Domande e risposte a settembre (e ottobre) - 4
di Dario Culot
Angeli, dsegno di Rodafà Sosteno
13. Il discepolo amato del Vangelo, per come ho scritto in passato, non è l’apostolo Giovanni. Ma su “Famiglia Cristiana” del 20.7.2025, n. 29 viene ribadito che si tratta proprio di Giovanni. Ho sbagliato e devo fare ammenda?
In effetti, già prima di questo numero di “Famiglia cristiana”, la tesi più antica e tradizionale era che Giovanni fosse il discepolo amato[1] che appare più volte nel vangelo di Giovanni.
In questo recente numero del settimanale si conferma che l’autore Giovanni, per umiltà e discrezione, non nomina sé stesso direttamente, ma l’apostolo amato è lui; né la cosa ci deve scandalizzare perché anche Gesù poteva avere le sue preferenze umane, senza però escludere o ridurre il suo amore per gli altri discepoli.
Questa identificazione è antica, risalendo addirittura a Ireneo di Lione[2]. Come si arriva all’identificazione? Si dice che i discepoli prediletti erano Pietro, Giacomo e Giovanni che venivano spesso presi in disparte[3]. Pietro non può essere il discepolo amato perché nominato nel vangelo assieme a questo discepolo (Gv 20, 2); Giacomo non può essere perché martirizzato ben prima della stesura dello stesso vangelo; non resta che Giovanni, il quale evidentemente avrebbe mantenuto il silenzio sul suo nome per modestia[4].
Ormai, però, da tempo sono state fatte varie obiezioni a questa ricostruzione. Per prima cosa: essere presi in disparte non è affatto una connotazione positiva come si pensava in passato. Quando Gesù prende in disparte, quando chiama attorno a sé, vuol dire che con la testa i chiamati sono lontani; perciò chiama quelli che gli fanno più resistenza: normalmente Pietro, Giacomo e Giovanni, i più ambiziosi. Quindi “in disparte” ha una connotazione prettamente negativa. In disparte significa che Gesù sottrae questi discepoli riottosi al resto del gruppo, alla folla, perché sono pericolosi, perché non capiscono; hanno bisogno di ripetizioni extra.
In questi tre discepoli c’è spesso il satana, infatti specialmente in essi si manifesta l’ambizione del potere: “Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro (chiamandolo maestro significa che vogliono apprendere da lui, ma in realtà vogliono imporre la loro idea) “vogliamo che ciò che chiediamo tu ce lo faccia»” (Mc 10, 35). Ecco l’arroganza, la bramosia del potere. Giacomo e Giovanni sono gli altri due discepoli, oltre a Pietro, ad avere un soprannome negativo: Giacomo e Giovanni sono chiamati ‘figli del tuono’ (Mc 3, 17), autoritari e violenti, vogliono distruggere col fuoco chi non accetta le loro idee (Lc 9 54), e vogliono impedire che altri usino il nome di Gesù (Mc 9, 38), ma soprattutto vogliono comandare. Questo è, al momento, Giovanni: altro che il discepolo prediletto, il modello che tutti noi dovremmo seguire.
Nella Trasfigurazione Gesù di nuovo prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li porta su un alto monte (Mt 17, 1). Il verbo prendere richiama l’episodio precedente, in cui è stato Pietro a prendere “in disparte” Gesù per tirarlo dalla sua parte (Mt 16,22), e a sgridarlo perché ha detto che dovrà morire. Gesù fa ora il contrario: è lui che prende con sé i tre, separandoli dagli altri e conducendoli in disparte; prende con sé per primo il tentatore, il Pietro addirittura con l’articolo, il testardo, l'unico personaggio dei vangeli al quale Gesù si è rivolto chiamandolo espressamente "satana". Da notare anche il parallelismo con l’alto monte delle Tentazioni (Mt 4, 8): lì è il diavolo che porta Gesù; qui è Gesù che porta il diavolo-Pietro.
