Il canone (1)
di Dario Culot
La Bibbia nella St. Viktor Church, Dülmen, North Rhine-Westphalia, Germany (2018) - foto di Dietmar Rabich, tratta da commons.wikimedia.org
Si dà il nome di “canone” ai testi delle Sacre Scritture ritenuti ispirati dalla Chiesa cattolica e quindi accettati da essa. L’opposto di canonico è apocrifo. Va detto che il canone è stato fissato non per contenuti dottrinali particolari, ma principalmente sulla base dell’apostolicità degli scritti (reale o presunta che fosse). Ne consegue che la continuità del cammino di fede non è dato dall'esattezza dei contenuti, ma dall'autorità di chi ha scritto quei testi[1] e dall'accoglienza che questi scritti hanno avuto nelle comunità. Ecco perché si sono mantenute una pluralità di versioni, anche a volte incompatibili fra di loro, invece di avere un unico vangelo.
L’ultimo Concilio ecumenico ha solennemente proposto la centralità delle Sacre Scritture nella vita della Chiesa:[2] l’insegnamento e la predicazione devono essere basati esclusivamente sui vangeli, sì che l’istruzione cristiana non può fare a meno dei vangeli canonici i quali, come precisa un passaggio del documento conciliare[3] nella loro integrità e letteralità sono da ritenersi in ogni caso ispirati da Dio e sono normativi per la vita dei credenti, cioè restano la base fissa della fede cattolica (nn. 124ss. Catechismo).
Non molto tempo fa, papa Benedetto XVI aveva ribadito che il Vangelo è l’unica identità autorizzata per i cristiani, aggiungendo però opportunamente che essa va ripulita di ciò che solo apparentemente è fede, mentre è mera convenzione e abitudine[4].
Nei suoi indefessi viaggi, Paolo aveva fondato varie comunità cristiane, ed è restato anche in contatto epistolare con esse, senza ancora conoscere i vangeli che sono scritti solo decenni più tardi. La Chiesa cristiana, dunque, non è nata affatto unitaria né poteva basarsi sui vangeli: inizialmente, tutte le comunità (e questo vuol dire la parola ecclesia: assemblea, chiesa) erano autonome.
Il problema, però, è che la Chiesa è caduta nella trappola dell’infallibilità dovuta alla sua autorità: un cane che si morsica la coda. Il cristianesimo che ci è stato insegnato è inscindibilmente legato al concetto di autorità, e ciò che distingue l’autorità religiosa è l’assenza di dubbi: ammettere che altri possano dare ai testi interpretazioni diverse dalle sue potrebbe distruggere l’autorità della Chiesa. Ma, in tal modo, se ci si accorge di aver fatto un errore come si fa ad auto-correggersi? Gli altri penserebbero subito che, se si è sbagliato una volta, è possibile sbagliarsi anche in seguito, e di nuovo si potrebbe distruggere l’autorità della Chiesa. Torno allora sul punto già affermato questo mese: avendo all’inizio sostenuto che il libro è ispirato (in passato si diceva perfino) dettato da Dio[5], ivi deve essere contenuta l’immutabile volontà di Dio per tutte le generazioni; di qui l’autorità del libro che diventa sacro e, ovviamente, l’obbligo di obbedire alla volontà di Dio e alle sue leggi divine[6]. Ma chi interpreta questa volontà di Dio ricavata dalle leggi che si trovano nel testo? L’unica autorizzata a farlo è sempre l’autorità religiosa,[7] il magistero. Perciò, anche se ogni interpretazione vuol catturare la realtà oggettiva, qui l’obbedienza dei fedeli si risolve nel credere voluto da Dio ciò che ha semplicemente deciso il magistero. Teniamo invece presente che, all’inizio, i vangeli erano testi viventi, cioè venivano modificati dalle stesse comunità che cercavano di viverli. Ma questo pochi cristiani lo sanno.
Il ritenere assoluta la propria verità, il non voler ascoltare ciò che altre comunità dicono, confessano e fanno, è atto di arroganza nei confronti del Vangelo,[8] e di fatto toglie normalmente ogni possibilità di auto correzione (cosa invece che la scienza è sempre capace di fare[9]).
