La cultura cambia
di Dario Culot
Immagine IA elaborata per questo contributo di Dario Culot
È indubbio che la cultura[1] in cui oggi siamo immersi è già diversa rispetto a quella dei nostri genitori. Il cammino nella storia porta con sé inesorabilmente anche il cambiamento delle culture, delle tradizioni, dei modi di vedere e agire[2].
E se cambiano i modelli[3] non si può costringere la gente a continuare a ragionare in base al modello ormai superato, come il cardinal Bellarmino voleva facesse Galileo Galilei, fermo nella sua pretesa di leggere il passo biblico sul sole fermato da Giosuè in senso letterale, e con l’ulteriore arrogante pretesa di imporre a tutto il mondo questa sua interpretazione come fosse una Verità assoluta. Galileo si rendeva conto che la verità che Bellarmino voleva imporgli non era affatto vera, e per questo aveva invitato il cardinale a guardare nel cannocchiale per rendersi conto che il sole aveva le macchie e quindi non poteva essere quel corpo perfetto descritto dalla Chiesa. Il cardinale aveva rifiutato, dicendo che lui già sapeva, e perciò non gli serviva guardare. Era comune in allora, per il magistero della Chiesa, anteporre la propria ideologia all’esperienza delle persone.
Eppure già il vangelo di Giovanni aveva chiaramente insegnato la supremazia della propria esperienza e quindi della libera coscienza sull’autorità dottrinale del magistero docente[4]. Nell’episodio del nato cieco, dopo che questi ha riacquistato la vista grazie al “peccatore” Gesù, il quale ha operato in violazione della Legge, i capi religiosi fanno pressione sull’ex cieco affinché dia adesione al dogma del riposo del sabato: «Da’ gloria a Dio! noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore» (Gv 9, 24). Dunque, anche il magistero di allora non accettava il dissenso e pretendeva che nessuno potesse andare contro la verità di un suo enunciato dottrinale[5]. Però il guarito risponde al magistero in base alla sua esperienza, senza entrare minimamente nel campo dottrinale, e ribatte «Se sia peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo» (Gv 9, 25), cioè: “io di leggi e di teologia non capisco niente, e lì voi siete maestri, ma so che prima non ci vedevo, mentre adesso ci vedo, per cui, per me, va bene così” (Gv 9, 25). Questa, per me, è la verità.
Qualcuno pensa ancora oggi che la Chiesa non cambi mai, invece anche la Chiesa cambia, anche se non lo dice apertamente. Anzi, spesso è stata proprio la Chiesa a far cambiare cultura nell’intera società. È indubbio, poi, che i mutamenti nella cultura sociale di un Paese possono invertire nel lungo periodo anche le tendenze storiche.
1. Pensiamo a questo: nel 305 d.C., dopo aver fatto ultimare dagli schiavi, in poco tempo, la costruzione delle enormi terme romane, l’imperatore Diocleziano aveva fatto uccidere e seppellire in fosse comuni oltre 10.000 schiavi cristiani, perché finita la costruzione non si sapeva cosa fare di essi.
Un altro aspetto inquietante dell’epoca romana, ma che non si limitava ai romani perché era praticato da molti altri popoli antichi, e che oggi fa inorridire noi moderni, era la pratica di abbandonare i propri bambini. Era una pratica comune, autorizzata perfino dalla legge, soprattutto se i neonati avevano deformazioni o se la famiglia era troppo povera per sfamare un’ulteriore bocca. Ovviamente i più morivano, ma qualcuno veniva raccolto, adottato e riusciva a crescere[6].
