Speranza: semplice ottimismo?
Il 18 Febbraio, presso il cineteatro Rivellini di Romano di Lombardia, il professore Silvano Petrosino ha tenuto un incontro in cui stimola profonde riflessioni sul tema della speranza: in questo dialogo vengono affrontate questioni complesse legata alla verità, alla sua accoglienza e alla memoria di essa.
In un primo momento, Petrosino si occupa di disambiguare i concetti di “riflessione” e “parere”. Il termine riflessione è composto dal prefisso “re”, che va ad indicare un movimento di ritorno e dal verbo “flectere” che indica appunto l’azione del “piegare”. Tale espressione, dunque, indica un piegare di nuovo, o volgere indietro. Non basta avere un parere. Ciò che conta sono le ragioni che sostengono quel parere e il tempo che siamo disposti a dedicare alla riflessione.
La domanda da cui prende abbrivio la riflessione di Petrosino è: cosa è la speranza? Quali sono le regioni della speranza. Vasilij Grossman nel testo “Vita e destino” esplora l’idea che la speranza possa apparire illogica. Il volume segue gli itinerari umani da Stalingrado ai lager sovietici e ai mattatoi nazisti. In questo scenario la speranza sembra divenire qualcosa di totalmente illogico che ha a che fare con l’istinto di sopravvivenza.
Tuttavia, sottolinea Petrosino, se si vuole ragionare con serietà occorre rispondere all’obiezione di Grossman: occorre trovare una ragione per la quale anche negli scenari più atroci la speranza sia credibile.
In primo luogo Petrosino procede distinguendo la speranza dall’ottimismo, alla cui base vi è la volontà: ossia, il non lasciarsi andare. L’origine della speranza, invece, sembra essere di altra natura e trova le sue radici nella memoria del bene accolto. Il problema, dunque, sta proprio nell’accoglienza: non è sufficiente che i cieli raccontino la gloria di Dio, poiché tale gloria va accolta.
Il fare memoria è una modalità dell’accoglienza. Un interessante spunto viene dal testo “Il procuratore della Giudea” di Anatole France. Questo racconto descrive l’incontro fortuito tra Pilato, ormai anziano, e un amico di gioventù Lamia, il quale era stato allontanato da Roma per aver sedotto la moglie di un console. I due, incontratisi ai bagni termali, iniziano a parlare dei loro problemi di salute, ma ad un tratto durante la conversazione, Lamia rievoca un ricordo del passato, in cui aveva incontrato una donna bellissima, dalla quale era rimasto colpito, ma che ad un tratto era sparita. Lamia lamenta il fatto che, nonostante l’avesse cercata in tutte le bettole, questa donna era scomparsa. Secondo le dicerie, ella aveva cambiato vita, iniziando a seguire Gesù il Nazareno, proprio nel periodo in cui Pilato era procuratore.
Arrivati a questo punto del racconto, Lamia chiede a Pilato se ricordasse tale fatto. Ma, immediatamente, Pilato risponde dicendo di non ricordare.
Come sottolinea Petrosino, infatti, incrociare non è incontrare. Si può incrociare senza incontrare. Così come Pilato incrocia Gesù, ma non lo incontra, Lamia non incrocia Gesù, ma lo incontra. Questo vale anche per noi: l’incontro avviene, solo, attraverso l’accoglienza e la memoria del bene.
Quando il Risorto appare alle donne, invita loro ad andare in Galilea e a ricordare quanto avesse detto loro. Poiché è solo attraverso il ricordo di come ha vissuto Gesù, di quello che ha detto, di come ha amato, che la speranza diventa credibile.
È credibile che sia risorto, poiché prima ancora di risorgere Gesù ha vissuto da risorto, ha amato da risorto. Conclude Petrosino, dicendo: “Magari non è risorto davvero, ma è credibile”. In conclusione, dunque, qual è la ragione della speranza? Per rispondere a questa domanda, occorre fermarsi, e iniziare a raccontare una storia.