scende per incontrare gli uomini, e diventando l’Emmanuele, il Dio-con-noi, non occorre più salire per cercarlo lassù in alto. Dio è qui al piano terra, neanche nei piani alti del grattacielo. Il problema è che, quando ci sfiora passando vicino a noi, di solito non ce ne accorgiamo, perché guardiamo sempre in alto se siamo persone pie e religiose volendo diventare come gli angeli, oppure guardiamo sempre il nostro ombelico se siamo semplici egoisti con i piedi ben piantati per terra. Invece, per relazionarci con Dio non abbiamo altro modo che intraprendere buone relazioni con gli altri che incrociano la nostra strada. Non c’è un rapporto che viviamo con Dio in cielo e uno con i fratelli in terra. C’è un unico rapporto con i fratelli, nell’orizzonte della fede in Dio. Noi viviamo il rapporto con Dio attraverso gli altri. Gli altri non sono ovviamente tutti gli esseri umani del mondo: neanche Gesù si è fatto carico di tutti gli uomini. Se fosse stato Dio avrebbe potuto soccorrere tutti con la sua onnipotenza; come uomo ha potuto soccorrere solo quelli che ha incontrato sulla sua strada. Ognuno di noi deve semplicemente farsi carico degli altri, e gli altri sono quelli che l’intreccio del caso ci mette sulla nostra strada. Quando avviene l’incontro, e come se Dio ce li avesse messi là. E come se Dio ci dicesse: “ti aspettavo!” Ecco l’incontro con Dio (anche se non lo conosciamo), che non è solo quello del momento della morte, come invece pensano tanti ferventi cattolici[15]. Ecco l’incontro con Dio che il buon samaritano fa quando inciampa nel ferito che trova inaspettatamente sulla sua strada.
Proprio stando agli insegnamenti della Chiesa, “l'incarnazione di Dio” si è realizzata per opera e grazia dello Spirito santo. Quali che siano le interpretazioni che diamo alla parola "incarnazione" una cosa è fuori questione: parlare dell'incarnazione di Dio è parlare dell'avvicinamento del divino all'umano, per scelta divina, e si può arrivare a dire che, nella sua incarnazione, Dio “si è unito in un certo qual modo ad ogni persona”[16].
Se poi affermiamo che l'incarnazione si è realizzata per opera dello Spirito santo, allora quello che stiamo affermando è che il caratteristico e proprio dello Spirito è rivelare Dio in forma umana[17]. Di modo che, se quello che noi cristiani dobbiamo mettere in pratica è fare quello che fa Dio, la conseguenza è chiara: la nostra missione e il nostro compito, come cristiani, è umanizzarci, fare come Dio che si è fatto profondamente umano. La qual cosa esige e porta con sé il liberarci - per quanto possibile - della disumanizzazione che sempre ci accompagna e che fa tanto male a noi tutti[18].
Come ben sostiene il gesuita Lenaerrs Roger, la morte di Dio profetizzata da Nietzsche non ha travolto la cultura occidentale; ciò probabilmente perché, pur essendo scomparso il Dio del mondo parallelo, non è scomparsa la trascendenza, che ha solo cambiato forma: l’aura di sacralità che circondava Dio si è spostata verso l’umano, verso la sua dignità[19]. Siamo sicuri che questo dispiaccia a Dio? Infatti, a leggere i vangeli, si può affermare che il centro del cristianesimo non è il divino, ma proprio l’umano. Il Dio di Gesù, prendendo forma umana in Gesù, ci ha fatto capire che, più le persone sono umane, più si incontrano con il divino nella loro esistenza, mentre più le persone sono disumane, più si adornano di titoli, più hanno potere sugli altri, e più si allontanano da Dio. Quindi sono diventati sacri i diritti umani e di positivo c’è il fatto che è stata cancellata quella religiosità che per secoli ha convissuto con una spaventosa disumanità (pensiamo alla tortura, alla schiavitù, alla caccia agli ebrei)[20]. La religione ha fatto cose riprovevoli, ma anche cose buone (pensiamo all’assistenza e alla cura dei bisognosi, dei senzatetto), cosa di cui l’impero romano mai si era occupato, non avendo mai avuto fra i suoi scopi l’aiuto ai bisognosi.