Ebbene si deve riconoscere che, attraverso l’insegnamento della Chiesa, pian piano, simili abitudini in passato comunemente accettate sono diventate non solo vietate, ma oggi la notizia di un bambino buttato via fa indignare i più. Ciò vuol dire che il cristianesimo è riuscito a far assorbire alla società una forma di rispetto della vita (dei deboli in particolare) che in passato non esisteva. Però, dopo duemila anni, siamo ancora di idee diverse, e quindi si litiga, sull’aborto: alcuni ne restano indignati, altri lo ritengono un diritto vero e proprio delle donne. Faccio solo notare che il Vangelo non ha mai accusato di omicidio chi ha abortito (anzi Gesù neanche ha mai parlato dell’aborto, che pur si faceva anche in allora), né ha chiamato ‘sicari’ coloro che hanno aiutato una donna ad abortire. Invece viene sostanzialmente equiparato all’omicida Caino colui che rifiuta di dare aiuto vitale a chi ne ha bisogno: maledetti (Mt 25, 41) al pari di Caino (Gen 4, 10), sono infatti coloro che hanno passato la vita magari anche servendo formalmente il Signore, ma ignorando gli altri uomini; e non ci si riferisce agli uomini che stavano già bene, ma quelli che erano in difficoltà. Da notare inoltre che non va neanche chiesto perché sono in difficoltà, perché sono finiti in carcere, perché sono emigrati.
Vediamo qualche altro esempio, per capire come a volte la Chiesa ha influito positivamente sui cambiamenti di mentalità, altre volte li ha ostacolati.
2. È indubbio che principalmente dalla Chiesa, non dalla cultura greco-romana che sostanzialmente se ne disinteressava, è venuta l’attenzione e la cura per i poveri, gli ammalati, i pazzi, i senza casa. Oggi, in Occidente, non c’è Stato che non tenga in conto queste esigenze, anche se laico. Il luogo genetico della creazione degli ospedali per i poveri è stato sicuramente il cristianesimo, ma oggi tutti possono approfittarne.
3. Pensiamo ora a come è cambiata l’idea della famiglia: cosa s’intende per famiglia? È forse famiglia quella formata da padre-madre e figli, in cui il padre picchia e umilia ogni giorno la moglie, in cui la moglie accetta questa situazione pensando perfino che questo sia normale? È forse famiglia quella in cui il marito uccide la moglie per gelosia (motivi di onore) lasciando orfani i figli? O forse oggi, essendo cambiata la cultura, si pensa che famiglia sia quella piccola comunità dove vigono dialogo, rispetto, complicità e amore? Ma allora è famiglia anche quella che non è stata sigillata col contratto di matrimonio, e pure quella formata da una coppia di genitori dello stesso sesso.
In ogni caso oggi – almeno in teoria e da noi in Europa - nessuno parla più di subordinazione della femmina rispetto al maschio. Eppure neanche cento anni fa, nel 1930, papa Pio XI, nell’enciclica Casti connubii,[7] avvertiva i fedeli del pericolo dei maestri di errori, i quali offuscavano il candore della fede e della castità coniugale, scalzando la fedele ed onesta soggezione della moglie al marito, e ancor più audacemente affermando con leggerezza essere indegna la servitù della moglie al marito, pretendendo invece che i diritti tra i coniugi dovessero essere tutti uguali. Oggi questa idea di uguaglianza fra coniugi non sembra più così audace e contro la fede, e nessun papa oserebbe più dire che la femmina deve essere ancora sottomessa al maschio; però vien normalmente sottaciuto il fatto che in passato la Chiesa aveva avuto una visuale squisitamente maschilista dei rapporti maschio-femmina.
Insomma, i passaggi culturali veloci degli ultimi tempi hanno ormai reso logore e insignificanti tante affermazioni utilizzate categoricamente in passato come vere, ma che oggi si riconoscono non vere. Perciò credo avesse ragione Pierpaolo Pasolini a dire: “Là dove il cristianesimo non rinasce, marcisce”. Se non siamo capaci di rinnovare il cristianesimo alla luce delle nuove comprensioni imposte dall’attuale cultura, se continuiamo a usare parole e formule che ormai non ci dicono più nulla, esso marcirà.
