Da Trieste a Messina
di Angelo Maddalena
Disegno originale di Rodafà Sosteno
Un trasporto pubblico gratuito è possibile anzi necessario, ma …siamo troppo masochisti?!
Il 19 ottobre ho preso un treno Intercity notte da Messina a Roma. Esattamente venti anni prima, inizio settembre del 2005, prendevo un treno da Messina per Roma, sempre di notte, ma non Intercity, era ancora l’epoca degli espressi da Agrigento a Milano o da Siracusa a Torino, rispettivamente chiamati: La Freccia del Sud e Il treno del sole.
Quest’ultimo nome è anche il titolo di una potente e tragica poesia di Ignazio Buttitta, Lu trenu di lu suli, in cui si racconta del viaggio di una mamma con due bambini partiti da Mazzarino, in treno, verso il Belgio (a quel tempo si andava in treno fino a Milano dalla Sicilia e da Milano si prendeva un altro treno per il Belgio, parlo anche per esperienza diretta perché ho preso un treno da Milano a Mons, in Belgio, nel 1996).
Durante quel viaggio, la madre viene a sapere, attraverso la radio, del crollo della miniera di Marcinelle, e uno dei minatori morti in quella catastrofe era suo marito, Turi Scordu (“Turi Scordu surfataru, abitanti a Mazzarinu, ccu lu trenu di lu sulu s’avvintura a lu distinu”, questa la prima strofa della poesia di Buttitta poi cantata dai cantastorie siciliani).
Ho viaggiato “sirvutu e bon sirvutu”, in Intercity notte, in uno scompartimento di quattro cuccette, molto più decorose delle cuccette su cui avevo viaggiato ormai trent’anni fa (che costavano però molto meno ed esisteva la possibilità di arrivare dalla Sicilia a Milano o Torino senza cambiare treno!), quando andavo da Caltanissetta a Milano durante il periodo dell’Università. In quel treno di venti anni prima, da Messina a Roma, per la prima volta in vita mia, senza volerlo avevo viaggiato senza biglietto: era ancora l’epoca in cui se potevi farlo sul treno con una maggiorazione di 10 euro. Ero finito nella carrozza dei tifosi del Napoli che tornavano da una trasferta a Catania, il controllore non si avventurava tanto volentieri tra questi giovani passeggeri un po’ festosi e un po’ scalmanati; quindi, io avevo usufruito del mio primo “bonus” in Trenitalia.
Pochi mesi dopo, a gennaio del 2006, sarei arrivato in Val di Susa per una serie di reportage, da artista militante e giornalista indipendente, da lì è iniziato il percorso che ha portato alla pubblicazione del libro e del monologo teatrale Amico treno non ti pago, perché ho viaggiato in treno senza pagare il biglietto (eris edizioni, prima edizione 2011, seconda edizione ampliata 2013).
Nel 2012, a gennaio, ho interpretato il monologo al binario 21 della stazione Centrale di Milano, in mezzo ai ferrovieri in sciopero che si erano arrampicati su una torre (si veda un trailer che si trova su YouTube) per protestare contro il taglio di treni notte tra Nord e Sud Italia: da allora, tolti i treni notte espressi e in grande quantità che circolavano per collegare le grandi città del Nord ai piccoli centri del Sud Italia, hanno cominciato a fare grandi affari gli autobus di compagnie di linea, tra cui svetta il modello FLIXBUS. In piccolo, la stessa cosa è successa con il taglio delle tratte degli autobus da Catania verso i paesi dell’interno (Barrafranca, Pietraperzia, Mazzarino…) per cui ha preso piede una navetta privata che costa il doppio dell’autobus.