Vediamo un esempio:[10] non solo in passato,[11] ma ancora oggi,[12] grandi pensatori cattolici insistono nel sostenere che la penitenza (intesa come rinunce, pratiche di vita ascetica e sacrifici[13]) è sostanzialmente indispensabile al vero cattolico;[14] la penitenza induce il peccatore a sopportare di buon animo ogni sofferenza (n. 1450 Catechismo), e il credente deve applicarsi incessantemente alla penitenza (n. 853 Catechismo); più penitenze si fanno, più bollini di merito si guadagnano.
Invece ci sono continui episodi nei vangeli che fanno ben comprendere come Gesù non si sia mai sognato di prendere in considerazione la penitenza: pensiamo solo al perdono dei peccati al paralitico (Mc 2, 5), all’episodio in cui Gesù chiama con sé il pubblicano peccatore (Mc 2, 13), all’episodio della prostituta che entra nella casa del fariseo (Lc 7, 36ss.).
Ora, se scorriamo una edizione pre-concilio, troviamo effettivamente frasi come:
- Marco 9, 28; Matteo 17, 20: Gesù rispose: questo genere di spiriti non si può scacciare in nessun modo se non con la preghiera “e il digiuno”, e questo digiuno è sicuramente una forma di penitenza.
Però se guardiamo l’edizione attuale della CEI[15] del 2008, o qualsiasi altra traduzione recente, quatti quatti, in Mc 9, 29 e in Mt 17, 20, i compilatori hanno completamente eliminato l’inciso “e il digiuno”. Il digiuno è sparito! Come mai? Semplicemente perché si sono accorti che nel testo greco più antico pervenutoci il termine ieiùnio, riportato nella Vulgata latina, non è mai esistito per cui è ormai riconosciuto che si è trattato di un’aggiunta di un qualche copista troppo zelante. Nel frattempo, però, copia dopo copia per ben 1500 anni, il digiuno aveva assunto enorme importanza nella spiritualità cristiana in quanto si credeva che Gesù in persona l’avesse ordinato, mentre Gesù quando aveva mandato in missione i suoi discepoli aveva detto: “Mangiate quello che vi viene messo davanti” (Lc 10, 8). Tanto che san Francesco questo l’aveva perfettamente afferrato, per cui anche dopo che frate Elia aveva cominciato a scrivere le regole francescane inserendo l’astinenza, quando con frate Leone era stato invitato a pranzo da un signorotto ed era stato loro offerta della carne in un giorno di astinenza, Francesco aveva ribattuto a Leone che non voleva mangiare: «Che cosa dobbiamo osservare, la parola di Gesù o la parola di frate Elia?» «La parola di Gesù!» aveva risposto frate Leone. «E qual è la parola di Gesù?» «Mangiate quello che vi viene messo davanti», aveva di nuovo risposto frate Leone. «E allora abbiamo la carne e mangiamo serenamente la carne» aveva concluso Francesco[16].
E il precetto che il magistero ci ha imposto per secoli, fino al Concilio Vaticano II, sicuro di interpretare la volontà di Dio, per cui insegnava che mangiare carne il venerdì costituiva peccato mortale? Era sbagliato, ed era perfino contrario a quanto scritto nel vangelo[17].