4. Per secoli la Chiesa era certa di possedere nella sua tradizione dottrinale i principi filosofici e teologici in grado di fornire risposte a tutti i problemi della vita, e quando la scienza ha messo in dubbio le sue conclusioni si è opposta a lungo e ferocemente. Se per secoli l’istituzione Chiesa è stata in grado di dirigere gli avvenimenti, oggi non lo è più, perché la sua linea – non aggiornata in base alla nuova cultura - non funziona più, e il suo gregge che dovrebbe docilmente seguirla non si sente più attratto da coloro che si auto-definiscono pastori del gregge. Oggi i più non fanno caso a cosa dice la Chiesa e, come un cane che si morsica la coda, vista l’incapacità di determinare la vita e le abitudini delle persone, sempre meno gente la prenda sul serio. Una Chiesa che si richiama semplicemente alle antiche tradizioni è oggi destinata a ridursi al lumicino. Lo dimostra il fatto che gli eventi che hanno alla fine costretto la Chiesa più volte a cambiare rotta sono nati tutti principalmente al di fuori della Chiesa, sono stati cioè eventi esterni (pensiamo solo a come si sono imposte la libertà di coscienza, di parola, la possibilità di cambiare religione), in netta contrapposizione ai principi su cui si era arroccata in precedenza la stessa Chiesa, perché convinta di possedere la Verità che doveva durare in eterno. Oggi siamo certamente più liberi rispetto alle generazioni precedenti. Ciononostante ho l’impressione che ancora oggi, fra i cristiani, ci sia ancora poca consapevolezza di questa libertà entrata ormai forzatamente anche nel mondo della Chiesa cattolica,[8] di cui dovremmo tutti godere: pensiamo a come ormai si discute, senza paura, del celibato dei preti, dei ministeri accessibili alle donne,[9] eccetera. Anche nell’ambito religioso dovremmo imparare dal mondo scientifico la condivisione del sapere, perché la scienza lavora soprattutto con lo scambio di idee. Proprio a livello di Chiesa, intesa come popolo di Dio, ci vorrebbe perciò più coraggio e più uso di questa libertà; solo così avremmo maggior possibilità di aprire gli occhi sulla realtà. Invece noi ci comportiamo ancora spesso come servi di Dio, inginocchiandoci, con lo sguardo fisso a terra, chiedendo infinite volte perdono. Dimentichiamo, però, che con Gesù non si è più servi, ma figli di Dio, e sembra che non abbiamo ancora pienamente compreso l’abissale differenza fra i due status.
Diceva preoccupato il cardinale Ratzinger che il papa è un argine contro l’arbitrio[10] che facilmente emergerebbe di fronte a troppa libertà concessa ai singoli. La Chiesa ha sempre avuto paura della libertà, e, se si dovesse seguire liberamente Gesù, c’è da aspettarsi solo il caos. A parte il fatto che la rigida struttura della Chiesa, su cui troneggia il papa, non ha di sicuro evitato abusi nel corso dei secoli, è abbastanza evidente che per secoli al nostro magistero interessava più la religione che la libertà delle persone, mentre oggi sta emergendo l’idea che a Gesù interessava più la libertà delle persone (intesa come libertà di essere autori della propria vita), che l’osservanza della religione (Lc 13, 10-17). E questo è un cambio culturale ed epocale nell’ambito religioso.