Nel corso degli ultimi anni, cominciano ad arrivare segnali di luce in fondo al tunnel, anche da New York, dove da pochi giorni è stato eletto il sindaco Mamdani che propone, tra le altre cose, un trasporto pubblico gratuito per la città di New York. Non è cosa nuova: a Tallin, in Estonia, tutto ciò esiste da molti anni; a Verbania, sul lago Maggiore, anni fa c’era il Liberobus, gratuito per tutti i residenti; dal 2020, per la prima volta, un intero Stato, il Lussemburgo, ha stabilito treni e autobus gratuiti; in Germania e Spagna ci sono esperimenti in tal senso da qualche anno a questa parte, a Genova dall’inizio del 2024 la metropolitana è gratuita per i residenti. Altri esperimenti qua e là spuntano, dall’alto, ma dal basso?
Due anni fa ho viaggiato senza biglietto sul treno ITALO, da Roma a Napoli: al controllore donna che mi chiese il biglietto, ho detto semplicemente che in Lussemburgo e in altri paesi europei si viaggia gratuitamente (il gratuitamente è da specificare, un dato ufficiale al volo, anche se ci sarebbe da scendere nell’ufficioso: 270 euro dei contribuenti, ogni anno, vanno a finanziare i trasporti pubblici): «Sì ma qui siamo in Italia», ha risposto lei, e io: «Sì, infatti qui dobbiamo farlo dal basso». Lei se ne andò senza chiedermi nient’altro, dopo avermi detto: «Ufficialmente non potrei dirlo ma personalmente mi hai convinto» (sceso dal treno sono andato a cercarla e le ho regalato una copia di un libricino dal titolo La disoccupazione creeativa è ancora viva?). Non è da ora che movimenti di giovani, studenti, disoccupati e lavoratori si organizzano in tal senso. Nel 2019 in Cile le proteste che sfociarono in manifestazioni che riempirono molte piazze (e provocarono repressione violenta dall’alto), iniziarono a causa dell’aumento del prezzo del biglietto dei mezzi pubblici, qualcosa di simile dovrebbe succedere a Milano da quando il prezzo del biglietto dei mezzi pubblici urbani è balzato a 2,20 euro, rispetto all’1,70 di Firenze e altri prezzi di grandi città che comunque rimangono sotto i 2,00 euro. Negli anni Novanta, in Belgio e in Francia le rivendicazioni per un trasporto pubblico gratuito sono confluite in alcune pubblicazioni: Le livre acces e Zero euro zero fraude, firmato Ratp: Reseau pour l’Abolition des Transports Payants, gioco di parole che ricalca la sigla della Rete dei trasporti parigini che con una forma di rivendicazione satirica diventa: rete per l’abolizione dei trasporti a pagamento. In una società fatta di individui sempre più narcisisti, isolati e alienati non si parla quasi mai di rivendicazioni per un trasporto pubblico da autogestire, e può capitare che a Milano un gruppo di controllori (giugno 2025, ero io presente e testimone) si accanisca contro una povera donna “sequestrandola” dopo che è scesa dal tram, e le fanno una multa da 50 euro che la signora paga sull’unghia. Io stesso ero senza biglietto (ma non me lo hanno chiesto), sono sceso dal tram a quella stessa fermata e ho rimproverato i controllori dicendo che comunque, anche a voler fare il biglietto, mi ero girato sette tabaccai per comprare un biglietto ma non lo avevano, ed eravamo in zona Stazione Centrale! E non può bastare solo la possibilità di fare il biglietto con il contactless.