Il punto essenziale, però, per confutare la tesi secondo cui Giovanni è il discepolo amato, sta nel fatto che non si dice mai che questo discepolo prediletto è uno degli apostoli;[5] soprattutto non ha nome, per cui non è lecito identificarlo, così come non si deve identificare nessun personaggio anonimo nei vangeli (si pensi alla prostituta perdonata, o al lebbroso primo divulgatore della Buona Novella di cui si è appena detto al precedente punto 10, del mese scorso). Ogni qualvolta manca il nome, l’evangelista vuole figurare un personaggio rappresentativo ideale, nel quale perciò ogni lettore, ogni ascoltatore si può identificare. Allora è chiaro, da una parte, che identificando il discepolo prediletto con Giovanni si svilisce l’importanza di questo personaggio; dall’altra, quando si dice che questo discepolo è amato da Gesù, non significa che egli è il prediletto, il cocco di Gesù. A differenza dell’islam, dove Maometto è l’amato di Dio, non ci sono discepoli più amati degli altri, visto che l’amore è la normale relazione che Gesù ha con tutti i suoi discepoli[6]. L’evangelista ci vuol solo dire che quello è il modello di discepolato: colui che accoglie pienamente Gesù, gli è intimo nel seguirlo e nel donarsi come lui. E allora cosa se ne può dedurre? Che non sono i 12 apostoli, seppur identificati con il loro nome, il massimo della sequela, perché altri possono fare indubbiamente molto meglio dei dodici.
Va aggiunto che oggi si dubita perfino che san Giovanni sia l’unico autore del IV vangelo. Infatti, nel capitolo finale del vangelo di Giovanni si legge: “Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera”. Cosa se ne deduce? Da un lato si afferma che il vangelo è in parte scritto dal discepolo diretto di Gesù; dall’altro è chiaro che chi ha scritto queste parole, e usa il “noi”, non era certamente questo discepolo[7]. Altri però sono dell’idea che l’ultimo capitolo sarebbe di un discepolo di Giovanni, mentre tutta la parte precedente sarebbe stata scritta proprio dall’apostolo, teste oculare delle gesta di Gesù. Altri ancora sostengono che Giovanni, figlio di Zebedeo, sarebbe morto già nel 44 dopo Cristo come suo fratello Giacomo, quindi non avrebbe potuto scrivere il vangelo che risale appena alla fine del I secolo[8]. Dubbi ancora maggiori sul fatto che il Giovanni, autore dell’Apocalisse, si possa identificare con Giovanni apostolo[9]. Dunque, probabilmente ci sono più Giovanni, o autori che hanno sfruttato quel nome, e questo già allontana l’idea che il discepolo amato sia l’apostolo Giovanni. Soprattutto dopo il concilio Vaticano II, si è cominciato seriamente a dubitare che il quarto evangelista sia una sola persona, per cui possa essere lui il discepolo prediletto[10]. Ecco perché oggi – a prescindere da quello che scrive “Famiglia cristiana”,- buona parte della dottrina ritiene che il discepolo prediletto corrisponda semplicemente al prototipo dei discepoli, nel quale ogni lettore può riconoscersi[11].
Ma se leggiamo con attenzione la seconda parte della risposta di “Famiglia cristiana” vediamo che si lascia spazio anche a questa diversa interpretazione. Un lettore, probabilmente dopo aver avuto conferma nella prima parte della risposta che il discepolo amato è Giovanni, legge il resto in velocità e con minor attenzione o forse perfino gli sfugge l’ultima parte della risposta, dove si dice che “Giovanni rappresenta tutti i credenti chiamati a vivere un legame d’amore particolare con Cristo” per cui quando Gesù lo affida, insieme a tutti noi a Maria sotto la croce (Gv 19, 25), si esalta il rapporto di amore personale tra Gesù e ogni discepolo e discepola. Se si mette al centro questa seconda parte della risposta, anche la spiegazione del discepolo anonimo sta perfettamente in piedi.
Non per questo voglio dire che la mia versione (magari fosse mia, in realtà viene da vari grandi teologi) è sicuramente giusta e che le altre sono sicuramente sbagliate. Voglio far presente che anche interpretazioni diverse sono accettabili, senza che nessuna abbia in mano il sigillo della Verità assoluta. Più si approfondisce la lettura dei vangeli, più si smette di credere che si trovi in mano un’unica Verità assoluta, monolitica e indiscutibile.