Vediamo un altro esempio ancora: ricordando quanto per il magistero fosse importante l’obbedienza, perché così aveva voluto Gesù (ma in realtà nei Vangeli non c’è un passo in cui Gesù abbia chiesto obbedienza a sé o a Dio), quando Pietro incomincia a predicare e va a trovare le prime comunità, queste vengono raffigurate da una persona. Nella comunità di Lidda c’è Enea che era paralitico da otto anni. Il numero 8, nel simbolismo cristiano primitivo, indicava la cifra della resurrezione, perché Gesù è risuscitato il primo giorno dopo la settimana, dunque il primo giorno dopo il settimo[18]. Questa comunità, invece di essere risorta, era purtroppo ancora paralitica, cioè con una vita menomata (At 9, 33). La comunità di Giaffa, nonostante le buone opere di Tabita (At 9, 36), era addirittura morta. Ebbene, Pietro visita queste comunità, si dà da fare per rianimarle, ma poi non si ferma in nessuna di esse. Alla fine si ferma in una terza comunità, quella dell’impuro conciatore di pelli Simone, che avrebbe dovuto evitare come la peste perché – lo sappiamo sempre grazie all’insegnamento religioso - l’impurità del capo si propaga a catena all’intera comunità che lo tocca avvicinandolo (Nm 19, 22) e una comunità impura contamina ogni puro credente che le si avvicina[19]. Ma il messaggio che ci viene trasmesso dal testo è esattamente l’opposto: quando si incrina anche di poco l’osservanza della Legge, l’obbedienza cieca all’autorità, si permette allo Spirito di irrompere[20] e di far nascere novità. Dunque la comunità considerata impura dall’ortodossia è l’unica a non essere ammalata. Le altre due comunità molto devote, molto pie, strette osservanti della Legge e dell’autorità, sono carenti di vita: una è paralitica, l’altra è defunta. L’unica comunità che non è ammalata è quella che ha rotto con tutto questo. Non è un caso se l’esperienza di conversione di Pietro inizia nella casa di un personaggio impuro. Non gli è capitata nel santo Tempio (lui saliva sempre al Tempio a pregare: Lc 24, 53), non gli è capitata nella Chiesa di Gerusalemme che seguiva rigidamente l’ortodossia,[21] non gli è capitata nella comunità di Enea e neanche in quella della pia Tabita, ma in quella profana (era una casa) di un impuro peccatore.
Sappiamo che nelle messe in chiesa si chiude la lettura delle Scritture dicendo “Parola di Dio”. E forse siamo anche convinti che i testi che leggiamo oggi siano proprio quelli che leggevano i primi cristiani. Pochi invece si fermano a pensare che prima di arrivare a definire “Parola di Dio” quella che sentiamo oggi, erano stati creati tanti testi fra loro diversi. Come detto sopra, i vangeli erano all’inizio dei testi viventi, ed erano molti di più di quelli che leggiamo oggi. In altre parole, quando il cristianesimo è emerso nel I secolo, non si trattava di una religione unitaria, ma piuttosto di movimenti ebraici che non concordavano su molte cose, tranne sul fatto che tutti consideravano Gesù - anziché l’istituzione rabbinica – come l’autorità ultima sulla Parola di Dio[22]. La maggioranza degli ebrei, però, non ha riconosciuto Gesù come il Messia.
Le parole che Gesù aveva detto nel passato e che sono state riportate nei vangeli sono necessariamente una traduzione non solo perché sono scritte in greco (mentre Gesù parlava aramaico), ma anche perché sono scritte da persone umane che hanno inevitabilmente filtrato le parole e l’esperienza di Gesù. È per questo che ci sono diversità tra i quattro vangeli. Alcuni se ne scandalizzano, ma la cosa è comprensibile perché ciascuno filtra, attraverso l'esperienza che compie, i messaggi che riceve. Se oggi un gruppo di noi va a vedere un film, nessuno poi lo racconterà esattamente allo stesso modo.
Pochissimi si fermano oggi a pensare che per arrivare all’elenco che abbiamo sono stati esclusi dalla Chiesa molti testi che all’inizio venivano comunemente usati in varie comunità. Pochissimi oggi meditano sul fatto che nel corso dei secoli la Chiesa ha stroncato tante opinioni dissenzienti arrogandosi il ruolo di unica interprete autorizzata delle Scritture,[23] senza mai permettere che venisse messa in discussione la propria.
Salta allora subito all’occhio che, di fronte a tanti testi iniziali, se alcuni fossero stati scelti come canonici al posto di altri, il cristianesimo oggi sarebbe diverso: ad es. se i curatori avessero scelto gli atti di Paolo e Tecla anziché la 1a lettera di Timoteo, le donne nella Chiesa sarebbero state parificate agli uomini[24].
Uno dei pochi dati certi è che Gesù non ha lasciato niente di scritto. Ora, è ovvio che passando dalla parola orale alla parola scritta si raggiunge una sicurezza. Finché si racconta una storia oralmente, ognuno può portare (anche inconsapevolmente) piccole varianti, e più sono le persone che narrano, più passa il tempo, più significative possono essere queste varianti.