Gesù non accetta la santità dei farisei che vogliono salire per incontrare Dio, perché questa santità crea disuguaglianza e quindi discriminazione, giacché chi è impuro non può avvicinarsi a Dio, per cui resta necessariamente escluso. Non accetta neanche la santità dei sadducei, incentrata sul Tempio, sui sacrifici fatti nel Tempio e sulla Legge divina. Con Gesù Dio abbandona il Tempio, che non è la sua casa, e pone la sua tenda fra di noi (Gv 1, 14), in ogni singolo uomo che amerà come lui ha amato (Gv 14, 23), sì che ogni suo seguace diventa una dimora divina (1Cor 3, 16): ogni uomo è un santuario di Dio, è il Tempio di Dio, è il tabernacolo di Dio. Ma allora neanche la chiesa può prendere le veci del tempio giudaico, neanche l’edificio chiesa è casa di Dio. Il bene dell’uomo, non il bene del tempio, non l’osservanza della legge, diventa invece il punto focale: tutto ciò che concorre al bene di quell’uomo concreto che si ha lì davanti può essere fatto e va fatto, a prescindere da quello che dice la legge (divina o meno). Tutto ciò che accresce la dignità dell’uomo[21] è bene dell’uomo, e il bene dell’uomo è l’unico valore non negoziabile del cristianesimo[22]. Questo punto trova conferma in continuazione nei vangeli: pensiamo solo all’episodio dell’adultera (Gv 8, 1-11). Da una parte i puri e duri, tutti dalla parte di Dio, dall’altra Gesù di Nazareth tutto dalla parte dell’essere umano. Per i primi la Legge di Dio è somma giustizia e vogliono la morte dell’adultera (Lv 20, 10). Dall’altra Gesù, per il quale nulla può venire prima dell’uomo, di sicuro neanche il dio professato dai religiosi, perché il suo è il Dio dei vivi e non dei morti (cfr. Mt 22, 32). La donna sorpresa in adulterio e messa in centro a un ‘cerchio di morte’ (Gv 8, 3): gli accusatori sono lì per applicare una legge divina che prevede la morte. Anche Gesù ordina all’uomo dalla mano inaridita di mettersi lui al centro, posto che nella sinagoga era invece riservato alla legge divina, alla Torah (Mc 3, 3; Lc 6, 8), ma mette “in mezzo” per guarire, sempre e solo per ridare dignità e vita. A Gesù non interessa se l’uomo è un fragile peccatore; questo importa solo alle persone assai pie che giudicano incessantemente gli altri, e anche al nostro magistero che mette ai margini chi cade, senza rendersi conto che è proprio il giudicare che alle volte uccide le persone.
Ecco perché mi piace la risposta che il luterano Dietrich Banhoeffer aveva dato a quel cattolico il quale aveva espresso il desiderio di diventare santo: “Vorrei piuttosto imparare a credere”[23].
Quanti cattolici doc aspirano, in cuor loro, ancora oggi alla santità? C’è chi si esalta sentendo intimamente che il proprio vescovo “desidera la santità per sé e per gli altri”;[24] sono infatti convinti che, diventando santi, si avvicinano a Dio e il can.210 del codice di diritto canonico ribadisce che tutti i fedeli debbono condurre una vita santa, e “dalla Chiesa il cristiano apprende l’esempio di santità” (n.2030 Catechismo). Mah! Possiamo veramente dire che la nostra Chiesa cattolica ha funzionato e funziona in modo tale che le persone, vedendo la Chiesa, vedono Gesù? Visto come si è comportata nei secoli, non credo proprio. Forse solo vedendo come si comportano singoli individui che effettivamente dimostrano di avere una marcia in più si può restare colpiti. Del resto, la stessa istituzione riconosce che la Chiesa non è santa da sé stessa, perché è fatta di peccatori. Può esserlo in virtù dello Spirito. Ma quando i suoi uomini si attribuiscono il pieno possesso di questo Spirito confondendolo con quel mondo che essi sono, come potrà non valere anche per la Chiesa la legge inesorabile delle istituzioni “secolarizzate” che si insudiciano della corruzione dei loro membri?[25]
Forse per questo nei vangeli, in barba a quanto proclama il codice canonico (cfr. la funzione di santificare della Chiesa – cann. 210-834-1253 del codice di diritto canonico), Gesù non invita mai nessuno a diventare santo,[26] mentre invita sempre tutti alla misericordia,[27] perché quanto più l’uomo è pienamente umano tanto più rende onore a Dio[28].