Quanto alla paura della libertà del singolo, si può notare che già san Paolo l’aveva superata affermando che per Gesù la libertà di ogni uomo è uno spazio sacro e inviolabile in quanto è la sede dello Spirito, sì che neanche l’autorità religiosa può sottomettere l’uomo alle sue direttive e alla sua volontà (2Cor 3, 17) togliendogli la libertà. Invece nella Chiesa, la libertà dell’uomo, su cui tanto ha insistito Gesù, è stata trasformata da qualcosa di grande e positivo a pochezza pericolosa e negativa[11]. La libertà positiva comporta autodisciplina perché si è consapevoli dei rischi e soprattutto si è responsabili; ma è anche speranza di crescere e migliorare. La pseudo libertà (negativa) comporta il controllo di tutto e di tutti da parte di pochi altri, con regole e leggi severe, senza per questo che la sicurezza offerta risolva il problema del rischio; infatti la sicurezza assoluta non esiste, in nessun campo. Inoltre, dove manca la speranza nel futuro si crea il vuoto, e il vuoto genera paura. Se Dio è il Padre buono che libera, scopo della legge deve essere quello di aiutare l’uomo a restare libero, e non a restringere o cancellare gli spazi di libertà. Perciò associare Dio alla nozione di legge che lega e vincola è fuorviante. La legge non può prendere il posto di Dio; occorre interpretare la legge a partire da un Dio liberatore, e non Dio a partire dalla legge[12]. Dunque, su questo punto, si può dire che l’idea di libertà non è di certo progredita grazie alla Chiesa.
Oggi ci domandiamo: com’è possibile che in passato si accettassero a scatola chiusa definizioni e spiegazioni che oggi non accettiamo più? Dobbiamo onestamente ammettere che però questo non è avvenuto solo nella Chiesa. Oggi ci chiediamo com’è possibile che la Dichiarazione d’indipendenza americana proclamasse la libertà e uguaglianza fra tutti gli uomini, ma poi trovasse naturale la schiavitù dei neri. Oggi non riusciamo proprio a comprenderlo, perché la nostra cultura è cambiata e ci ha cambiato. Questo dovrebbe essere sufficiente per affermare che con la cultura di oggi non è possibile continuare a fornire le stesse spiegazioni che fino a ieri si accettavano, anche senza venir comprese da tutti. Noi oggi sosteniamo che Gesù ci ha rivelato che ogni uomo ha un valore assoluto, anche il più piccolo e il più emarginato. In passato si ammazzavano in nome di Gesù gli ebrei colpevoli di averlo ucciso e gli eretici che non accettavano l’immagine di Dio fornita dalla Chiesa. Oggi siamo dell’idea che la parola di Dio non può diventare strumento di massacro. Per i musulmani fondamentalisti la dignità assoluta dell'uomo non fa parte della cultura islamica, che nemmeno conosce la parola persona come le intendiamo noi; conosce l'individuo che è una cellula parte integrante della comunità titolare di diritti. La sharia protegge la comunità non l'individuo, e il bene della comunità deve prevalere sul bene della singola persona. Noi, impregnati di individualismo, che accettiamo come naturalmente dovuti i diritti dei singoli, non riusciamo a capire simile cultura musulmana, e loro non riescono a capire la nostra[13]. La democrazia presuppone la libertà di pensiero, di espressione, di religione, perfino di dissenso da parte di ogni singola persona. Nella cultura occidentale di oggi il rispetto dei pensieri, delle credenze, dei modi di vivere è chiamata tolleranza, e la tolleranza è quella sostanza spirituale dove si ama la libertà. Il comportamento responsabile nella diversità si chiama libertà,[14] e tutto questo è frutto soprattutto dell’Illuminismo. La sharia semplicemente non ammette questi diritti individuali che possono minare il bene della comunità[15]. Noi, nel nostro mondo, vorremmo mantenere i nostri diritti senza però riconoscerli agli altri: insomma anche il cittadino occidentale è spinto a cercar protezione (contro gli stranieri) più che libertà, a cercar sicurezza tralasciando i diritti (soprattutto quelli altrui).