Una volta messo il racconto per iscritto, nessuno potrà più inserire delle varianti. Ma all’inizio non è stato così. All’inizio i vangeli non erano degli scritti intoccabili e immutabili come lo sono oggi. I vangeli, cioè, non erano un prodotto confezionato una volta per sempre, perché lì non si cercava – come oggi - una dottrina da accettare,[25] ma si voleva proporre un modo diverso di vivere (questo dovrebbe essere ancora oggi l’essenza del cristianesimo). In ogni comunità dove si seguiva un certo vangelo, la propria esperienza del messaggio di Gesù veniva vissuta, rimeditata e poi ritrasmessa a un’altra comunità con un arricchimento di quello stesso vangelo che passava di mano in mano[26]. Quest’altra comunità recepiva il testo arricchito e naturalmente lo viveva, ma poi non lo trasmetteva necessariamente identico, potendolo a sua volta arricchire ulteriormente con la propria esperienza: i vangeli erano inizialmente testi vivi[27] perché volevano condizionare in positivo la vita delle persone. E siccome la vita è inesauribile, anche il contenuto delle Scritture era inesauribile, perché il significato del testo dipendeva anche dal lettore il quale poteva cogliere nuovi significati in funzione della situazione che stava vivendo. Dunque era ritenuto essenziale applicare il testo alla situazione che la comunità stava vivendo, per cui il testo delle Scritture era una realtà viva, e la stessa Tradizione che inizialmente le tramandava poteva essere attualizzata in modi diversi: pertanto, all’inizio del cristianesimo, è emerso il ruolo fondamentale della comunità (ecclesia) che ascoltava e interpretava le parole scritte dall’evangelista, da cui emergevano le parole rivelate da Cristo[28]. Ogni comunità, dunque, era libera di attualizzare il messaggio alla luce della proprio situazione vissuta, e non esisteva un indirizzo centralizzato (com’è oggi il Vaticano).
Facciamo un esempio per capirci: sappiamo che in punto indissolubilità del matrimonio la Chiesa cattolica si richiama alla frase “l'uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Ma nel Vangelo secondo Matteo, nel periodo in cui quel vangelo era ancora un testo vivente, tenendo presente che l’unico bene non negoziabile è il bene dell’uomo, si è indicato una causa ammissibile della rottura del vincolo matrimoniale in presenza di una certa condotta che profana la santità del matrimonio e spezza il vincolo della fedeltà coniugale (Mt 19, 9: in caso di porneia). Dunque, quanto meno da Matteo si deve escludere la sussistenza di un divieto al 100% della possibilità di divorzio anche in base alla sola lettera, come del resto sostiene la Chiesa orientale e come non riconosce la Chiesa cattolica.
Che le comunità potessero modificare i vangeli in base alla loro esperienza emerge dalle stesse parole di Gesù: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola» (Gv 17, 20). Dicendo “loro parola”, e non “mia parola,” Gesù conferma che il suo messaggio non è una serie di regole immutabili da custodire gelosamente e poi trasmettere inalterata nel tempo, ma qualcosa che cresce e si arricchisce incarnandosi nei suoi discepoli. Gesù sta chiarendo che non vuole dei meri ripetitori della sua parola, ma vuole che il suo messaggio cresca e si arricchisca di continuo attraverso l’esperienza umana, per cui, comunicando agli altri la propria esperienza, in ogni uomo che riceve questo messaggio c’è poi la possibilità di far fiorire forme nuove e creative; ecco perché Gesù dice ai suoi seguaci che riusciranno a compiere opere anche più grandi di quelle che ha fatto lui (Gv 14, 12).
L’incarnazione, dunque, prosegue generazione dopo generazione perché, come diceva don Carlo Molari, l'incarnazione esprime quel processo per cui l'azione di Dio può esprimersi in una creatura, in ogni creatura.
