EDITORIALE
Cinquant’anni dal Piano Condor e Gesù di Nazaret divenne Melù di Trieste
di Stefano Sodaro
Immagini non reali di persone inventate tramite IA
Nel 2025 ricorrono due anniversari che, pur distanti nel tempo e nello spazio, si intrecciano in modo sorprendente: i 1700 anni dal Concilio di Nicea e i 50 anni dal Piano Condor.
Il primo ha segnato l’istituzionalizzazione del cristianesimo imperiale, il secondo ha rappresentato, partendo da matrici ideologiche di estrema destra, una delle più brutali repressioni transnazionali contro i movimenti di liberazione sociale in America Latina. Entrambi, a loro modo, hanno cercato di normare il pensiero, il corpo e la salvezza. È caratteristica - peraltro - tipica di tutti i fascismi, di ogni tempo e a qualsiasi latitudine. Sebbene, beninteso, fascisti a Nicea non ce ne fossero proprio, va da sé.
Ma oggi, a mezzo secolo dal Condor e a diciassette secoli da Nicea, qualcosa si muove. Non si tratta di una semplice commemorazione, ma di una trasfigurazione del paradigma teologico.
La teologia della liberazione, nata in risposta alle ingiustizie strutturali, si è evoluta: non più solo lotta dei poveri contro l’oppressione, ma rivendicazione dei corpi femminili, queer, dissidenti come luoghi teologici. In questo contesto, la figura di Cristo non può più essere pensata come esclusivamente maschile, imperiale, salvifica “dall’alto”. Cristo si fa corpo vulnerabile, voce plurale, relazione incarnata. Cristo si fa anche diversa opzione politica, o politico-culturale.
È qui che Gesù di Nazaret rinasce come Melù di Trieste.
Melù non è solo un nome - o suo diminutivo o vezzeggiativo -, né solo, chissà, una giovane filosofa immaginaria, magari triestina appunto. È archetipo e incarnazione, è la possibilità che Gesù di Nazaret si rigeneri nel corpo di chi non è mai stato al centro della narrazione cristiana.
A proposito: perché Gesù non potrebbe essere un comune, normale, tranquillamente assegnabile, nome femminile, così come - per dire - Lulù? Del resto Lulù - da ricerca eseguita con cura - pare essere il solo nome proprio femminile esistente che termini con la u accentata: non sarebbe il caso di detronizzare tale sorta di solitaria esclusiva? A Trieste, in destrutturazione, siamo brave e bravi.
Trieste, città di confine, di passaggi, di mescolanze, diventa il luogo simbolico di questa nuova cristologia: una cristologia relazionale, onnigamica, femminile e post-patriarcale.
Il termine “onnigamico”, ispirato a Charles Fourier, non è una semplice provocazione linguistica. È una proposta teologica: pensare la salvezza non come evento verticale, ma come rete orizzontale di relazioni affettive, politiche, corporee. In questa rete, il corpo non è più oggetto di redenzione, ma soggetto teologico. Le donne, le dissidenze di genere, le marginalità sociali non sono più “destinatarie” del messaggio cristiano, ma autrici di una nuova narrazione.
Il Piano Condor ha tentato di spegnere le voci della liberazione. Ma quelle voci, oggi, si sono trasformate. Non gridano più solo nelle piazze, ma cantano nei corpi, nei gesti quotidiani, nelle pratiche relazionali. La teologia della liberazione si è fatta teologia dell’incarnazione plurale. E in questa incarnazione, Melù di Trieste è il volto nuovo del Cristo che non salva, ma si lascia salvare, che non domina, ma si relaziona, che non giudica, ma ascolta.
Questo editoriale è dunque, o vorrebbe essere, l’apertura di un progetto di studio e di riflessione che intenda:
• indagare la genealogia del potere teologico, da Nicea al Condor, per comprendere come si è costruita l’idea di salvezza come dominio;
• rileggere la teologia della liberazione alla luce delle voci femministe latinoamericane, da Ivone Gebara a Elsa Tamez;
• restituire al corpo — femminile, queer, migrante — la sua centralità teologica, come spazio di incarnazione e di resistenza;
• elaborare una cristologia relazionale e onnigamica, capace di destrutturare il paradigma salvifico maschile e aprire nuove prospettive comunitarie;
• utilizzare Trieste come crocevia simbolico e reale di questa trasformazione, città di confine che diventa metafora teologica.
Non si tratta di sostituire Gesù con Melù, ma di riconoscere che Cristo è già stato molte cose, e può ancora essere molte altre.
Che la salvezza non è un evento concluso, ma una relazione in divenire.
Che il corpo di Cristo è oggi il corpo di chi resiste, di chi ama, di chi crea legami.
Cinquant’anni dal Piano Condor. Mille e settecento da Nicea. E Gesù di Nazaret è diventata Melù di Trieste.
Dove abita? Chi frequenta? Che numero di cellulare e mail ha?
Melù di Trieste, alias Gesù di Nazaret in forma femminile - storicamente inaudita e impossibile - si oppone al potere e pronuncia, e scrive, parole di nuovo impegno, culturale e politico.