Voglio infine fare un’ultima osservazione. Papa Francesco[12] aveva sottolineato come Gesù avesse scelto il più peccatore degli apostoli, quello che lo ha rinnegato (Pietro). Perché non ha scelto Giovanni, il prediletto e perfetto, che è rimasto con lui fino alla fine? Papa Francesco dice che questa scelta speiga che la Chiesa è fatta evidentemente per i deboli, non per i forti. Io aggiungo che non si poteva scegliere un prototipo di discepolo che individualmente non esisteva.
14. Cosa è la famiglia per me, che mi dichiaro credente?
È forse una domanda trabocchetto, per farmi dire ereticamente che non necessariamente la famiglia è quella tradizionale formata da papà, mamma ed eventuali figli, unica famiglia invece secondo l’insegnamento della Chiesa?
Per me, famiglia è innanzitutto una piccola cellula della società dove si trova amore, protezione, aiuto materiale e psicologico. Se la famiglia non dà questo, non credo possa chiamarsi famiglia (anche se formalmente si presenta come una perfetta famiglia tradizionale), e quindi a prescindere se è basata su una coppia eterosessuale oppure omosessuale. Ovverossia, è meglio per un bambino essere allevato con affetto in una famiglia omosessuale, oppure essere abusato in una famiglia però regolarmente composta da padre e madre?
Ovvio che l’abuso può avvenire anche in una famiglia formata da persone dello stesso sesso, ma la famiglia eterosessuale di per sé sola non garantisce al cento per cento che il figlio avrà amore, aiuto e protezione, come purtroppo spesso si deve leggere su vari quotidiani.
Ricordo, fra l’altro, che Gesù non ha speso una parola sul sesso, e che neanche la sua famiglia (tanto decantata) era poi così regolare. Maria è diventata madre quando era solo promessa a Giuseppe, tanto che non era ancora andata a vivere col promesso sposo, e per questa violazione la legge (imposta da Dio) prevedeva la lapidazione (Dt 22, 23). Ancor di più meritava la lapidazione perché la Chiesa ci dice che il padre non era Giuseppe. Comunque Giuseppe, a sua volta, era un gran peccatore, stando alla legge, perché non ha denunciato Maria per farla lapidare. Ribadisco che all’epoca tutti credevano che quella fosse la legge data agli uomini da Dio, disobbedendo alla quale si peccava e si offendeva Dio: quindi Gesù è stato allevato in una famiglia di fatto, di peccatori, ma non per questo è stato traviato.
Va aggiunto che Gesù non è stato neanche uno strenuo difensore della famiglia tradizionale, per la quale la Chiesa ancora oggi continua a battersi. Illuminante, all’inizio del Vangelo di Luca, è la definizione che Simeone aveva dato di Gesù bambino quando l’aveva preso in braccio davanti al Tempio: «Egli sarà un segno di contraddizione» (Lc 2, 34). Segno di contraddizione perché, anche senza voler causare discordie, Gesù le provoca per le radicali esigenze di scelta che richiede,[13] anche all’interno della famiglia tradizionale. La famiglia tradizionale (padre-madre-figli) si basava su consolidate relazioni di potere: padre-figlio, madre-figlia, suocera-nuora, ma Gesù libererà la famiglia da questi vincoli che impediscono la crescita personale, da certi ricatti affettivi che soffocano l’individuo, ricordando a tutti che spesso “i nemici dell’uomo sono proprio i suoi familiari” (Mt 10, 36). Questo, il magistero che esalta la famiglia tradizionale non ce lo ricorda mai. Ripeto che questo lo ha enunciato Gesù, non io. Gesù non ha usato la spada della violenza, ma sicuramente la spada della divisione, perché la novità che ha annunciato è talmente grande, è talmente frizzante, che il vino nuovo non può essere contenuto in otri vecchi (Mc 2, 22)[14]. La scelta di seguire la via indicata da Gesù è costosa in termini di impegno nella vita. Ecco che la spada dividerà figlio dal padre o dalla madre, e trapasserà anche Maria (Lc 2, 35), ad esempio, nel momento in cui Gesù non riconoscerà neanche sua madre come familiare, visto che anche lei resta con quelli “fuori” rispetto al cerchio degli impuri che lo sta attorniando (Mc 3, 33: «chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?»). Gesù fa capire che ciò che tiene unite le persone non è il vincolo di sangue (dove poi magari ci si scanna per un bene ereditario), ma è la comunità di ideali[15]. Per non dire, poi, che quando una donna che lo seguiva grida “Benedetta tua madre che ti ha portato in grembo e ti ha allattato!” (Lc 11, 27-28) Gesù – ancora una volta – scavalca il legame di sangue e dice: «Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».