Teniamo presente che tutti comprendevano all'epoca la santità come la separazione da ciò che è impuro:[29] il termine “santo” (ebr. hadosh) deriva da hadad, recidere, separare da ciò che è profano e immondo. Secondo la comunità di Qumran non era più possibile vivere in maniera santa in mezzo a quella società così corrotta, per cui si erano ritirati a vivere separatamente nel deserto. I farisei, sforzandosi di osservare la legge che obbligava soltanto i sacerdoti, cercavano di trasformare la terra promessa in una sorta di tempio abitato dal Dio santo, sì che tutto il popolo fosse un regno di sacerdoti santi. Gesù, invece, ci spiega che Dio è santo non perché vive separato dagli impuri, ma perché è misericordioso con tutti. La misericordia è per Gesù il modo di imitare Dio, di essere santi come lui. Dunque, il santo non ha bisogno di essere protetto dalla separazione per evitare la contaminazione; al contrario, è il santo a contagiare con la sua purezza e a migliorare l’impuro. Quando Gesù tocca il lebbroso, non è Gesù a restare impuro, ma è il lebbroso a diventare puro.
Quando Matteo fa dire a Gesù: “siate perfetti come Dio”, che è il santo per definizione, non lo dice in senso ontologico, nel qual caso non si potrebbe chiedere a nessuno di essere perfetto, perché nessuno può pensare di essere come Dio. Intende dire di essere perfetti come il Padre in senso relazionale[30]. E qual è la perfezione di questo Padre? È perfetto nel modo di amare, e anche noi possiamo cercare di essere come Lui, entrando nel rapporto figlio-Padre rispetto a Dio (e non nel rapporto servo-padrone), e fratello-fratello rispetto agli altri. Si può essere “perfetti” o grandi nell’amore anche se le proprie capacità personali sono scarse: l’importante è amare senza barriere, senza discriminazioni fra buoni e cattivi, amando gratuitamente amici e nemici[31]. Esattamente come fa il Padre, che – sempre secondo Matteo - fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, che fa splendere il sole sui malvagi e sui buoni (Mt 5, 45). Questa è la perfezione del Padre, cioè un amore gratuito che si rivolge anche a chi non lo merita, che fa del bene senza attendere nulla in cambio, e che concede il perdono prima che gli venga richiesto. Quindi l'invito di Gesù ad essere perfetti come il Padre significa che occorre impegnarsi ad innalzare la nostra capacità di amore ed entrare così in sintonia con l'amore di Dio. L’unico evangelista che menziona la perfezione lo fa, allora, proprio in opposizione al concetto di perfezione legalista farisaica, in cui l’importante era essere perfettamente in regola con la legge. La perfezione cristiana consiste invece nell’assomigliare il più possibile al Padre[32] con la pratica dell’amore verso tutti, compresi i nemici[33]. Di sicuro “non bisogna aspettare di essere perfetti per cominciare a fare qualcosa di buono”[34]. La differenza fra santità e misericordia è abissale: la santità è possibile per pochi eletti. La misericordia, cioè un amore misericordioso dal quale nessuno si deve sentire escluso, l’essere attenti ai bisogni, alle sofferenze e alle necessità degli altri, è alla portata di tutti,[35] seppur a livelli diversi. Dovremmo allora ridefinire la nostra idea di santità: santo è colui che si fa pane per gli altri, non colui che pensa di ascendere a Dio percorrendo una propria via personale verso l’alto, separandosi dagli altri e magari annullandosi completamente. La gloria di Dio si rende manifesta in una persona o in una comunità quando si nota che lì è aumentata la capacità d’amare, non la capacità di essere moralmente perfetti.