Forse pochi sanno che, col passare del tempo, perfino da noi il termine "persona" ha acquistato un significato nuovo, per cui mentre in passato il termine indicava un ruolo, oggi indica il soggetto stesso[16]. Perciò, quando nei primi concili di oltre un millennio e mezzo fa si è detto che in Gesù c'erano due nature (umana e divina) e una sola persona divina (pròsopon in greco, persona in latino) s’intendeva due nature e un unico ruolo salvifico-liberatorio. Ma man mano che si è andati avanti nel tempo, parlando di persona si è invece finito con l’intendere che Gesù era Dio: si indicava, cioè, il soggetto, la persona divina di Gesù, e l’espressione ‘ruolo salvifico’ ha acquistato un significato diverso, come se si trattasse di una realtà divina che si manifestava, si camuffava, nella realtà umana di Gesù. E pian piano questa interpretazione ha preso il sopravvento, si è consolidata ed è arrivata fino a noi, falsando la comprensione iniziale che voleva indicare la realtà umana di Gesù il quale, come dice l'evangelista Luca, cresceva in sapienza, età e grazia[17]. Oggi forse si potrebbe cominciare a dire che l’unità tra la realtà umana e la realtà divina in Gesù è data dalla forza creatrice di Dio, il quale alimenta il processo della crescita dell'uomo Gesù fino alla sua identità di Figlio di Dio nella risurrezione. O, con altre parole,[18] si sta facendo sempre più forte nel mondo cattolico l’idea che, parlando di Gesù, non si debba più partire dall’affermazione dogmatica ma ambigua della sua “doppia natura”, quanto dalla concreta testimonianza dei vangeli, i quali evidenziavano la sua personale e particolare capacità di “comunicazione” col Padre[19] e il dualismo si può vedere solo extra Christum, al di fuori di Cristo, cioè in rapporto agli effetti della sua attività, che ci appare insieme divina e umana[20]. Ma anche qui, dopo secoli di univoco indottrinamento, si fa fatica a cambiare.
5. Anche la pretesa durata secoli, da parte della Chiesa, di imporre la propria verità come verità di tutti, sta cambiando, seppur lentamente. In passato tutte le generazioni ritenevano che l’orizzonte finalmente raggiunto fosse definitivo: c’era la convinzione che il Sacro Romano Impero sarebbe durato per sempre; c’era la convinzione che lo Stato pontificio sarebbe durato per sempre; la Chiesa era anche convinta che le formulazioni da lei pensate potessero restare per sempre nel tempo e con lo stesso significato, giacché la Verità, una volta raggiunta, resta tale ed è immutabile. Ma oggi abbiamo scoperto che non è così. Oggi sappiamo che tutta la realtà è in continuo processo, in continuo divenire, per cui siamo diventati consapevoli che ciò che raggiungiamo è sempre provvisorio:[21] un cartello indicatore che ci porta ad andare oltre.
Nel 1864 Pio IX, col suo Syllabus, affermava a chiare lettere che la Chiesa non poteva riconciliarsi con la modernità e il progresso. Papa Paolo VI, con l’enciclica Ecclesiam suam, ha invece sostenuto che la Chiesa è dialogo. E papa Leone XIV ha escluso di voler “alzare la bandiera del possesso della verità”. Ogni dottrina, egli dice, può essere solo la sintesi di varie forme di dialogo perché: “ogni dottrina si riconosce frutto di ricerca e quindi di ipotesi, di voci, di avanzamenti e insuccessi, attraverso i quali cerca di trasmettere una conoscenza affidabile, ordinata e sistematica su una determinata questione”[22]. Dunque, anche in questo caso la posizione della Chiesa si è capovolta nell’arco di circa cento anni.
Però a riprova della difficoltà di una parte della Chiesa cattolica di accettare l’idea di non possedere più la Verità assoluta, quando per secoli si è affermato il contrario, ancora di recente il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller, a lungo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e sempre critico nei confronti di papa Francesco,[23] ha detto che con l’Islam “già san Tommaso D’Aquino distingueva: sul livello della ragione possiamo dialogare con loro, visto che rispettano certi principi dell’etica naturale e credono in Dio nella propria maniera. Però bisogna domandarsi come è possibile che uno che crede in Dio, creatore di tutti gli uomini, possa uccidere nel nome di Dio”. Col che Müller sottintende che noi cristiani siamo superiori visto che non uccidiamo nel nome di Dio. La domanda è oggi indubbiamente giusta, ma si dovrebbe allora chiedere al cardinale: com’è possibile che la Chiesa cattolica, che sosteneva di possedere la Verità assoluta, abbia a sua volta per secoli condannato a morte gli eretici e le streghe “nel nome di Dio”?