A Palermo, per dire di una possibilità conciliante, il controllore ti fa semplicemente il biglietto senza sovrapprezzo; a Bologna c’è una macchinetta che ti permette di fare il biglietto sull’autobus, a Trieste il controllore ti fa il biglietto con 5 euro di sovrapprezzo, e non 50! Una delle più grandi tragedie del nostro tempo è la perdita della curiosità attiva e della memoria storica: in Francia anni fa ho trovato un libro dal titolo Les autoreductions italiennes, cioè le esperienze di rivendicazione diretta da parte di operai e studenti che si rifiutavano di pagare l’affitto, le bollette del telefono e della luce, i biglietti dei mezzi pubblici e di tanti altri “accessi” per motivi politici, una memoria che potrebbe e dovrebbe nutrire i nostri discorsi, le nostre pratiche e le nostre relazioni, invece siamo in una depressione psicopoltica tale che nel 2012, durante l’occupazione della Torre del binario 21, qualcuno (anche qualche ferroviere) proponeva lo sciopero del biglietto del treno in solidarietà con i ferrovieri arrampicati sulla Torre, e una esponente milanese di spicco del consumo critico e del commercio equo e solidale faceva la parte del “pompiere” scoraggiando questa proposta perché «non è legale». Questa malattia che è anche una forma di depressione molto grave, di tipo masochista, è purtroppo figlia degenere di una paura di vivere e di affrontare la realtà e i conflitti, si chiama legalismo narcisista (perché poi molti di questi “legalisti” propongono formule di “ribellione” vuote e retoriche, facili, elitarie e autocompiacenti).
Questo abbaglio mostruoso degli ultimi decenni è un frutto marcio di un fraintendimento storico e politico e cioè che lo Stato corrisponda al bene comune, alla comunità, al “pubblico”. Mentre è il contrario: è la rivendicazione dal basso che nutre la comunità, non lo statalismo, il legalismo e il narcisismo.
«Il discorso sulla libertà appare tanto abbondante quanto vuoto: l’essenza della libertà viene trascurata», scrive Andrea Grillo nel suo recente libro Amore all’eccesso (consiglio di leggere da pag. 60 a pag. 64). Queste derive sono venute fuori in modo plateale e inquietante durante la pandemia e nel periodo del green pass. Io lo vedo nella quotidianità: rivendicare qualcosa dal basso e farlo in modo informale, diffuso, immediato, crea una rete di sostengo, di creatività, di vitalità infinita, certo non significa adagiarsi a gesti sporadici e facili, ma di affrontare i conflitti, di farsene carico: non posso dimenticare che molti ferrovieri e autisti degli autobus, spesso, spingono i passeggeri a ribellarsi, anche non pagando il biglietto, e l’aspetto più triste di tutto ciò è che ci troviamo in uno stato comatoso senza precedenti nella storia, se è vero (e non raro) quello che ho visto con i miei occhi nel 2009, a Bologna, alla stazione, in una tarda serata di inizio dicembre, quando a causa di 100 e più ore di ritardo dei treni da Bologna verso la Puglia (io stavo andando a Taranto), una ragazza che aveva il biglietto per viaggiare in Eurostar, si è rifiutata di salire su un altro treno Eurostar (non era colpa sua se aveva perso il treno per cui aveva pagato il biglietto, ma delle scompaginamento dovuto ai lunghi ritardi!) per uno scrupolo masochistico di questo tipo, e non è finita: il capotreno le diceva di salire sul treno, che non gli avrebbe fatto la multa, ma lei è rimasta lì, impalata, bloccata da questa perversione insita nei meandri della “modernità tecnologica“.
In Italia probabilmente esistono ancora movimenti e gruppi di pendolari che si organizzano per protestare attivamente, non sono molto visibili, ma la brace cova sotto sotto: due anni fa sentii una rappresentante di pendolari del Lazio che proponeva di pagare un biglietto in base al servizio. Purtroppo, però, spesso tutto ciò esplode in situazioni di violenza, per esempio da parte di passeggeri che aggrediscono capi treni per controlli del biglietto (uno dei più recenti un anno fa a Rivarolo, nei pressi di Genova). E questa è una conseguenza del fatto che molti di noi lasciano correre e subiscono decisioni prese dall’alto, che poi esplodono, appunto, ai danni di lavoratori e poveri disgraziati.