E ricordiamoci che ciò che deciderà la sorte o il destino definitivo di ciascuno di noi non sarà la religiosità e nemmeno la fede, ma solo il comportamento che si è tenuto verso coloro che soffrono, cioè i derelitti, gli stranieri, i carcerati (Mt 25, 31-46).
E che l’umanità sia molto più importante della religione, per cui noi cristiani non abbiamo leggi religiose da seguire ce lo conferma sempre il Vangelo, il quale ci dice che la missione di Gesù non era quella di minacciare i peccatori (a differenza di quanto fanno ancora oggi le pie persone religiose), ma quella di annunciare l’arrivo del regno di Dio. Come? Lo si vede nella sinagoga di Nazareth (Lc 4, 18-19): portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione, ridare la vista ai ciechi, eccetera. Dunque l'annuncio è inscindibile dall'attività tesa ad alleviare la sofferenza della gente[36]: in una parola, far fiorire la vita attraverso l'accoglienza e la misericordia, e questo anche a scapito dell’osservanza della legge divina (volutamente Gesù guarisce di sabato, cosa vietatissima dalla legge). Anche quando Gesù invierà in missione i suoi, darà l'incarico di cacciare i demoni e guarire dalle malattie[37] (Mt 10, 1; Lc 9, 1): non dunque portare minacce ai peccatori, non una missione dottrinale, bensì una missione curativa tesa ad alleviare la sofferenza della gente. Ortoprassi dunque, prima che ortodossia[38].
Altro esempio ancora, per chi ancora ha difficoltà a credere a questa visione diversa rispetto al cristianesimo più ortodosso: con la parabola dei talenti (Lc 19, 11ss.), Gesù spiega che un Dio minaccioso, al quale si deve render conto fino all’ultimo centesimo, è un Dio che blocca e annulla le persone[39]. Gesù sta parlando appunto del dio dei farisei, un dio terribilmente minaccioso, e cerca di smontare questa immagine, perché chi la conserva si ferma; non fa nulla di male, ma non fa neanche nulla di bene. Ricordiamoci allora che la tentazione principale per noi, che ci consideriamo persone normali, non è tanto quella di fare il male, quanto di dimenticare di fare il bene che potremmo sempre fare, e non facciamo per pigrizia, perché ci costa fatica. Inoltre tante sono le parabole (ad esempio, del grande banchetto – Lc 14, 15ss.; del figliol prodigo - Lc 15, 1ss.) che mettono in evidenza il conflitto di Gesù con i farisei, i quali lo criticano proprio perché egli si dimostrava amico degli impuri, dei peccatori e della gente di malaffare, tutta gente che non osserva la legge e quindi lontana mille miglia dalla santità. È inevitabile che i capi dell’istituzione religiosa odino colui che mette in testa al gregge simile idee sovversive, che con i suoi insegnamenti scompiglia il gregge, che prima del suo arrivo sembrava facilmente controllabile, mentre da quando è arrivato ha disperso le pecore che non vogliono più essere sottomesse ed obbedienti; ora dovranno faticare per radunarle di nuovo, e non possono sottometterle se non lo hanno prima di nuovo radunate[40]. E questo disordine allontana ancora di più l’arrivo del Messia o mette in pericolo il loro potere?