Cosa che si può ben fare anche al di fuori della famiglia tradizionale, per cui non fissiamoci troppo sull’idea che l’unica famiglia legittima sia quella tradizionale e non ne esistano altre. Indubbio che oggi siamo a contatto con diversi sistemi di valori, per cui si sta passando da un pensiero unico e totalizzante a una visione pluralista della realtà non più unitaria ma frammentata e discontinua. La realtà non è più in bianco e nero, perché ci sono molte sfumature di grigio.
15. Quando i seguaci di Gesù hanno avuto il nome di cristiani?
Chi sono stati i primi ad essere chiamati cristiani? I primi ad essere riconosciuti come cristiani sono stati quelli della comunità di Antiochia (At 11,26), pagani da poco cristianizzati, i quali non seguivano la tradizione giudaica, seguita invece dalla comunità di Gerusalemme retta dagli apostoli. A Gerusalemme, pensando di realizzare il progetto di Gesù, avevano strutturato la comunità facendo mettere tutti i beni in comune. La comunità di Antiochia non aveva seguito il regime pienamente comunista di Gerusalemme, ma ognuno dava secondo le sue possibilità e la sua generosità. Eppure in un periodo di carestia Antiochia aveva abbastanza per sé e per aiutare gli altri, ed effettivamente ha aiutato con una colletta la comunità di Gerusalemme che era rimasta nel bisogno, dimostrando il fallimento del progetto più drasticamente comunista: infatti, non appena s’impongono regole più stringenti diminuisce la libertà, nascono gli artifizi e raggiri (come insegnano Anania e Saffira: At 5, 1) e cresce il malcontento (le vedove dei greci si lamentavano di essere emarginate: At 6, 1)[16]. Dunque, quelli di Antiochia sono stati chiamati per la prima volta cristiani per questo concreto darsi da fare in favore degli altri, non per altro. Non sono stati chiamati cristiani perché avevano pregato per le altre comunità, o perché meglio degli altri avevano capito e sviluppato il messaggio di Cristo, o perché l’avevano fissato in precisi schemi dottrinali, o perché la loro liturgia era la più brillante, o perché più degli altri erano andati in giro a predicare. Dunque, sia ad Antiochia che a Gerusalemme credono nello stesso Signore, credono nello stesso Gesù, ma soltanto ad Antiochia vengono riconosciuti come cristiani, a riprova che l’essere cristiani non dipende da quello che si crede, ma da quel che si fa; e siccome solo ad Antiochia, pur colpiti anche loro dalla carestia, sono talmente generosi da non pensare solo a sé, ma di occuparsi anche degli altri, solo ad Antiochia questi sono stati riconosciuti come cristiani. Anzi, la desinenza nel nome è latina, e proprio la desinenza latina e non greca, quando ad Antiochia si parlava di più il greco, fa pensare che la denominazione risalga alle schedature fatte dalla polizia romana, che teneva d’occhio questi inquieti seguaci di un pericoloso sovversivo già condannato e crocefisso[17].
NOTE
[1] In tal senso, ancora di recente il cardinal Tettamanzi, in “Famiglia Cristiana,” n.15/2012, 12, e n.15/2013, 15. In passato, vedasi Schindler P., Petrus, ed. SAT, Vicenza,1951, 134.