Molte volte noi interpretiamo l'incarnazione come un’aggiunta dall'esterno di qualcos’altro: all’originale persona e natura divina di Gesù è stata aggiunta la natura umana. Probabilmente questa idea è sbagliata. L'incarnazione esprime un processo per cui l'azione di Dio può esprimersi in una creatura,[29] in ogni creatura che accoglie l’azione di Dio. L’incarnazione non va allora intesa come una discesa di un essere celeste che assume sembianze umane, ma come rivelazione nella carne umana della perfezione di Dio. Soprattutto c’è da dire che l’incarnazione non è finita con Gesù, perché tutti dobbiamo manifestare Dio amando e curando le relazioni, perché solo così imitiamo Gesù,[30] e solo così renderemo testimonianza a Gesù (Gv 15,27). Del resto, se Gesù non è contemporaneo di ogni generazione, se il suo messaggio non resta attuale rapportato al giorno d’oggi, manca la fede e non si è credenti.
Quindi, il pensiero cristiano di oggi non deve sovrapporsi necessariamente a quello di Gesù, trasmesso papale papale dagli apostoli. Ecco perché oggi si sostiene che le Sacre Scritture sono un lento cammino di conoscenza del volto di Dio, ad opera degli uomini. Questo Dio è sempre lo stesso, ma l’immagine che ne ha l’uomo è cambiata e cambia nel tempo. Ecco perché non è determinante che le parole di Gesù siano state trasfuse alla lettera nei vangeli, e che poi questi vangeli siano stati tramandati fino a noi con la certezza matematica che neanche una loro virgola sia stata mutata nel corso dei secoli, come se fosse stato Dio in persona (l’Essere Supremo che non sbaglia mai) a dettarli[31]. L’importante è afferrare il senso del messaggio che si evolve in continuazione. E l’ultima pagina del Vangelo di Matteo (io sono con voi per sempre) ci dà la sintesi del messaggio: Gesù non nomina successori e non delega alcun potere a nessuno, ma garantisce la sua presenza nella comunità chiedendo alla comunità di collaborare con lui nel portare avanti l’opera di pienezza, secondo il progetto iniziale del Padre. Anche noi, dunque, dovremmo tentar di riscrivere in continuazione il vangelo, perché siamo noi oggi a dover farlo diventare il vangelo di oggi[32]. Ecco perché, col dovuto discernimento, possiamo oggi anche attingere ad altri scritti al di fuori di quelli canonici, perché a volte anche i testi apocrifi possono darci degli spunti interessanti per comprendere meglio i testi canonici.
E che si possano affrontare questioni nuove con soluzioni nuove trova conferma in Gv 16, 13, quando Gesù dice che lo Spirito porterà cose future, porterà il Dio che viene, senza doversi cristallizzare sul Dio del passato[33]. Mentre in una visione statica per conoscere la perfezione bisogna guardare indietro, in una visione dinamica occorre guardare avanti e protendersi verso il futuro:[34] occorre allora tener presente che le formule di fede che ci sono state insegnate sono nate tutte all’interno di un orizzonte culturale statico ben delimitato. Di qui l’esigenza di ricercare sempre nuovi e più adatti modi per comunicare nella nostra epoca la Buona Novella[35].
Ma c’è un ulteriore problema. Chi ha deciso cosa mettere nel testo e cosa tralasciare? È certo che, una volta concordato cosa inserire, da quel momento in poi le parole scritte si trovavano al sicuro da ulteriori manipolazioni e/o varianti. Quindi c’è un problema è a monte. Chi ha scelto gli uomini saggi che dovevano selezionare gli scritti canonici? Cosa sappiamo se hanno deciso all’unanimità o a maggioranza?
(continua)
NOTE
[1] E ovviamente, posto che gli scritti sono giunti diversi decenni dopo i racconti orali, dovevano necessariamente combaciare con quanto gli uditori avevano già sentito raccontare a voce.
[2] La Chiesa ha la certezza che nelle Sacre Scritture si trova l’insegnamento senza errore della verità salvifica, per cui bisogna essere sempre attenti a ciò che Dio ci vuol rivelare attraverso la Scrittura (così Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione del 18.11.1965 - Dei Verbum 11 e 24 – e artt. 136 e 137 del Catechismo della Chiesa cattolica).
[3] Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione del 18.11.1965, Dei Verbum, § 11.
[4] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 47. Vedi anche Discorso del papa tenuto a Friburgo (Germania) nel 2011, riportato in “Famiglia Cristiana”, n.40/2011, 34.