Per lungo tempo l’Occidente è stato convinto di dover portare la propria cultura (rectius: la propria civiltà intesa come l’unica degna di tal nome) nel resto del mondo, ma ormai anche da noi si fa sempre più strada l’idea che la nostra cultura, pur cambiata radicalmente nel tempo, non è l’unica in questo mondo, e richiede costantemente una riformulazione. Ma nessun cambiamento può essere imposto dall’esterno, perché deve arrivare dall’interno. Penso allora che, se si continua con questo ritmo culturale veloce di cambiamenti profondi, sarà necessario per ogni generazione riformulare anche la propria fede. Però sempre partendo dalla propria esperienza, non dalle dottrine insegnate dalla generazione precedente. Come è stato detto, oggi sono in molti a vivere un cristianesimo di appartenenza, di identità,[24] di bandiera, che nulla ha a che vedere con un cristianesimo di esperienza. E credo che questo sia oggi uno dei problemi principali dell’educazione religiosa: non si può andare avanti trasmettendo dottrine, ma solo inserendoci in una struttura di esperienza per tradurre poi con formule nuove ciò che si estrae da quest’esperienza.
Soprattutto non dimentichiamo mai che le dottrine, le regole e i dogmi spesso diventano un possente meccanismo di difesa contro gli insopportabili richiami del faticoso impegno cristiano indicati nei vangeli. Riusciremo a cambiare o saremo prima assorbiti da altre culture? Non lo so. Da dopo il concilio Vaticano II siamo entrati in un periodo di incertezza. Molti hanno accettato il cambiamento culturale richiesto dal concilio, ma molti dei fedeli praticanti non sono stati in grado di farlo. I fedeli che non potevano più sopportare i modelli seguiti nella Chiesa preconciliare si sono nel tempo allontanati o sono diventati indifferenti. Molti fedeli rimasti, abitualmente educati a sensibilità tradizionalista e a modelli immutabili, hanno difficoltà ad accettare le innovazioni proposte. Così si sono provocate ulteriori spaccature all’interno della Chiesa.
A ben vedere, in passato la Chiesa non ci chiedeva molto: ci chiedeva solo di ripetere le cose che aveva insegnato e ripetuto nei secoli. Oggi, dovremmo renderci conto che non si deve ripetere ciò che ci hanno insegnato, ma seguire la strada tracciata da una persona, Gesù. È una differenza sostanziale per capire l’impegno che ci è chiesto. Noi siamo chiamati a seguire Gesù, a percorrere la strada che lui ha aperto, ad andare verso i traguardi che lui ha indicato, ma anche facendo cose diverse da quelle che lui ha fatto, persino “cose più grandi” (Gv 14,12)[25]. Questa è la libertà portata da Gesù. Saremo capaci di farlo?
NOTE
[1] Per cultura s’intende il modo di stare al mondo. La Chiesa si sta dimostrando oggi un mondo a parte, che usa parole logore per cui non svolge più la funzione catalizzante che ha avuto nel passato.
[2] Cugini P., Visioni postcristiane, EDB, Bologna, 201, 47.
[3] Ci vuole però del tempo perché un nuovo modello sia accettato da tutti. Spesso nascono conflitti. Chi si trova comodamente seduto sulla sedia del vecchio modello diventa facilmente incredulo e perfino aggressivo di fronte ad ogni pretesa di innovazione volendo rimanere tranquillamente seduto e temendo che le sue credenze vengano minate.
