Etruria
di Stefano Agnelli
Sul finire dell’Estate, che oggi si allunga oramai a coprire l’autunno, mentre camminavo attorno a Montepulciano, mi imbattei in una casa abbandonata. Il tetto sembrava ancora intatto, i muri sbrecciati e bassi, mentre le finestre erano piccole e non avevano né vetro, né telaio che potesse reggerlo.
Mi avvicinai per vedere meglio. La porta era accostata, all’interno una tavola male in arnese, tre sedie polverose e malandate mostravano il loro ventre sfatto di paglia giallognola. Il sole faticava a illuminare tutta la stanza, a causa delle due sole finestre ai lati dell’ingresso. Assi e pezzi di mobili erano sparsi un po’ ovunque sul pavimento, accatastati contro i muri, quasi a rinforzarne lo stato solido d’un tempo.
Scostai una sedia e sedetti a lungo quel pomeriggio, mentre il lucore chiarissimo delle prime ore meridiane, lasciava il posto a un cielo spesso e nuvoloso. Non piovve, ed io mi addormentai.
Una voce di giovane donna cantava piano, solo per me. Udivo ogni parola, ma non comprendevo quella lingua dai suoni rotondi e armoniosi, eppure sapevo che la canzone raccontava d’una guerra atroce e lontana, oltre il fiume e le colline, al di là del mare. Molti guerrieri erano partiti dall’Etruria per un antico voto d’alleanza tra popoli. Pochi erano tornati, carichi di doni. La grande città era finalmente caduta. Per molti anni cinta d’assedio, aveva mura spesse e alte, porte robuste e ben difese. Eppure vi furono pianti e grida quella notte, fiamme e morte fra la gente entro quelle stesse mura, ignara d'una sorte tanto avversa.
Così avevano voluto gli Dei capricciosi, coloro che reggevano il destino dell'uomo, capaci d’ascoltare suppliche, accettando fumi di grasso animale, per poi mutar d'improvviso parere, annientando una città intera in una sola notte, tra liti e capricci divini. Dei ingrati e crudeli, verrà il giorno in cui ai vostri nomi spetterà soltanto l’oblio. Perché voi non amate l’uomo, che lasciate al filo delle Parche, al fato crudele. Esistete soltanto perché molti vi credono, pensano a voi, ma Dio riprenderà a sé le vostre vite fittizie e lo farà con il sacrificio di sé stesso incarnato, fattosi uomo.
Stasera non è ancora il suo tempo, è tempo di piangere i defunti e di far festa per chi è tornato a rivedere moglie e figli. Che inizi il banchetto funebre, siedano le donne accanto agli uomini, uniti entrambi dal vino speziato che inebria, suonino i musici e si portino le carni ben arrostite alla fiamma, i frutti più maturi della terra, i formaggi di pecora si tolgano dalla grotta, dov’erano a stagionare.
Verrà un tempo nuovo per l’uomo, la fatica e il dolore gli resteranno accanto, assieme all’odio e alla guerra che genera vedove e morte, ma nascerà una nuova speranza in lui.
Potrà cambiare le spade in aratri, se soltanto lo vorrà, volgere il ferro spietato in strumento di pane, un pane nuovo, che darà la Vita eterna a chi ne mangia. Dimmi o Velthur Spurinna, corrisponde a verità ciò che vedo? Verrà un tempo nuovo, ma non stasera.
Facciamo festa, dunque, che sia un tempo di Pace tra i popoli, anche se noi non lo vedremo.