[5] Infatti va ricordato che, mentre il concilio di Trento, nel 1500, aveva solennemente riconfermato che le Sacre Scritture e le Tradizioni erano state dettate oralmente da Cristo o dallo Spirito santo, per cui erano ovviamente immodificabili, il Vaticano II ha corretto il tiro, dicendo che le Scritture sono semplicemente ispirate. Dunque nel cristianesimo, dopo secoli, è ammessa una contestualizzazione storica e teologia. Questa è una differenza decisiva con l’Islam nei confronti dei testi sacri, perché l'islam – a differenza del cristianesimo - considera ancora i propri come ultima, definitiva e immodificabile rivelazione della Parola di Dio. Questo ovviamente pone all’Islam un problema di difficile soluzione: quello di adattare la legge islamica (la sharia) ai tempi attuali. Avevamo anche noi lo stesso problema fino al concilio Vaticano II, perché anche per noi – avendo Dio dettato i testi e non potendo Dio sbagliare - si riteneva di dover mettere Galileo sul rogo per le sue affermazioni contrarie alla Bibbia.
E sempre in riferimento sempre all’islam, va ricordato che circa vent’anni dopo la morte di Maometto, il califfo Uthman aveva radunato i sette saggi memorizzatori più famosi, per creare la versione ufficiale del Corano. Ora poiché la rivelazione di Maometto si estende per circa 22 anni (dal 610 al 632 d.C.), può pensarsi che una mente umana possa essere certa di possedere una memoria così perfetta da ricordare, a distanza degli eventi e di trent’anni, le parole testuali che ha avuto occasione di ascoltare una sola volta in vita sua? (Samir Khalid Samir, Cento domande sull’Islam, Marietti, Genova, 2002, 16s.). Se si usa la ragione dovrebbe per lo meno sorgere qualche dubbio. Ma teniamo presente i cattolici hanno superato l’analogo problema appena con l’ultimo concilio, e solo l’ultimo concilio ha permesso ai cattolici di domandarsi quale sia oggi il rinnovamento necessario, per guardare al futuro e non solo al passato. Siccome l’Islam è nato sei secoli dopo il Cristianesimo, vedremo se fra mezzo millennio la penseranno ancora allo stesso modo.
[6] Quando un testo di legge secolare inizia con “Noi il popolo”, riconosce la sua origine umana, per cui ammette che altri uomini possano modificarla. I dieci comandamenti si aprono invece con “Io sono il Signore tuo Dio”, rivendicando con ciò un’origine divina per cui è precluso all’uomo ogni possibilità di modifica. La Chiesa si è prontamente adagiata su questa seconda linea.
[7] Enciclica Papa Pio XII, Humani generis, preambolo, § II e III, 12.8.1950: l’autentica interpretazione non spetta né ai singoli fedeli, né agli stessi teologi, ma solo al Magistero della Chiesa, istituito da Cristo Signore. Più recentemente, nello stesso senso, vedasi nn. 97-100 Catechismo.
[8] Schillebeeckx E., Per amore del Vangelo, ed. Cittadella, Assisi, 1993, 296.
[9] La ragione prevale sulla religione. I leader religiosi, i quali hanno presto compreso che le nuove idee scientifiche e umanistiche, erodevano la loro autorità, si sono a lungo inutilmente opposti a questa nuova visione.
[10] Nell’articolo del 1° giugno si era fatto un altro esempio analogo, quello dei “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti!”. V. https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-820-1-giugno-2025/dario-culot-leone-xiv-primo-impatto.
[11] San Tommaso d’Aquino: Summa Teologica, questione 147, art.1. Concilio di Trento, Sessione XIV, sulla Dottrina dei santissimi sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione, del 1551, Capitolo 1, ove si afferma che la penitenza è stata sempre necessaria per conseguire la grazia. La versione italiana è reperibile in www.documentacatholicaominia.eu.
[12] Nn. 1434 ss., nonché nn. 827 e 853 del Catechismo della Chiesa cattolica: «solo applicandosi incessantemente alla penitenza si può estendere il Regno di Dio». Si pensi anche al recente “È l’ora della penitenza” di papa Benedetto XVI (“La Repubblica” 16.4.2010, 1 e 16).
[13] Il termine «sacrificio» va inteso sia come grave privazione, con aspetti che vanno dal disagio alla sofferenza, sia come offerta fatta alla divinità. Il sacrificio è un dovere per il credente (n.2099 Catechismo).