Nel libro S-Contro, un collettivo antagonista nella Torino degli anni Ottanta (pubblicato nel 2024), ci sono tracce di azioni dirette di studenti torinesi (Donatella, una mia coetanea cresciuta a Torino, mi aveva raccontato anni fa di avervi partecipato) che per protestare contro l’aumento dei biglietti dei tram mettevano la colla nelle fessure delle obliteratrici dei tram torinesi. Sono segnali di vivacità, oltre che di vitalità. E non si tratta di fare chissà cosa, per esempio due anni fa ho visto una signora a Firenze che, esasperata dalle barriere che separano i binari dei treni regionali da quelli ad Alta Velocità, ha strattonato l’addetto alla barriera che non voleva farla passare (avrebbe dovuto uscire e rientrare e perdere tempo e magari anche il treno avrebbe perso) e ha sfondato la barriera fatta di un nastro di carta.
Si tratta di non lasciar correre troppo spesso, come quella volta che mia madre all’Ufficio postale, di fronte alla lungaggine ingiustificata di un’impiegata, alzò la voce per chiedere all’impiegata di non perdere tempo e l’impiegata si sbrigò. Molto dipende da noi, lo dice anche Sara Ongaro nel libro La vita ci respira: viviamo in un tempo in cui molto ci è permesso ma spesso la distrazione, la pigrizia e la paura di affrontare la realtà ci rende castrati, cornuti e mazziati.
Abbiamo superato il tempo, almeno nei paesi “democratici”, in cui autorità esterne ci vessavano e ci impedivano di parlare, agire ed esprimerci liberamente, adesso però molti “impedimenti” li abbiamo interiorizzati, e questo può essere peggio di un padrone o di un tiranno esterno che ci reprime. Non posso dimenticare quel mio coetaneo francese che nel 2009, a dicembre, mi disse che il Vertice sul Clima di Copenaghen aveva appena stabilito che per riparare i danni climatici occorrevano 55 miliardi di dollari: «Spendendo molto meno si potrebbero garantire mezzi di trasporto gratuiti a tutti e il problema si risolverebbe».
Una signora dell’alta borghesia francese, più di dieci anni fa, nel treno Thalis da Bruxelles a Parigi, alla quale io dichiarai di non avere il biglietto mentre facevo un ritratto a suo figlio, affermò: «Fai bene a non pagare il biglietto, i treni non sono per tutti, io me lo posso permettere anche perché ho prenotato in anticipo, si parla tanto di emergenza ecologica ma i prezzi dei treni ti costringono ad avere e a usare l’automobile privata».
Un ragazzo, un po’ di anni fa, mi disse una cosa tanto semplice quanto illuminante e risolutiva: «Non pagare il biglietto del treno con un motivo politico è l’unica strada per un benessere ambientale per tutti». Per chi non si ricordasse, all’inizio del 2016, a Milano e Torino, per superamento della soglia massima di polveri sottili nell’aria, per una settimana l’accesso ai mezzi pubblici fu libero, abbassando così il livello delle polveri sottili.
Un ferroviere francese dichiarò in un’intervista, un po’ di anni fa, che il biglietto del treno è una forma di “chantage sociale”, cioè di ricatto sociale, per dire, in concreto, che il pagamento dei biglietti copre una percentuale minima dell’azienda trasporti pubblici (tra il 15 e il 25%). E continuò a dire che lo scopo dell’aumento dei biglietti è quello di ostacolare un libero movimento delle persone. (Les reveil des illegalismes era il titolo della rivista uscita nel 2009 in Francia).
Ho saputo recentemente (ma dovrei verificarlo) che nel programma dell’Alleanza Verdi e Sinistra c’è la proposta di un trasporto pubblico gratuito. Da un lato è incoraggiante sentire di questi segnali che arrivano dall’alto, però è molto più importante agire dal basso magari incontrandosi con le decisioni dall’alto. Perché la comunità e il benessere pubblico si costruiscono con gli individui attivi: «Non si può dare una società felice fatta da individui infelici», diceva Giacomo Leopardi. Spesso ci autodefiniamo e ci colpevolizziamo dicendoci individualisti, in realtà è il contrario, dovremmo coltivare un sano individualismo e renderci conto che le malattie che ci attanagliano sono il narcisismo e il masochismo.