Questa è la fotografia odierna della situazione della Chiesa nella quale ci troviamo a causa della svolta nei modelli d'esperienza e d'interpretazione, nei quali i progressisti cercano ora di esprimere in modo nuovo l'antica fede, temendo che i vecchi modelli facciano diventare la fede un relitto storico da museo. Perciò quelli che per alcuni ancora restano i pilastri incrollabili della fede cristiana (Gesù: due nature in una persona divina; Trinità: tre persone in un'unica natura; una madre che rimane vergine nonostante il concepimento ed il parto, ecc.), per molti non sembrano più così evidenti e solidi, per cui si creano necessariamente tensioni.
Ricordo che ai tempi dell’ultimo concilio l’allora capo del Sant’Uffizio, il cardinale Alfredo Ottaviani, sconvolto e impaurito dalle novità che irrompevano, aveva ripetuto più volte: “Spero di morire prima della fine del Concilio, così morirò da cattolico” (Grana F.A., Papa Francesco ha troppi nemici?, in
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/20/papa-francesco-ha-troppi-nemici-i-veri-problemi-sono-sulla-scrivania/3865827/ Oggi ci chiediamo: ma era veramente cristiano il suo modo di pensare? Di più, oggi arriviamo perfino a chiederci: vista la teologia confezionata da Paolo, costui può dirsi veramente cristiano? Infatti in nessun testo del Nuovo Testamento si dice che Paolo sia stato o abbia insegnato ad alcuni dei suoi cristiani ad essere fedeli “seguaci di Gesù”.
Invece quel dissacrante filosofo tedesco (Nietzsche F., L'Anticristo, Adelphi, Milano 1995, 79) aveva osservato: esiste antitesi fra menzogna e convinzione? La convinzione diventa tale dopo che per un pezzo non lo è stata: nel figlio diventa convinzione quel che nel padre era ancora menzogna. E allora teniamo presente che sono occorsi secoli perché fosse riconosciuta la divinità di Cristo, o la natura personale dello Spirito; circa quattro secoli per la dottrina del peccato originale; poco più di un millennio per la natura di sacramento del matrimonio, e quasi due millenni per gli ultimi dogmi mariani.
Ma la questione effettiva non è se i progressisti credono che si stia arrivando finalmente alla vera conoscenza avendo ora compreso la fede meglio dei conservatori. Essendo tutte le nostre tappe sempre provvisorie, la vera questione è: che cosa dobbiamo fare qui e adesso, visti i nuovi modelli di esperienza e di pensiero, per conservare una fede viva che anche oggi possa avere rilevanza per l'uomo, la sua comunità, la sua società? (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, Queriniana, Brescia, 1976, 616ss). Penso che una delle prime cose da fare sia permettere di riformulare i dogmi.
[4]Maggi A., Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore, in www.studibiblici.it/ e quindi: Multimedia/audio conferenze/tre giorni biblica 2012.
[5] Per usare oggi le parole usate di un papa recente al fine di negare che la propria coscienza possa validamente ancorarsi alla propria esperienza, pretendendo che essa si ancori sempre e soltanto all’insegnamento del magistero (Ratzinger J. – Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 117).
[6] Pensiamo alla leggenda di Romolo e Remo, abbandonati perché la madre vestale doveva restare vergine e se scoperta ad aver avuto rapporti veniva uccisa. Pensiamo a Edipo che viene abbandonato dal padre per un oracolo funesto e viene ritrovato dal pastore Forba. Nelle “Vite parallele, Vita di Licurgo” Plutarco ci racconta che: “Il genitore non era padrone di allevare il figlio, ma doveva prenderlo e portarlo in un luogo chiamato “lesche”. Là erano in seduta i più anziani della tribù che esaminavano il piccolo: se era ben conformato e robusto ordinavano di allevarlo e gli assegnavano uno dei novemila lotti di terra. Se invece era malato e deforme lo inviavano ai cosiddetti “depositi”, una voragine nelle pendici del monte Taigeto."
[7] Reperibile in www.vatican.va./Sommi pontefici/ quindi: Pio XI/Encicliche.