Sia ben chiaro! Da sempre e in tutte le religioni i capi pretendono di porsi alla guida di una comunità trasformandola in un gregge sottomesso da comandare, e pretendendo che il gregge debba solo obbedire. Quando nel Vangelo di Giovanni (Gv 7, 44-48) le guardie mandate dai farisei e dai sommi sacerdoti ad arrestare Gesù tornano a mani vuote, i farisei si innervosiscono perché non l’hanno catturato, ed esigono una spiegazione; al che le guardie rispondono che non l’hanno arrestato “perché mai nessuno ha parlato come quest’uomo”. Mai nessuno ha parlato come quell’uomo? A queste parole i capi si inalberano di brutto e gridano alle guardie: “ci ha creduto forse qualcuno dei capi?” Spiegazione per i meno avveduti: chi vi ha autorizzato a pensare diversamente da come pensiamo noi che siamo i capi? Siamo noi capi a decidere cosa e come dovete pensare. Il popolo-gregge non può neanche sognarsi di pensare diversamente da come pensano i pastori del gregge. Da subito, la Chiesa cattolica ha fatto propria l’idea dei capi farisei, come si vede già nella prima comunità: “Per questo io sentenzio…” dice Giacomo nel primo Concilio di Gerusalemme,[41] nella disputa fra la chiesa ufficiale e Paolo (At.15,19). “Io”, e gli altri? Gli altri, zitti; decido io che sono il capo; gli altri hanno l’unico compito “di lasciarsi docilmente condurre e seguire i loro pastori” come diceva papa Pio X[42]. Chiesa docente e Chiesa discente, come ci hanno sempre insegnato. Ma Gesù ha detto: “Perché non giudicate da soli ciò che è giusto?” (Lc 12, 57). Gesù ci vuole tutti responsabilmente liberi.
E come si comporta il Dio di Gesù lo si vede assai bene nella parabola della pecora perduta (Lc 15, 4-7), della moneta perduta (Lc 15, 8-10) e nel padre della parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32). Oppure anche nel racconto dell’uomo dalla mano paralizzata (Mt 12, 14): è lecito fare il bene di sabato oppure no? In questo caso Gesù sfida direttamente i farisei, con le loro regole di purità e tradizioni del sabato che Gesù non osservava, non ritenendole costitutive del rapporto con Dio. Un abisso fra lo stile libero di Gesù e lo stile rigoroso dei farisei che Gesù considerava pure tradizioni di uomini, perché in realtà tutte quelle regole minuziose escludevano il coinvolgimento del cuore e tutto si esauriva nella fredda esecuzione delle prescrizioni. E in altra occasione aveva detto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Mc 7, 1-13). Altre volte aveva aggiunto: “misericordia io voglio, non sacrifici” (Mt 9, 13; Mt 12, 7). Chiaro che i farisei non erano guidati dalla misericordia ma da una presunta fedeltà alle regole religiose che conduce a dividere e condannare[43].
Gesù si scontra in continuazione con questa mentalità, che è ancora oggi ben radicata nella nostra Chiesa. Per lui è bene tutto ciò che accresce la vita di quell’uomo concreto. Il bene dell’uomo deve prevalere su tutte le regole sante della religione. Il bene dell’uomo è il punto su cui si è focalizzato Gesù, ed è l’unico punto non negoziabile, come si è detto sopra.