[2] Ireneo, Adversus haereses III, 1, 1, in www.documentacatholica.eu.
[3] AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion. Torino, 1993, 129.
[4] Ibidem.
[5] Bortuzzo A., Giovanni e la sua opera, relazione tenuta a Trieste il 13.3.2012.
[6] Vedasi, ad esempio, Lazzaro (Gv 11, 3), eppure nessuno si è sognato di identificare il discepolo amato con Lazzaro, ancorché l’espressione “amato da Gesù” sia stata riferita nel Vangelo di Giovanni proprio a Lazzaro (anche se il none El Azar significa “Dio viene in aiuto).
[7] Augias C. e Pesce M., Inchiesta su Gesù, Mondadori, Milano, 2006, 17. Da più parti si sostiene, ormai, che esistono vari strati della tradizione giovannea nel vangelo, che non è farina di un unico autore (Schoonemberg P., Il battesimo nello Spirito santo, in “L’esperienza dello spirito”, ed. Queriniana, Brescia, 1974, 88).
[8] Per aver un’idea veloce delle varie dispute sull’autore del IV Vangelo, si rinvia a Guerriero A., Quaesivi et non inveni, ed. Mondadori, 1973, 107ss. da cui emerge chiaramente che la dottrina ufficiale non ama chi indaga giungendo a conclusioni diverse dalle sue (tipo Loisy, Goguel, Bultmann, ecc…); l’autore dà voce a questi contestatori “cancellati” dalla dottrina ufficiale perché asseritamente “superati” per merito di altri scrittori cattolici, dimostrando che non dicono affatto quello che la dottrina ufficiale cattolica fa loro dire, e dimostrando che sono rifiutati dalla teologia cattolica solo perché essi rifiutavano la teologia che muove da dogmi.
[9]Pèrez Márquez R., L’Antico Testamento nell’Apocalisse, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 323s., con i numerosi autori ivi richiamati.
[10] Schnackenburg R., Il Vangelo di Giovanni, ed. Paideia, Brescia, 1977, P.I, 121 ss.; Brown R.E., Introduzione al Vangelo di Giovanni, ed. Queriniana, Brescia, 2007, 208 ss., dove si riconosce che questo discepolo deve essere stato mosso in modo particolare dallo Spirito Santo, e l’autore del IV Vangelo non è una sola persona, ma una scuola particolarmente imbevuta dello spirito del discepolo amato.
[11] Fabris R., Giovanni, ed. Borla, Roma, 1992, 73; Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 109 s.; Wengst K., Il Vangelo di Giovanni, ed. Queriniana, Brescia, 2008, 776; Maggi A., Il mandante, ed. Cittadella, Assisi, 2009, 37s. Ravasi G., Il discepolo amato figura del vero credente in Cristo, “Famiglia Cristiana”, n.46/2013, 116.
[12] Papa Francesco, Omelia di Santa Marta del 2.6.2017.
[13] Ravasi G., Odiare il padre e la madre?, “Famiglia Cristiana”, n.11/2013, 135.
[14] Maggi A., in www.studibiblici.it/ e quindi: Multimedia/ Incontri e video vari - Cefalù, novembre 2013.
[15] Maggi A., Non ancora madonna, ed. Cittadella, Assisi, 2004, 98.
[16] Negli Atti degli apostoli Luca dà un’idea di una comunità unita dove tutto funziona; ma già leggendo tra le righe si vede che non era così. Anche le lettere di Paolo e Giacomo dimostrano che esse avevano un valore pratico perché c’erano evidenti problemi nella comunità ai quali essi cercano di ovviare. Così pure nell’Apocalisse, con le lettere alle 7 Chiese, ognuna con i suoi difetti. Dunque, neanche nella Chiesa, c’è mai stata una mitica età dell’oro.
[17] Così l’archeologo Molthagen, citato dal professore di storia del cristianesimo Remo Cacitti nell’intervista rilasciata ad Augias: Cacitti R. e Augias C., Inchiesta sul cristianesimo, ed. L’espresso, Roma, 2010, 70.
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