Orgasmo e cura di sé
Dal corpo donato alla responsabilità del mondo
di Stefano Sodaro
Creazione digitale tramite IA
Sabato scorso, a Borca di Cadore, la teologa triestina Annamaria Rondini ha pronunciato una frase che continua a risuonare:
“L’orgasmo è la più potente rinuncia a sé.”
Non un elogio dell’intimità, ma una provocazione teologica: l’orgasmo come gesto di espropriazione, di abbandono, di dono radicale. Un’esperienza che, se trasposta sul piano etico e politico, può diventare paradigma di cura dell’altro, di responsabilità verso il mondo ferito.
Questa riflessione si intreccia con il titolo della terza lettera pastorale del Vescovo di Trieste, Enrico Trevisi:
“Ha cura di voi.”
Un’espressione che richiama la tenerezza di Dio, ma anche la necessità di una cura incarnata, concreta, sociale. Cura dei migranti, dei carcerati, dei giovani, dei dimenticati. Cura come opposizione alla logica del possesso, del dominio, della violenza.
Ma cosa significa oggi “cura”, quando il mondo è attraversato da ferite che sembrano insanabili?
Come possiamo parlare di eros, di spiritualità, di dono, mentre a Gaza si consuma una tragedia che molti osservatori internazionali non esitano a definire genocidio?
Secondo la Commissione indipendente dell’ONU, Israele ha commesso quattro dei cinque atti genocidi definiti dalla Convenzione del 1948: uccisioni, danni fisici e mentali, condizioni di vita distruttive, impedimento delle nascite. Navi Pillay, presidente della commissione, ha dichiarato:
“Non si può rimanere in silenzio.”
Il genocidio è l’antitesi dell’orgasmo come rinuncia.
È l’imposizione brutale del sé sul corpo dell’altro.
È la negazione della cura, la distruzione dell’alterità, l’annientamento del volto.
È l’orgasmo rovesciato: non dono, ma dominio; non abbandono, ma annientamento.
In questo contesto, parlare di eros non è evasione.
È resistenza.
È il luogo dove si impara a non possedere, a non distruggere, a non dominare.
È il gesto che può insegnare alla politica la logica del dono, non quella del potere.
La teologia dell’eros, se liberata dalle incrostazioni moralistiche, può diventare teologia della cura.
Può insegnare che il corpo non è un oggetto da controllare, ma un luogo da abitare insieme.
Che la relazione non è consumo, ma reciprocità.
Che l’altro non è minaccia, ma promessa.
In questo senso, l’orgasmo — inteso come rinuncia a sé — diventa simbolo di una nuova etica.
Un’etica che non si rifugia nell’intimità, ma si espone al mondo.
Che non si chiude nel privato, ma si apre alla responsabilità.
Che non si limita a consolare, ma osa denunciare.
Perché la cura, se è autentica, è sempre anche cura del mondo.
E il mondo, oggi, ha bisogno di voci che sappiano dire:
“Non si può rimanere in silenzio.”