Obietterà di sicuro il cattolico doc, che se ci si concentra sull’uomo, si tralascia l’essenziale rapporto con Dio, al quale dobbiamo principalmente tendere, perché il nostro unico traguardo è Dio, il centro deve essere Dio. Invece non è vero che in tutto questo Dio resta escluso. Semplicemente occupa un altro posto. Prima di Gesù l’attenzione dell’umanità era tutta rivolta verso Dio, per cui tutto quello che l’uomo faceva, l’amore verso il prossimo, la preghiera, le offerte, tutto era in realtà rivolto verso Dio. Quindi si amava il prossimo perché poi Dio ci premiava avendo noi acquisito meriti ai suoi occhi; si faceva penitenza perché poi Dio ci premiava nuovamente avendo acquisito ulteriori meriti ai suoi occhi. Con Gesù tutto questo cambia. Gesù ci rivela un Dio che non è il traguardo della nostra esistenza, ma essendo Lui che prende l’iniziativa di amarci, chiede di essere accolto perché con Lui e come Lui ci dirigiamo verso gli uomini. Verso gli uomini, non verso Dio, vanno indirizzate le nostre migliori energie, perché Lui è già qui con noi. La Buona Novella è che Dio è già qui, vicino a noi, e chiede solo di essere accolto perché vuole dilatare in ciascuno di noi la capacità di amare. Molti ritengono che si debba ancora fare tutto per Dio[44]. Gesù dice che non è così. Un conto è se con i propri sforzi uno agisce per Dio, un conto è quando uno, lasciando che Dio si espanda in lui, agisca insieme a Lui, in piena comunione con Lui per il bene degli altri uomini. Come si vede, Dio non viene messo affatto da parte, anzi è sempre parte essenziale della nostra esistenza. L’onda d’amore di Dio investe tutti. Chi l’accetta si sente amato incondizionatamente e a prescindere dai propri meriti; e a quel punto entra in intimità con Dio: come in un’azienda familiare, padre e figli hanno lo stesso obiettivo, e si ripartiscono i compiti emulandosi l’un l’altro, sapendo che è per il bene comune[45]. Dunque, espandendo quest’onda che contagia l’altro, inonda l’altro d’amore, e così si forma quell’unità di più persone e di cammino che realizza il Regno di Dio.
(continua)
NOTE
[1] Il Dizionario dei concetti biblici nel Nuovo Testamento, a cura di Coenen L. e al., ed. EDB, Bologna, 1976, 616.
[2] Il giudaismo dell’epoca non era monolitico, ma era variegato, con opinioni diverse e contrastanti. Gesù, ebreo, si è inserito in questa varietà di opinioni, portando una visione ancora diversa.
I sadducei, l’aristocrazia sacerdotale che era amica dei romani perché controllava la politica e l’economia, si centrava sul Tempio, i sacerdoti, i sacrifici, e ritenevano rivelata solo la Torah (i primi cinque libri della Bibbia). Per loro, il Messia era il sommo sacerdote. I farisei, alla Torah aggiungevano i libri dei profeti e la tradizione dei padri. Ritenevano che il male fosse causato dall’uomo, e per questo erano convinti che l’epoca dell’oro (con l’arrivo del Messia davidico che avrebbe portato Israele alla supremazia politica) sarebbe tornata se tutti, ma proprio tutti, avessero osservato scrupolosamente la Legge divina.
[3] Chizzoniti A.G. e Tallacchini M., Cibo e religione: diritto e diritti, ed. Libellula, Tricase (LE), 2010, 89 nota 6.
[4]Maggi A., Versetti pericolosi, ed. Fazi, Roma, 2011,13.
[5] Maggi A., Roba da preti, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 122.
[6] Per fare un facile esempio, si pensi alle lotte di potere che hanno squassato il Vaticano ai tempi di papa Benedetto, con Vatileaks, i corvi e tutti i veleni: “La Repubblica” 28.5.2012, 1 ss.; 31.5.2012, 15 ss.; 1.6.2012, 1 ss.; “Il Piccolo”, 31.5.2012, 12; “Famiglia Cristiana”, n. 23/2012, 24 s.
[7] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 113.
[8] Idem, 116s.
[9] Insomma, siamo a volte davanti a tante anime belle che vogliono spazzare via il male, assolutamente sicure di essere nel giusto, e sono convinte di raggiungere il bene senza preoccuparsi troppo del dopo. Ma come ha chiarito Max Weber, c’è un’etica della convinzione (che può degenerare nel fanatismo impermeabile a tutto), ma c’è anche un’etica della responsabilità (che però può sfociare nella giustificazione di ogni tipo di compresso). La prima impone di agire secondo principi assoluti, indiscutibili. La seconda di agire pensando alle conseguenze. Poi, occorre il giusto discernimento.
[10] De Mello A., Shock di un minuto, ed. Paoline, Milano, 1995, 158.
[11] Maggi A. e Thellung A., La conversione dei buoni, ed. Cittadella, Assisi, 2005, 48.
[12] De Mello A., Shock di un minuto, ed. Paoline, Milano, 1995, 159.