[14] McInerny R., Vaticano II: che cosa è andato storto?, ed. Fede&Cultura, Verona, 2009, p.18, 34, 89. Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 10.
[15] La versione CEI è la Bibbia ufficiale della Chiesa.
[16] Riportata da Vannucci G., Esercizi spirituali, ed. Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 107.
[17] Difficile, perciò, anche sostenere che Gesù era vegano e non ha mai mangiato carne.
[18] Ecco perché i nostri battisteri, in passato, avevano la forma ottagonale.
[19] Ancora oggi sono tanti a insegnarci che bisogna stare lontani dai peccatori. Ad es. il domenicano Cavalcoli scrive: “già dalla vita presente la Scrittura ci esorta a star lontano dagli empi e dai nemici di Dio, per cui possiamo avvicinare i peccatori solo a patto che non rechino danno alla nostra anima, che si mostrino pentiti dei loro peccati, e che con essi possiamo accordarci nel conseguimento di qualche obiettivo giusto e onesto” (Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 35).
[20] Esattamente come quando Giuseppe, chiamato giusto perché retto osservante della Legge, disobbedisce alla stessa (quindi pecca), ma permette a Maria di portare avanti la gravidanza e non la fa lapidare.
[21] La Chiesa era retta dal duro e puro Giacomo, il quale entrava solo nel Tempio e lo si trovava ogni volta in ginocchio a implorare perdono per il popolo, al punto che le ginocchia gli si erano fatte dure come quelle di un cammello per il continuo prosternarsi a Dio in adorazione e chiedere perdono (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, Libro II, Cap.23 Martirio di Giacomo, chiamato il fratello del Signore, in inglese in www.documentacatholicaomnia.eu, sotto Eusebius Caesariensis).
[22] Harari Y.N., Nexus, Giunti, Firenze-Milano, 2024, 134.
[23] Nella prima metà del 1300 l’inquisitore francese Jacques Fournier scrisse un trattato per spiegare come il Discorso della montagna giustificasse la caccia agli eretici (Bueno I., False Prophets and Ravening Wolves: Biblical Exegesis as a Tool against Heretics in Jacques Fournier’s Postilla on Matthew, “Speculum, 89, 1, 2014, pp35-65). Fournier divenne papa col nome di Benedetto XII. Oggi nessuno interpreta le Beatitudini come aveva fatto quel papa.
[24] Harari Y.N., Nexus, Giunti, Firenze-Milano, 2024, 136ss
[25] Invece col tempo il cristianesimo è diventato soprattutto una dottrina in cui credere, non uno stile di vita.
[26] Da Spinetoli O., La storicità degli Evangeli oggi, “Bibbia e Oriente”, VIII, 1966, 99.
[27] Maggi A., La follia di Dio, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 176 s.
[28] Pèrez Márquez R., L’Antico Testamento nell’Apocalisse, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 316s.
[29] Omelia di don Carlo Molari su Gv 10, 27-30 C-IV Pasqua.
[30] Scquizzato P., Ripensare la risurrezione, incontro via Zoom del 31.3.2021 www.unachiesaapiùvoci.it.
[31] Vedi precedente nota 5.
[32] Quando stava per morire, dopo la Pacem in Terris, papa Giovanni fu accusato da un giornale di aver cambiato il Vangelo per andare incontro ai comunisti e monsignor Capovilla riferisce questa sua frase: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio” (riportata da TV2000 il 10.3.2017 dall’ospite della trasmissione Alberto Melloni, esperto del concilio Vaticano II). Quindi, comprendendo i vangeli sempre meglio, comprendiamo anche la vita di Gesù sempre meglio.
[33] A questo proposito è opportuno ricordare anche quanto ha affermato di recente papa Francesco davanti alla CEI, quando ha ricordato com’è sbagliato il ripiegamento “di chi cerca nel passato le certezze perdute” (riportato da Politi M., Il Papa non assolve i vescovi e ribalta la linea della Cei, “Fatto Quotidiano”, 20.5.2014, 10).
[34] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 10.
[35] I teologi “sono inoltre invitati, nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca” (Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes §62 – del 7.12.1965.
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