[8] È stato scritto che gli italiani sono ancora un popolo piegato all’obbedienza, alla rassegnazione della coscienza, tanto che è inutile parlar loro di libertà e autonomia del pensiero o di responsabilità (Rea E., La fabbrica dell’obbedienza, ed. Feltrinelli, 2011).
[9] Fra l’altro queste cose si potrebbero cambiare senza intaccare alcun dogma.
[10] Ratzinger J., Dio e il mondo, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, 346.
[11] Ibidem.
[12] Ricca P., Si scrive legge si dice amore, “Famiglia Cristiana”, n.21/2013, 80ss.
[13] Anche perché la nostra concezione mostra dei limiti evidenti, perché non ha portato come si sperava a individui tutti pienamente coscienti e responsabili, ma spesso ha portato al massimo livello un individualismo edonistico e narcisistico, col rifiuto di una società multietnica, multireligiosa: insomma oggi siamo i primi che vorrebbero rimangiarsi le faticose e ingombranti regole democratiche che ci siamo dati in passato e che abbiamo decantato come superiori davanti al resto del mondo.
[14] Zagrebelsky U., “La Repubblica” 12.6.2025, 1.
[15] Gheddo P., La sfida dell'Islam all'Occidente, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2007, 42s.
[16] Già il teologo Paolo Ricca su “Riforma” nel febbraio 2010 aveva chiarito: “La categoria ‘persona’ applicata alla Trinità (“un Dio in tre persone”) è fuorviante perché ha oggi un significato ben diverso da quello che aveva nel IV secolo. Allora significava la maschera che l’attore portava sul volto per interpretare un personaggio. Oggi invece significa un individuo, un soggetto unico e irriducibile a ogni altro”.
[17] Molari C., Gesù è Dio? La Cristologia nella riflessione del teologo Carlo Molari, Ravenna, Quaderno n.10 del 24.4.2023, 32.
[18] Cfr. quanto detto nel mio Gesù, questo sconosciuto, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2024, 182ss.
[19] Kasper W, «Per la riformulazione di una cristologia spirituale in prospettiva trinitaria», in AA.VV., Teologia in discussione, Guida, Napoli, 1989, 75: l'autore evidenzia come già trent'anni fa una buona parte della teologia ha intrapreso questo nuovo cammino.
[20] Molari C., «Gesù è Dio?», in Rocca (1999/24), 49: manca il dualismo in Cristo, che si vede extra Christum, cioè in rapporto agli effetti della sua attività, insieme divina e umana. Non si parla più di due nature in Cristo, ma della sua personale relazione col Padre. Resta un’unità funzionale fra Verbo eterno e uomo Gesù, che è costituito Figlio di Dio per l’azione continua dello Spirito.
[21] Molari C., nell’intervista di Sandri L. su Giovanni Vannucci, testimone della luce, 27.1.2005, a cura del Centro interconfessionale per la pace – Cipax.
[22] Discorso ai membri della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, del 17 maggio 2025, reperibile su www.vatican.va/ e quindi: Sommi pontefici/sito web/Discorsi/2025/Maggio.
[23] Subito dopo la morte del papa è stato intervistato dalla testata giornalistica Open.
[24] Curioso come proprio la frangia più conservatrice, che si sente superiore ai fedeli delle altre religioni, è proprio lei ad avere più paura dell’islam. Ciò che i pii conservatori (e ce ne sono ancora tanti nella Chiesa) – a mio giudizio - non capiscono è che fra poco, se non si mette mano con coraggio a nuove prospettive, non ci sarà più nulla da conservare. Il cristianesimo, sì, è da una parte conservazione, ma dall’altra innovazione e quindi superamento di ciò che esisteva prima.
[25] Molari C., Gesù è Dio? La Cristologia nella riflessione del teologo Carlo Molari, Ravenna, Quaderno n.10 del 24.4.2023, 77
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