[13] Anche nel sufismo islamico, solo ascendendo ci si avvicina a Dio, solo avvicinandoci a Dio si ottiene di essere amati da Lui, si raggiunge la possibilità di conoscere le cose dell’aldilà essendo morti a sé stessi, e si ottiene il dissolvimento del proprio “Io” nella luce divina, come la falena nel fuoco della candela.
[14] Ovviamente il termine è usato in senso metaforico.
[15] Tor C., C’è vita e vita, ed. EMI, Bologna, 2000, 28.
[16] Papa Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptor hominis, §8, del 4.3.1979.
Alcuni teologi, soprattutto in dialogo con le altre religioni, hanno sottolineato il fatto che parlare di incarnazione è utilizzare una metafora. E da questo deducono che l’incarnazione è un mito oggi insostenibile. Che il termine incarnazione sia una metafora, non vi è alcun dubbio. Che la metafora sia spesso intesa in senso non giusto e mitologico, ad esempio come discesa di un essere celeste in forma umana, o come ingresso in un corpo in formazione di una persona divina, è ugualmente vero. Ma tutto questo non è sufficiente per negare la realtà del profondo rapporto di Gesù con Dio, espresso appunto con l’idea di incarnazione. Essa, infatti, vuole descrivere l’incidenza che il Verbo e lo Spirito di Dio hanno esercitato in Gesù lungo tutta la sua esistenza. Giovanni esprime questa esperienza di Gesù con le formule: «Io non faccio nulla da me stesso» (Gv 8,28), «le parole che io vi dico non sono mie. Il padre compie in me le sue opere» (Gv 14,10). In questo senso «incarnazione» indica una realtà molto più ampia e profonda di un evento miracoloso, esprime una storia personale di Gesù che, attraverso la sua risurrezione, si prolunga nella storia umana, nella quale lo Spirito suscita ancora figli di Dio. Non ha senso perciò rinunciare alla metafora solo perché si è prestata ad abusi. Essa infatti consente di esprimere un’idea essenziale all’esperienza cristiana: attraverso la storia di Gesù Dio si è rivelato (Molari C., Quei tanti Gesù. Approcci recenti in cristologia e soteriologia, in più siti internet; basta digitare Carlo Molari approcci recenti).
[17] Castillo J.M., Teología popular, III, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 84.
[18] Ibidem.
[19] Lenaers R., Benché Dio non stia nell’alto dei cieli, Massari, Bolsena (VT), 2012, 268.
[20] Idem, 269.
[21] Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes §9 e soprattutto 12 e 27 – del 7.12.1965.
[22] Castillo J.M., Simboli di libertà, Cittadella, Assisi, 1983, 63 e 65ss.; Mateos J. e Camacho F., Il figlio dell’uomo, Cittadella, Assisi, 2003, 59; Maggi A., Gesù ebreo per parte di madre, Cittadella, Assisi, 2007, 111ss.
[23] Kampen D., Introduzione alla spiritualità luterana, ed. Claudiana, Torino, 2013, 19.
[24] In questo senso vedi ad es. il Movimento cattolico per la famiglia e la vita, con la sua lettera aperta del 3.8.2010, su “Il Piccolo.”
[25] Zagrebelsky G., L’identità fra bugie e peccati, “La Repubblica”, 5.10.2005, 51.
[26] Quando Gesù dice di santificarsi (in italiano tradotto consacrarsi, ma in greco e latino è scritto santificarsi) per i discepoli, allude – secondo l’interpretazione ufficiale - al sacrificio della sua morte (Gv 17, 19), così esprimendo implicitamente la sua funzione di vero e proprio Sommo Sacerdote che realizza la Riconciliazione. Come? Offrendo sé stesso, nella concretezza del proprio corpo e sangue, in sacrificio per tutti noi (Benedetto XVI, La gioia della fede, San Paolo Cinisello Balsamo (MI), 2012, 99). Rinvio a quanto detto sui sacrifici agli ultimi articoli di giugno di quest’anno. Qui mi limito ad osservare che la santificazione, neanche in questo passaggio, è opera degli uomini, né essi devono impegnarsi da soli per santificarsi, né Gesù invita a sforzarsi per cercar di raggiunger la santità come noi oggi la intendiamo.
[27] Eppure, per quanto sia sicura la doppia affermazione del vangelo di Matteo (9,13; 12,7; cfr. Os 6,6; 1Sam 15,22; Is 1,10ss.; Sal 40,7), secondo la quale “Dio vuole misericordia e non sacrifici”, nei fatti ci è stato insegnato che Cristo ci ha salvati attraverso il sacrificio di sé stesso (Ef 5,2; Eb 5,1; 8,3; cfr. 7,27; 9,9; 10,1; 11,4).
[28] Mateos J. e Camacho F., Il Figlio dell’Uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 361.
[29] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 218ss.
[30] Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 119 s.
[31] Maggi A. e Thellung A., La conversione dei buoni, ed. Cittadella, Assisi, 2005, 18. Bianchi E., Riflessioni sul vangelo della domenica (VII domenica 2014), in www.monasterodibose.it.
[32] Fuček I., I dieci comandamenti, in Catechismo della Chiesa Cattolica, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL), 1993, 976.
[33] Mateos J., L’utopia di Gesù, ed. Cittadella, Assisi, 1991, 201.
[34] Abbè Pierre, riportato in Ricci P.L., Il coraggio di cominciare, “Fraternità di Romena”, n.4/2010, 6.
[35] Maggi A., Gesù, un Dio profondamente uomo, conferenza a Tradate, giugno 2008, in www.studibiblici.it/Scritti/conferenze.
[36] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 80.
[37] Quindi Gesù non affida ai suoi apostoli una “missione religiosa”, ma una “missione umanitaria” (Castillo J.M., La laicità del Vangelo, ed. La Meridiana, Molfetta (BA), 2016, 112).
[38] Il nesso fra regno di Dio e ortoprassi (agire in conformità col regno di Dio) si ricava chiaramente dalla parabola del re misericordioso (Mt 18, 32-33), che esprime in modo negativo ciò che il Padre Nostro esprime in modo positivo: se infatti la sovranità di Dio è l'inclinazione misericordiosa universale di Dio verso l'uomo, la metanoia richiesta dal regno di Dio si concretizza nella misericordia e dedizione dell'uomo verso gli altri. La parabola del buon samaritano non è che una variante di questa prassi di pietà, propria del regno della sovranità divina (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, Queriniana, Brescia,1976, 166).
[39] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2011, 173ss.
[40] Dostoevskij F., I fratelli Karamazov, ed. Einaudi, Torino, 1993, 343.
[41] Giacomo fa scrivere alla fine del concilio di Gerusalemme: “Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi” (At 15, 28). L’autorità è sempre convinta di avere il filo diretto con lo Spirito Santo. E nel concilio di Firenze del 1432 si afferma: “Questo santo sinodo, legittimamente riunito nello Spirito Santo…”. Vedasi negli stessi termini la IV sessione del concilio di Trento, in data 8.4.1546, con cui venne ribadito l’elenco dei libri sacri ed accettata la Vulgata come testo esclusivo. Vedasi più recentemente la lettera apostolica Vicesimus Quintus Annus di papa Giovanni Paolo II, del 4.12.1988, con riferimento all’ultimo concilio Vaticano.
Se sono sicuro di avere lo Spirito santo sempre con me, sono sicuro anche di possederlo e di poter indicare agli altri la strada giusta.
[42] Enciclica Vehementer Nos dell’11.2.1906, in www.vatican.va/Sommi pontefici/sito web Pio X/ Encicliche.
[43] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 313s.
[44] Nolan A., Opzione per i poveri: conflitto sociale e amore ai nemici, in Con i poveri della terra, a cura di Vigil J.M., ed. Cittadella, Assisi, 1992, 114.
[45] Maggi A. e Thellung A., La conversione dei buoni, ed. Cittadella, Assisi, 2005, 20.